14 Febbraio 2025

Duomo di San Donà

S. Maria delle Grazie – Diocesi di Treviso

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Duomo di San Donà
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DuomoStoria

Il campanile e gli angeli del Duomo di San Donà

Il campanile del Duomo s’innalza al centro di San Donà di Piave dal 1922 per richiamare, con le sue campane, i fedeli alle sacre funzioni e ricordare lo scandire del tempo o, meglio, per invitare il credente alla preghiera.

L’imponente statua dell’Angelo, poi, con il suo indice alzato ricorda di pensare alla cose del Cielo.

Sia il campanile che l’Angelo non sono gli originali, perché entrambi sostituiscono quelli distrutti in tempi e soprattutto modalità diversi.

La storia del nostro campanile e dell’angelo caduto, a cura di Marco Franzoi

 

Il vecchio campanile del Duomo

La costruzione del campanile del Duomo di San Donà di Piave fu avviata nel 1854 dall’arciprete mons. Biscaro e completata, solo nel 1902, dall’arciprete mons. Rossi.

I lati della base quadrata misuravano 9,5 m, mentre quelli della canna (alta circa 21 m) erano di 6,5 m, con muri di spessore pari ad 1 m. Sopra la canna si alzava per 7,5 m lo spazio per i quadranti dell’orologio, uno per ogni lato.

Al di sopra era collocata la torre campanaria, alta 6,5 m, che ospitava 4 campane (di cui un sonello), che erano state benedette nel 1855.

Infine, all’apice, si trovava la cuspide collocata su una base ottagonale. Il campanile era alto 55 m, croce all’apice esclusa.

Nei giorni che seguirono la disfatta della Seconda Armata nella zona di Caporetto (24-25 ottobre 1917), l’esercito Italiano ripiegò e si riorganizzò sul nuovo fronte costituito in pianura dal Piave. Lungo gli ultimi chilometri della sponda destra del fiume era schierata la Terza Armata comandata dal Duca d’Aosta e, in particolare, da Noventa al mare, c’era il XXVIII Corpo d’Armata. Lungo la sponda opposta, cioè  la sinistra, quella di San Donà, si sarebbe dislocata invece l’“Isonzo Armee”.

Funzionale all’”accoglienza” dell’esercito austro-ungarico, che incalzava, era l’abbattimento degli edifici alti, che sarebbero inesorabilmente divenuti luoghi strategici di osservazione del fronte italiano e, quindi, l’interruzione degli attraversamenti del fiume: vennero così dapprima abbattuti i campanili dei paesi sulla sponda sinistra del Piave e quindi i ponti stradali e ferroviari.

A questa sorte non scampò il campanile del Duomo, a quindici anni dal suo completamento, per mano della 20^ compagnia genieri, comandata dal capitano Ettore Borghi, che innescò le mine:

Il giorno 7 novembre, mentre Mons. Luigi Saretta si trovava a Grisolera impegnato per il trasporto del materiale ospitaliero, furono sistemate le mine nel campanile di S. Donà: il brillamento si effettuò alle ore 23: uno schianto, come un ruggito, susseguito da una scossa quasi di violento terremoto che si ripercosse a 10 Km. di distanza, e da una densa colonna di fumo e di polverio che si diffuse su tutto il paese, seguito dal gridìo spaventoso del popolo che interpretò in quella caduta la sua ultima condanna, la fame e la prigionia. A quel tristissimo funerale assistette, pallido e tremante, il cappellano don Giovanni Rossetto, attualmente arciprete in Noventa di Piave.” (C. Chimenton, 1928) 

Ci vollero 48 anni per costruirlo: un secondo per distruggerlo!…

Da quel momento fu definitivamente sospeso il transito dei civili attraverso il ponte sul Piave (fatto brillare due giorni dopo) e chi si trovava ancora dalla parte di San Donà era destinato a convivere con l’invasore austro-ungarico, che di lì a tre giorni sarebbe arrivato alla sponda sinistra del fiume.

