Finestra biblica: il Vangelo di Luca

1. Il biografo di Maria

Fedele alla sua intenzione di fare «ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi» (1,3), Luca risale a racconti fino ad allora inediti, sull’infanzia di Gesù.

Nel primo dei due brani di annunciazione posti in apertura del vangelo, mette subito il lettore in contatto con l’agire potente di Dio (1,5-25). Nel tempio, cuore della spiritualità ebraica, al cospetto del «Santo», durante l’offerta dell’incenso, il Signore risponde alla preghiera di due anziani coniugi, Zaccaria ed Elisabetta, annunciando attraverso l’angelo Gabriele il dono del figlio desiderato (la scena inaugurale al tempio, luogo dei sacrifici di tori e agnelli, potrebbe giustificare il simbolo del toro applicato al terzo vangelo). Zaccaria ed Elisabetta sono i primi poveri del vangelo, non perché privi di figli, ma perché pregano: chiunque prega è povero, consapevole che nulla può senza l’aiuto di Dio.

Il secondo annuncio di nascita ha per protagonista Maria (1,26-38) ed ha contorni molto diversi dal primo: l’angelo Gabriele lascia la capitale Gerusalemme per raggiungere Nazaret, un villaggio della Galilea dove abita una giovane, promessa sposa, che non ha chiesto nulla. Il Signore entra nella vita di Maria non per esaudire una sua preghiera, ma per chiedere. Le parti si rovesciano: Dio si fa mendicante, quasi a vestire la condizione del povero.

La tradizione riconosce in Luca il biografo e il cantore di Maria. Nei primi due capitoli, chiamati per l’appunto i «vangeli dell’infanzia», ritroviamo per ben tre volte le parole della Madre: nel colloquio con l’angelo Gabriele (1,34.38), il canto del Magnificat (1,46-55), nella scena del ritrovamento di Gesù al tempio (2,48). Una quarta e ultima frase mariana è inserita nel brano delle nozze di Cana, tramandatoci dall’evangelista Giovanni («Non hanno vino»; «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»: Gv 2,3.5). Con sottolineature delicate ed eloquenti Luca dipinge un magnifico volto di Maria: è la piena di grazia, o più esattamente, la trasformata dalla grazia (1,28); è la prima esegeta della Parola («Si domandava che senso avesse un saluto come questo»: 1,29). Diversamente da Zaccaria, che accoglie le parole dell’angelo con un come di incredulità («Come potrò mai conoscere questo?»: 1,18), Maria pronuncia come di modalità («Come è possibile?»: 1,34), si informa cioè sul modo con cui Dio adempirà la sua Parola, nella quale lei crede. Maria diventa il tabernacolo di Gesù sulla terra perché «crede nell’adempimento della promessa del Signore» (1,45). La fede è la prima beatitudine del vangelo di Luca: beato chi crede che nulla è impossibile a Dio (cf. 1,37.45).

L’annuncio della maternità divina non separa Maria dal mondo; al contrario, ella condivide con radicalità i problemi e le vicende di ogni uomo, è inserita in circostanze che destano anche nel suo cuore interrogativi nuovi, ai quali lei, e non più l’angelo, deve rispondere[1]. Proprio nella notte di Betlemme Luca svela il tratto più specifico di Maria: «da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19). Il verbo custodire esprime la capacità di serbare nella memoria, di interrogare e confrontare gli eventi della vita tra loro e con la Scrittura per giungere a capirne il senso; racconta «il lavorio interiore di una donna attenta, completamente aperta al mistero di Dio, che accoglie nell’oggi, senza rimanere legata alle manifestazioni di ieri»[2]. Maria «scorge in quella nascita, avvenuta in quelle circostanze, il compimento delle promesse divine»[3]. La vita della Madre, come profetizza Simeone, sarà attraversata dalla Parola che è il Figlio, dovrà capire le scelte di Gesù, sperimentando nella sua anima il dolore dell’incomprensione e del rifiuto della Parola («una spada attraverserà la tua vita»: 1,35).

Luca inserisce nelle pagine luminose dei vangeli dell’infanzia motivi a lui cari. Il primo è la gioia («Rallegrati, piena di grazia»: 1,28; «Vi annuncio una grande gioia»: 2,10; le note del Magnificat, del Benedictus e del Nunc Dimittis: 1,46-55.67-79; 2,22-38; nella pagina delle beatitudini comparirà il verbo «ridere»: «Beati voi che ora piangete perché riderete: 6,21, ecc.). Luca insiste particolarmente sull’azione dello Spirito (Giovanni Battista sarà colmato di Spirito Santo: 1,15; lo Spirito scenderà su Maria e Gesù è concepito per opera dello Spirito Santo: 1,35; lo Spirito accompagna l’attesa di Simeone e lo guida nel riconoscimento del Bambino: 2,25-27, ecc.). Infine, Dio sceglie di annunciare la nascita del suo Figlio ai poveri: si potrebbe vedere nell’incontro dell’angelo con i pastori una sorta di terza annunciazione, dove per la prima volta compare la parola oggi: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». I pastori sono persone ben istruite sui pericoli della notte e dei lupi; soprattutto sono capaci di vigilanza: «Vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (2,8). Gesù dichiarerà questo stato di veglia una beatitudine (12,35-38).