Finestra biblica: il Vangelo di Luca

6.  La decisione di andare a Gerusalemme

Negli ultimi tempi del ministero pubblico in Galilea Gesù stringe un rapporto più stretto con i suoi apostoli. Li invia in missione e in un certo modo li prepara ad attraversare gli eventi che egli dovrà vivere a Gerusalemme: moltiplica i pani (Luca narra una sola moltiplicazione), li interroga sulla sua identità, annuncia la passione e risurrezione, e le condizioni della sequela con un vocabolario incomprensibile (croce, salvare, perdere, rinnegare se stessi). Nella trasfigurazione parla con Mosè ed Elia «del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (9,30-31).

La partenza per la Città santa è sottolineata con toni molto forti in 9,51: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Le ragioni della scelta possono essere decifrate tra le righe della parabola del buon samaritano, non a caso raccontata per via e ambientata sulla strada che da Gerusalemme scendeva a Gerico (10,29-37). Per vivere, affermava la legge, bisogna amare Dio e il prossimo, ma si ama il prossimo, aggiunge Gesù, «diventando prossimo» (10,25-28). In altre parole, la meta del viaggio non è davanti a noi ma accanto a noi; il traguardo è già raggiunto ogni qual volta interrompiamo il nostro viaggio per camminare accanto agli altri, condividendo in profondità la loro vita. Il samaritano della parabola compie esattamente ciò che Gesù farà a Gerusalemme: salva l’uomo dalla morte. «Passa accanto all’uomo mezzo morto», e come nell’incontro del Signore con la vedova di Nain, «vide» e «ne ebbe compassione». Per due volte compare il tema della cura: «si prese cura di lui», «abbi cura di lui». Il verbo greco è rarissimo: compare qui e in 1Tm 3,5 applicato alla cura che un vescovo deve avere per la sua chiesa.