La mattina del giorno 8 novembre, Mons. Saretta, di ritorno da Grisolera, vide le rovine del suo campanile: il dolore, l’affanno di quei giorni, il susseguirsi delle commozioni lo avevano reso insensibile a tutto; con lo stesso veicolo riprese il viaggio verso Grisolera per trasportare al Conventino il materiale dell’asilo e un po’ di derrate alimentari, conservate ancora e risparmiate dalle devastazioni di quei giorni. Fu di ritorno a S. Donà la sera stessa.” (ibidem) 

A guerra terminata, il Vescovo di Treviso, mons. Longhin, redasse una celeberrima relazione sulle rovine prodotte dagli avvenimenti bellici agli edifici sacri e, in particolare, così riferiva su San Donà di Piave:

La devastazione del paese, che fino dai primi giorni della resistenza sul Piave si trovò necessariamente sotto i tiri delle nostre possenti artiglierie, si ripercosse anche sugli edifici sacri. La chiesa distrutta non ha in piedi che i muri perimetrali, tormentati e torturati dal fuoco; il campanile fu schiantato; la canonica un ammasso informe di macerie (…)”

Il nuovo campanile

Terminata la guerra, tra immense difficoltà si avviò la ricostruzione del nuovo Duomo e del campanile.

La delibera ufficiale della “fabbriceria della chiesa parrocchiale di San Donà di Piave” (composta da mons. Saretta, G. Pasini, G. Sgorlon, A. Biancotto) per la richiesta di esecuzione (e quindi il finanziamento) dei lavori per la ricostruzione del campanile, fu presentata al Commissariato per le Terre Liberate di Treviso il 9 febbraio 1921. L’approvazione fu firmata il 3 giugno dello stesso anno.

Il progetto del nuovo campanile (come quello della chiesa) fu affidato all’architetto veneziano Giuseppe Torres, così pure i lavori,  all’Impresa Veneta di ricostruzioni.

Si procedette con grande velocità e, nonostante gli intoppi burocratici legati agli errori delle perizie per l’ottenimento dei finanziamenti, il campanile “massiccio, grandioso” (sic C. Chimenton) fu ultimato nell’agosto del 1922, sullo stesso sito del precedente.

Nel complesso la nuova torre campanaria acquistò una migliore eleganza rispetto agli “anacronismi stilistici” (sic C. Chimenton) del precedente, fatto brillare dall’esercito italiano.

Dopo la loro fusione, da parte della ditta De Poli di Udine, il 18 febbraio 1922 (il sonello invece 12 luglio 1923), le campane furono collaudate il 10 maggio dello stesso anno, per essere poi collocate nella cella campanaria nel marzo 1923: il Sabato Santo di quello stesso anno suonarono a festa, benedette solennemente dal Vescovo di Treviso mons. Longhin.

L’attuale campanile, situato tra la chiesa e la canonica (che si trova dove un tempo c’era l’Istituto San Giuseppe), fu costruito sullo stesso sito del precedente.

Il basamento è lo stesso del campanile distrutto, che sprofondò parzialmente nel terreno, in seguito al crollo causato dalle mine: come si può osservare è infatti più basso dalla parte del Duomo.

Il campanile presenta uno zoccolo a muratura di mattoni a finte bugne. Sopra l’alta canna, in mattoni a faccia vista con due finestroni e l’orologio (della ditta Giuseppe Ballasso di Piove di Sacco), si trova la cornice in pietra artificiale e quindi la torre campanaria, con aperture a forma di trifora romana fiancheggiata da lesene sormontate da teste di leone, per un totale di otto.

Sopra si trova una balaustrata, quindi il tamburo ottagonale su cui poggia la cuspide, sostenuta da un’ossatura di travi in cemento armato.

Sempre secondo gli scritti di Chimenton (che si è basato anche sui suggerimenti dell’amico ing. Leonardo Trevisiol dell’Ufficio Tecnico Speciale del Commissariato di Treviso), “la cuspide, tronco-conica in cemento armato, posantesi sull’ottagono e rientrante un po’ troppo nelle smussature, appare assai ristretta in rapporto all’aspetto massiccio della canna e al gigantesco angelo”.

Gli elementi del campanile ritenuti provvisori poco dopo la costruzione, di fatto, sono presenti ancora ai giorni nostri: “alle parti in marmo e stucco, parti decorative, sono state sostituite opere provvisorie in cemento; alle parti in pietra naturale sarà provveduto a tempi migliori, quando la fabbriceria avrà fatto fronte agli impegni finanziari da cui oggi è vincolata, sostenuti per abbellire maggiormente gli edifici del culto”. E ancora, ai quattro angoli della balaustra sopra la torre campanaria “dovranno essere posti quattro stemmi, e, sopra i quattro pilastri d’angolo, quattro vasi, ornamenti necessari al raccordo della cella con la guglia” (C. Chimenton, 1928). 

