Profughi nel Basso Piave (parte 3)
Trascorso un mese dall’inizio del peregrinare del clero e delle suore di San Donà nel territorio tra Palazzetto e Grisolera (Eraclea), il 7 dicembre 1917, i soldati bosniaci dell’esercito asburgico costrinsero con la forza mons. Saretta a lasciare casa Sgorlon (Palazzetto): con lui c’erano oltre un centinaio di persone. Quel misero gruppo si incamminò scortato dai militari verso Stretti e Torre di Mosto. Di lì a poco mons. Saretta e le Suore di Maria Bambina arrivarono infine a Portogruaro, nella cui parrocchia di Sant’Agnese si prodigarono ad aiutare la popolazione sino alla liberazione del novembre 1918.
Casa Lizier (Ponte Alto-Calvecchia)
Mons. Luigi Saretta, il parroco sfollato di San Donà di Piave, ritornò alla sua città dall’esilio forzato di Portogruaro ad un anno esatto dall’inizio dell’esodo della popolazione, causato dall’arrivo degli austro-ungarici. Grande fu la desolazione che incontrò il presule, il giorno dopo la firma dell’Armistizio: la città era stata quasi completamente rasa al suolo dall’artiglieria italiana.
Nonostante il senso d’impotenza davanti alle grandissime necessità della popolazione priva di tutto, conforto religioso compreso, e le enormi difficoltà da affrontare per risollevare e riorganizzare una città distrutta, Saretta si fece coraggio e cominciò ad organizzare i primi aiuti alla popolazione, assieme al Commissario Prefettizio Giuseppe Bortolotto, già sindaco della città prima dell’invasione.
I due stabilirono il loro “quartiere generale” nella casa di Pietro Lizier, in località Ponte Alto (Calvecchia) a circa 5 km dal centro cittadino. Di lì a pochi giorni in bicicletta da Treviso raggiunse i due anche don Pietro Filippetto, inviato dal Vescovo Longhin per aiutarli.
Il Lizier si era rifugiato a Ceggia dopo esser stato cacciato dai militari asburgici, che avevano stabilito nella sua casa un loro comando. All’armistizio del 4 novembre 1918, questa casa risultava ancora quasi completamente integra, come poche nel territorio sandonatese.
Casa Lizier divenne così il nucleo propulsivo di primo soccorso e di rinascita della città martoriata, tanto da essere al tempo stesso “chiesa, canonica, municipio, ufficio dispensa, ambulatorio e magazzino“, ma non solo.
Secondo mons. Chimenton “In Casa Lizier si gettarono le basi per il piano di opere ed istituzioni che avrebbero fatto risorgere San Donà, ad opera di mons. Saretta, del suo nuovo collaboratore don Pietro Filippetto e del Sindaco Giuseppe Bortolotto“.
L’ex casa Lizier è ancora presente, lungo la Statale Triestina, in località Calvecchia. Pur restaurata ed ampliata nel tempo, la sua facciata è ancora praticamente identica a quella di un tempo.
Tuttavia, non è stato finora esaudito il lontano auspicio dello stesso Chimenton di ricordare anche ai posteri l’importanza storica di questo edificio, in cui si sono letteralmente gettate le basi della ricostruzione della San Donà degli anni seguenti: “Casa Lizier fu la cellula da cui uscì la nuova vita religiosa e civile della moderna cittadina del Basso Piave. Noi, gelosi conservatori dei ricordi storici, esprimiamo un voto: su quella casa venga sistemata, quanto prima, una lapide commemorativa che tramandi ai posteri un avvenimento che sfuggirà alla mente dei più, se non sarà, quale monito, eternato sul marmo.”
Il Duomo
Se casa Lizier divenne il centro religioso e civile in quei primi mesi dopo l’anno di guerra, il Parroco non dimenticò il Duomo, praticamente distrutto dalle granate italiane. Appena si liberarono le macerie, Saretta celebrò un’Eucarestia tra le mura diroccate, alla presenza di trecento fedeli. Era l’8 dicembre del 1918, giorno in cui Vittorio Emanuele III, re d’Italia, transitò per San Donà nel suo giro di visita ai territori liberati.
Certo, la disperazione per le distruzioni e le necessità rischiarono di sopraffare il Parroco di San Donà, il quale così si esprimeva nel numero 9 del giornale dei profughi del Basso Piave “Elena” (1 gennaio 1919): “Da mattina a sera il mio posto è stato fra le lagrime e gli strazi: non ne posso più. Ho visto la mia chiesa devastata, e fra le rovine eretto un Crocifisso. Esso, che veramente è stato l’unico consolatore rimasto al popolo, mi dice che il mio dovere è quello di continuare fra i tribolati a confortare, a soccorrere“.
Ora quel Crocifisso, collocato da mano ignota tra le macerie della chiesa e trovato da Saretta, è custodito in una teca del pronao del Duomo di San Donà. Dalla parte opposta è collocato il busto marmoreo di mons. Saretta, un dovuto omaggio a chi per quarantasei anni (1915-1961) fu affidata la cura pastorale dei sandonatesi, avviò e contribuì all’edificazione di tante opere civili e religiose, ancora oggi presenti nella nostra città.
A cura di Marco Franzoi
Bibliografia
- Chimenton C. – S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella. Tomo I e II. Mario Stavolta Editore (1928; rist. 1981)
- Saretta mons. L. – Le suore di Maria Bambina di S. Donà di Piave nell’anno dell’invasione. Memorie di guerra. Tipografia-Legatoria S.P.E.S. (1928)
- Perissinotto M. – “No!” disse il Piave. Artegrafica di Quarto d’Altino (1992)
- Bincoletto L., Smaniotto L. – Il fronte a casa nostra. Tipolitografia Biennegrafica (2008)
- D’Elia Marta – La storia dell’Asilo “San Luigi” dal 1915 ad oggi. Ricerca d’archivio-Storia della pedagogia (dattiloscritto)
- Santon don Francesco – Mons. Luigi Saretta. Arciprete di San Donà di Piave per 46 anni. Tipografia Editrice Trevigiana – Tipolitografia Passart (1970; rist. 2003).