Una beata missionaria tra gli Shuar: suor Maria Troncatti

La ricordiamo in modo particolare perché alcuni dei missionari sandonatesi l’hanno conosciuta.
Si tratta di p. Siro Pellizzaro e p. Giancarlo Zanutto, che operano dagli Shuar sin dal loro primo arrivo in Ecuador. Conobbero suor Troncatti anche i due fratelli Teker, p. Guglielmo (Willy) e p. Sergio: l’incontrarono nella loro prima esperienza missionaria in Ecuador, ancora studenti, prima dell’attuale loro attività pastorale in Cile.
Proprio p. Sergio nel suo libro di ricordi missionari “Il coraggio di donarsi” ricorda la suora salesiana nel capitolo che riportiamo di seguito.
LA MAMMA DEI SHUAR (di Sergio Teker)
Il vecchio DC 3 sorvola rumorosamente l’immensa foresta amazzonica, che dall’alto sembra un enorme tappeto verde, solcato da bizzarri fili d’argento. Dall’oblò, osservo le fiammelle che sprizzano a tratti dietro i motori. Mi fanno sentire scomodo sulla mia poltrona. Non vorrei che l’avventura finisse prima ancora di cominciare.
Il campo d’atterraggio è proprio un campo: erba alta mezzo metro, e buche in quantità. La planata è dolce. Il contatto con il terreno invece è accompagnato da forti scossoni e sbandamenti. Ma siamo arrivati. Sulla scaletta dell’aereo, una zaffata bollente mi avvampa il volto. È il primo benvenuto dell’Oriente.
Sono a Macas, centro missionario molto sviluppato, il più grosso paese all’interno della provincia del Morona-Santiago. Sto accompagnando il p. Pischedda ed il p. Carollo, che fanno la loro periodica visita ai missionari. È un’ottima occasione per incontrare Willy, mio fratello, che non rivedo da quando nel ’65 ha lasciato l’Italia.
Una jeep, per un sentiero impraticabile, ci porta a destinazione: la stazione missionaria di Sucúa, dove Willy ha l’incarico di responsabile dell’internato shuar. Non abbiamo molto tempo per i convenevoli. L’aereo riparte fra tre ore.
La fortuna non è il mio forte. Willy, a cui volevo fare una sorpresa e perciò non sapeva del mio arrivo, è nella selva coi ragazzi, ad abbattere alberi per ampliare la «chacra». Non c’è tempo da perdere. Mi faccio indicare il modo di arrivare da lui, e mi metto a correre, sperando di fare almeno in tempo a dargli un forte abbraccio.
Il passaggio nel folto della foresta è ben visibile, anche se l’erba è alta e fitta. Poi, l’imprevisto: un filo di ferro di traverso nel sentiero. Inciampo. Crollo in avanti. Vedo in tempo a terra un ramo spezzato, irto di piccole spine. Mi proteggo il volto con le mani. Il dolore di quegli aghi che penetrano nelle mie palme è lancinante. Senza riflettere, chiudo spasmodicamente i pugni, per annullare in qualche modo il dolore, ma è peggio.
Willy, quando mi vede spuntare tra gli alberi, mi corre incontro con esclamazioni di incredulità:
— Sergio! Hombre! Che sorpresa! Ma, che hai? Ho nascosto le mani nelle tasche, ma il pallore del volto mi tradisce. I nervi facciali cominciano a vibrare scompostamente, per conto loro. Willy fa sospendere il lavoro. Gli spiego:
— Sono caduto su delle spine. Ma ho fretta. L’aereo riparte subito.
— Calma. Calma… Adesso qui comando io. Andiamo prima al dispensario delle suore. E poi, per ritornare a Quito,… non ne parliamo nemmeno!