Rispetto al progetto originario, poi, il campanile è rimasto privo del semipronao, che doveva essere sistemato sulla facciata della porta di accesso, “iniziante le decorazioni che si dovranno completare nella prima parte della canna”.

 

La vecchia statua lignea dell’Angelo

A completamento del campanile fu collocata la statua dell’Angelo. La posa in opera – a carico dell’Impresa Veneta – avvenne un paio di mesi dopo il termine della costruzione del campanile: il 26 ottobre 1922 l’Angelo svettava “quale messaggero di pace, che provvede al popolo che gli sta d’intorno; (…) che richiama a tutti il pensiero del cielo (…)” (C. Chimenton, 1928).

La statua, alta 5 m,  fu disegnata dallo stesso architetto del Duomo e del campanile, G. Torres, e fu eseguita in legno (rinforzata con elementi metallici) dalla ditta Ferdinando Demetz di Ortisei (Val Gardena). La statua fu poi rivestita a San Donà – pare dall’artista sandonatese Striuli – con lamierini di rame, battuti secondo le forme del legno scolpito e quindi fissati con chiodi.

L’Angelo era ritto, con una mano sull’impugnatura della spada, appoggiata con la punta presso i piedi; l’aspetto di nobile veneziano e l’atteggiamento del volto severo.

Ebbene, quella statua è rimasta lì al suo posto sino al 1966, quando:

Alle ore 23,30 di lunedì 8 agosto, durante un nubifragio, un fulmine di grande potenza si è abbattuto sul nostro campanile scaricandosi regolarmente sul parafulmine, ma dando fuoco alla grande statua dell’Angelo che internamente era di legno.

La statua bruciò, lassù, fino alle ore 3,30 del martedì 9 agosto, quando con uno spettacolo veramente impressionante a vedersi, fu visto l’Angelo aprire le ali come per prendere il volo, sfasciarsi in un grande globo di fuoco e precipitare al suolo dalla parte di Piazza Rizzo. Presenti in piazza ad osservare, impotenti ad impedire il disastro, vi erano i Sacerdoti, i Vigili del Fuoco, i Vigili Urbani e tanta gente, tutti trepidanti non sapendo come sarebbe andata a finire.

E così l’angelo è disceso dal suo trono senza recar danno, né al campanile, né al Duomo o agli edifici circostanti. Era lassù da 44 anni (…)

Aveva resistito all’infuriare del ciclone del 4 luglio dello scorso anno, non si sarebbe certo pensato di vederlo ora cadere così miseramente per un fulmine dopo chissà quanti ne avrà veduti abbattersi ai suoi piedi!”  

Segue a questa cronaca dell’evento (F.P. 28/8/1966), l’auspicio dell’arciprete mons. Dal Bo per la ricostruzione, con l’aiuto di tutti:

È certo che ora per rifare una statua come quella e fissarla lassù ci vorranno milioni. I Sandonatesi sono decisi a voler che l’angelo ritorni in cima al campanile che veramente ora si presenta mutilato e incompleto. Per desiderio unanime il Consiglio di Amministrazione della chiesa ha aperto una sottoscrizione di offerte affinché l’opera si compia (…)

Intanto per rimuovere i resti, pericolosi per i passanti in via del Campanile, per riparare le cornici della cuspide del campanile deteriorate dal tempo, e per riporre una statua dell’angelo in cima ad esso, il Consiglio di Amministrazione lavora per trovare la Ditta che si assuma l’impegno dei lavori e un laboratorio artistico che esegua la statua. L’Arciprete è certo che anche in questa circostanza la generosità sandonatese non si smentirà”.

L’abbattimento naturale della statua fu quasi un lugubre presagio di un altro fenomeno naturale che colpirà tutto il territorio (e non solo Sandonatese) di lì a tre mesi: l’alluvione.

Rimane una foto che ritrae le golene ricolme delle acque del Piave con, sullo sfondo, la cuspide del campanile avvolta dalle impalcature per il restauro… La spesa per la nuova statua e per il dovuto restauro della cuspide ammontarono a 12 milioni di lire.

