Padre Marcello Sorgon ha incontrato il gruppo missionario
P. Marcello Sorgon, carmelitano scalzo sandonatese, in Madagascar da 38 anni, a pochi giorni dal suo rientro in missione, ha voluto incontrare i componenti del Gruppo Missionario “P. Sergio Sorgon”, il cui nome deriva appunto da quello del cugino e confratello, ucciso nell’Isola Rossa nel 1985.
Prima di raccontare alcuni episodi del suo passato ed attuale operato, ha voluto fare una premessa indispensabile, che sente necessaria dopo i vari incontri con i gruppi qui in Italia.
“Prima di voler fare i missionari o di aiutarli, bisogna essere missionari; è necessario essere aperti al mondo, non chiusi nei nostri problemi”. Ancora, p. Marcello ha ricordato che non deve essere il “fare” la prima preoccupazione, ma il domandarsi come vivere la missionarietà, cui tutti siamo chiamati.
“Bisogna avere la passione di amare tutti gli uomini, con la dimensione del cuore di Cristo; bisogna sforzarci a portare nel cuore tutta l’umanità e anche quelli che non sopportiamo, che non amiamo, senza preoccuparsi di non essere ricambiati. Tutti sono infatti nostri fratelli in Cristo, anche se ci fanno del male”.
In procinto di ritornare in Madagascar, il carmelitano ha confidato di portare nel suo cuore tutti questi sentimenti.
“Nonostante il benessere, qui in Italia c’è tanta depressione, perché manca la fiducia negli altri, che va comunque accompagnata con la necessaria prudenza. Amore vuol dire cercare sempre il bene dell’altro, che comporta anche dire dei no”.
Ha ricordato poi, p. Sorgon, che la vita cristiana è caratterizzata da due componenti fondamentali: la chiamata e la missionarietà.
Richiamando gli inizi del suo apostolato in missione, ha confidato i momenti di crisi che ha vissuto. Partito con l’entusiasmo dei 32 anni, nel 1973, già all’aeroporto malgascio un sacerdote lo disilluse: “Ma cosa vieni a fare qui, che noi ce ne andiamo…”
Dopo soli quattro mesi di lezioni per imparare la lingua gli fu suggerito di iniziare subito con esperienze nelle comunità. Allora, da solo, per quasi un mese si “buttò” nelle visite e contatto con la gente.
In seguito, assieme al confratello p. Gino Pizzuto, continuò a visitare le comunità più povere della foresta, raggiungibili solo dopo decine di chilometri a piedi. E le esperienze di catechesi, vuoi per le difficoltà di espressione, vuoi per l’estrema povertà della gente, si limitavano ad insegnare semplici canti ed a proporre un po’ di catechesi, durante la Messa.
Questi furono i primi quattro anni di apostolato missionario.
“Qui non c’è niente da fare” fu in quei tempi il suo pensiero ricorrente… Quella crisi però la superò perché capì che appunto non bisogna fare, bensì essere missionari. Lì maturò l’idea che la missione consiste nello stare con la gente, nella condivisione con i poveri: acquisì allora serenità!
I successivi quattro anni li trascorse nel sud della nazione, per sostituire il cugino p. Sergio, che si era ammalato. Anche lì, tra gente molto povera, la catechesi si riduceva ad insegnare un po’ di canti e preghiere molto semplici. Il successivo apostolato continuò poi al nord, ad Itaosy. P. Marcello ha maturato un’esperienza di undici anni quale maestro dei novizi carmelitani.
La Chiesa malgascia è molto incentrata nell’operato dei fedeli laici, organizzati a diversi livelli (comunità di base, comitati), sui quali il clero ha solo un’azione di coordinamento. I laici hanno comunque più responsabilità dei sacerdoti nella gestione delle opere. La mole di lavoro pastorale è immensa.
I cattolici sono il 26% della popolazione (che è pari a circa 20 milioni di abitanti), poi circa un 24% sono i cristiani protestanti e il 49% animisti; vi sono anche i musulmani.
M.F.