La suora che mi sta curando le mani brontola scherzosamente:
— Ma che tipo è lei? Neanche il tempo di mettere piede in missione, e già si ficca nei pasticci! Ma non sa che queste spine sono velenose?
Chi mi parla così è suor Maria Troncatti, la direttrice dell’ospedale. Fa il vocione grosso per distrarmi dal dolore delle fitte provocate dalla rimozione delle spine col suo paio di pinzette. Mi sta curando la mano sinistra, mentre alla destra ci pensa una giovane infermiera shuar, silenziosa e delicatissima.
Suor Maria non smette di scherzare riguardo alla mia sbadataggine. È già anziana. Il suo sorriso è proprio quello di una mamma. Ha lasciato la sua terra da molti anni, per nascondersi in questo sperduto angolo del mondo, dove non manca il lavoro e nemmeno le occasioni di donarsi totalmente, almeno per chi ha veramente voglia di amare. Fu nel lontano 1925 che entrò all’Oriente, dopo dieci giorni di faticoso e pericoloso cammino attraverso la selva. Da allora, è luce e guida per le sue consorelle, un esempio costante nell’aiutare coloro che soffrono, i deboli. La sua esperta mano di infermiera è ancora salda. Il suo occhio clinico le fa diagnosticare all’istante un male. Si interessa di tutto. Da dover essa stessa praticare a volte delle operazioni, fino a cose non propriamente mediche: non è solo l’animatrice della costruzione dell’ospedale «Pio XII» e di tutti i dispensari di Macas, Indanza, Sevilla, Chiguaza, Jaupi, Santiago, Limón e Bomboiza; ma il suo zelo materno la spinge alla creazione di scuole e a sostenere economicamente i giovani che vogliono poter studiare. È convinta che non basta curare. Vuole istruire, educare, per dare un vero contributo allo sviluppo del suo popolo. Solo così cadranno le disuguaglianze, le ingiustizie. Solo così si formeranno le basi per una autentica convivenza tra le varie razze che abitano questa zona.
Dopo la sua morte, i shuar continuano a vederla passeggiare per i sentieri della foresta, anche se sanno che è volata in cielo. È accaduto tutto in modo alquanto strano.
— Suor Maria, la superiora le ordina di prendere l’aereo e di andare a fare gli esercizi spirituali alla capitale.
Suor Maria è ormai anziana. Teme che la trattengano in città, lontano dai suoi shuar:
— No no… È da quarant’anni che non mi muovo di qui. Li posso fare qui, come tutte le altre volte… E poi, ho paura di volare!
— Le abbiamo già comperato il biglietto, con il S.A.N. In 50 minuti si trova quasi senza accorgersi a Quito!
— Se è per obbedienza, va bene. Ma, in S.A.N.? Quello che è caduto 15 anni fa? Ah, no! Se devo proprio partire, prenderò il T.A.O.
I suhar dicono che non hai voluto lasciare la terra del tuo cuore.
— È precipitato il T.A.O.! Con suor Maria!
A cinquecento metri dalla pista, l’aereo è accartocciato, forse richiamato a terra dall’eccessivo peso della carne bovina destinata alle rivendite cittadine. I piloti, feriti, hanno abbandonato la carlinga, allontanandosi velocemente, temendo l’esplosione dei serbatoi. Sull’erba, il sedile capovolto, suor Maria sta come addormentata, ancora saldamente fissata alla poltrona dalla cintura di sicurezza. Nell’impatto violentissimo, lo sportello laterale si è spalancato, urtando la testa della suora che in quel momento veniva scagliata lontano.
La gente del luogo è accorsa, in lacrime. Un tuo shuar ripete insistentemente, piangendo:
— Non ci hai voluto lasciare, mamma! (Sergio Teker – Il coraggio di donarsi, pagg. 79-82 – Elle Di Ci, 1981)
SR. MARIA TRONCATTI, UNA BREVE BIOGRAFIA

Durante la Prima Guerra mondiale segue a Varazze corsi di assistenza sanitaria e lavora come infermiera crocerossina nell’ospedale militare. In seguito a un violento tornado Maria promise alla Madonna che se le avesse salvato la vita sarebbe partita per le missioni. La Madonna l’esaudì e Suor Maria chiese alla Madre Generale di andare tra i lebbrosi. Sette anni dopo Madre Caterina Daghero la manda invece in Ecuador.
Nel 1925 sbarcò nella baia di Guayaquil e raggiunse Chunchi dove fu infermiera e farmacista per poco tempo. Accompagnate dal vescovo missionario Mons. Comin e da una piccola spedizione, Suor Maria e altre due consorelle si addentrano nella foresta amazzonica.
Loro campo di missione è la terra degli indios Shuar nella parte sud-orientale dell’Ecuador. Appena giunti a Mendez Suor Maria si guadagnò la stima di una tribù Shuar operando con un temperino la figlia di un capo ferita da una pallottola. Si stabilirono definitivamente a Macas, un villaggio di coloni circondato dalle abitazioni collettive degli Shuar, in una casetta su una collina. Come don Bosco fu padre e maestro Suor Maria diventò madre, e per 44 anni sarà chiamata da tutti Madrecita (“Mammina”).
Inizia un difficile lavoro di evangelizzazione in mezzo a rischi di ogni genere. È Infermiera, chirurgo, ortopedico, dentista e anestesista, ma soprattutto catechista ricca di meravigliose risorse di fede, di pazienza e di amorevolezza salesiana. La sua opera per la promozione della donna shuar fiorisce in centinaia di nuove famiglie cristiane, formate per la prima volta su libera scelta personale dei giovani sposi. Svolse la sua attività soprattutto nel campo della formazione e della sanità, all’ospedale Pio XII di Sucúa e in numerosi dispensari. È madre delle missioni del vicariato apostolico di Méndez: Mácas, Méndez, Sevilla don Bosco e Sucúa, con instancabili spostamenti nella selva.
Il 25 agosto 1969 Suor Maria è in aereo per recarsi a Sucúa agli esercizi spirituali, l’aereo cadde poco dopo il decollo. La radio della Federazione Shuar diede il triste annuncio: “La nostra Madre, suor Maria Troncatti è morta”. La sua salma riposa a Macas nella Provincia di Morona (Ecuador).
L’8 novembre 2008, la Chiesa l’ha dichiarata Venerabile. Il 10 maggio 2012 papa Benedetto XVI ha firmato il Decreto per la beatificazione di suor Maria Troncatti. (https://www.sdb.org)
A cura di M.F.