Della statua originaria dell’angelo non è andato tutto perduto. Rimane infatti oggi un importante reperto, solo parzialmente danneggiato, conservato in un locale di Udine, acquistato a suo tempo dal proprietario da un rigattiere: è la testa dell’Angelo, avente dimensioni circa pari a 45 cm di larghezza per 50 cm di altezza. Quel fulmine – suo malgrado – permette ora di osservarla da vicino…

 

L’attuale statua bronzea dell’Angelo

La nuova statua fu pronta e posizionata in cima al campanile a 11 mesi dalla distruzione della precedente. L’Angelo ha il braccio destro sollevato in alto, mentre il sinistro tiene la spada, appoggiata con la punta a terra. Il busto dell’Angelo è piegato in avanti, per bilanciare il peso delle due ali così, guardandolo dal basso, sembra protendersi verso l’osservatore.

Dopo essere stata montata (è composta da vari pezzi) all’interno del Duomo, la nuova statua fu benedetta da mons. Dal Bo domenica 2 luglio 1967:

La nuova statua dell’Angelo, opera apprezzata degli Scultori Max e Giulio Piccinini di Udine, benedetta domenica scorsa dall’Arciprete, è stata sistemata in cima al campanile, ad opera degli stessi Scultori, aiutati dalla benemerita Impresa Edile Antonio Dedin e Figli, sotto la Direzione dell’Ing. GianMario Portale.

Quando nella notte dell’8 agosto dello scorso anno distrutta da un fulmine cadeva dal campanile la vecchia statua dell’Angelo, unanime fu la decisione dei Sandonatesi: «vogliamo un altro Angelo grande e bello come quello di prima!»

E l’Angelo è venuto, più grande di quello di prima. L’altro infatti misurava cinque metri di altezza, questo dai piedi alla punta del dito della mano rivolta verso il cielo, misura metri cinque e mezzo.

Più bello? Molti lo affermano, ma per affermarlo bisognerebbe aver veduto da vicino l’altro.

Più solido? Sicuramente! L’altro era di legno ricoperto da una leggera lamina di rame, questo è di bronzo similoro, fuso!

certo che a vederlo in Duomo da vicino, è sembrato a qualcuno che le proporzioni non fossero state rispettate e si è trovato anche qualche altro difetto. Costoro non hanno allora pensato che l’Angelo non è stato fatto per restare in Duomo, ma per salire sul campanile ed essere quindi veduto dal basso e a grande distanza. Gli Scultori tennero conto di questo e per questo han dovuto farlo con tali proporzioni (…)”

Il nuovo Angelo non ha un ruolo prettamente decorativo, bensì di richiamo e sprone per la fede:

“Guardando all’Angelo che dall’alto del campanile, con una mano addita il Cielo, ricordiamo, o sandonatesi, che la nostra mèta è lassù a godere Dio! Non perdiamoci dietro alle cose di questo mondo come dovessimo rimanere per sempre su questa terra!

Ricordiamo inoltre che per essere degni del premio eterno dobbiamo, con coraggio e costanza, combattere i nostri nemici spirituali interni ed esterni, e questa necessità ci richiama l’Angelo del campanile impugnando la spada.

L’Angelo del campanile deve infine farci pensare all’Angelo vero, di cui esso vuol essere immagine, che dal Signore ha avuto l’incarico di proteggere la nostra città, affinché ci ricordiamo di invocarlo perché tenga lontano ogni male, ci difenda dai nemici della fede e ci ottenga le migliori Benedizioni.”

 

 

Bibliografia

–       Chimenton C. – S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella. Tomo I e II. Mario Stavolta   Editore (1928; rist. 1981)

–       Foglietto parrocchiale (F.P.) del Duomo di San Donà di Piave (nn. 28/8/66, 18/6/67, 9/7/67)

–       Perissinotto M. – “No!” disse il Piave. Artegrafica di Quarto d’Altino (1992)

–       Azzalini I., Visentin G. – Piave. Le ferite della Grande Guerra. De Bastiani Editore (2004)

–       Franzoi D., Franzoi M. – Le vetrate del Duomo di San Donà di Piave. Tipolitografia Colorama (2008)