Documentazione: Per una comunità cristiana credibile, partendo dalla scelta della sobrietà di vita
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale ha proposto alla comunità un approfondimento sul tema:
“Per una comunità cristiana credibile, partendo dalla scelta della sobrietà di vita“.
Riportiamo una sintesi della relazione e del dibattito che ne è seguito guidato da don Franco Marton:
Decidere di seguire Gesù impone una decisione sull’uso dei beni.
Gesù dice ciò che vive
Gesù è l’unico ad avere una coerenza totale tra parola e vita: ciò che ha detto prima lo ha vissuto. Quanto all’uso dei beni, il Vangelo riporta due parabole, quella di Lazzaro e l’uomo ricco (Lc 16, 19-31) e del ricco stolto (Lc 12, 31-21): sono uomini posseduti dai beni, più che possessori di beni.
Dai due racconti evangelici si evince che i beni di ordine materiale (cibo, vestiti, casa, raccolti…), quando sono molti: rompono la relazione con gli altri (e non solo con i poveri); oscurano, fino a rompere la relazione con Dio (rendono sordi alla Parola e rimuovono il pensiero della morte e di Dio giudice, perché il ricco si crede immortale); rendono infelici, come è scritto anche in Mc 10,22 (qui e nella vita eterna, cioè per sempre).
Gesù, allora, fa a tutti una proposta radicale sui beni: rinunciare (Lc 14, 33), vendere e dare in elemosina (Lc 12, 33). Poi a chi lo segue (gli itineranti) dice: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”. Lui vive così. La povertà degli itineranti rende credibile il Vangelo.
Gesù ha predicato ciò che viveva: ha avuto dei beni, ma mai molti, non è stato ricco; ha usato i beni, conoscendo il valore del denaro, ma senza adorarlo (Lc 16, 13); ha vissuto una vita sobria, condividendo i beni con i suoi e con i poveri (cassa comune).
Tuttavia, in alcuni momenti della sua vita la rinuncia volontaria dei beni materiali è stata totale: dalla mangiatoia alla croce, rinunciò liberamente ai beni come segno ai suoi di totale abbandono e fiducia al Padre.
Gesù fa capire che i beni della terra vengono da un Padre creatore e provvidente, che pensa agli uccelli dell’aria ed ai gigli del campo e, quinti, tanto più a noi uomini (Lc 12, 22-31).
La sobrietà nelle prime comunità
Le primissime comunità cristiane, descritte nei capitoli 2-4 degli Atti, hanno ripensato l’insegnamento di Gesù, ma senza ammorbidirlo, poiché l’uso evangelico dei beni è decisivo per essere suoi discepoli.
Per i “residenti”, cioè quelli che vivevano stabilmente, decisero questi punti fermi: l’uso dei beni e la relazione con i poveri; scelte libere, diversificate per ciascuno e rispettate da tutti; la condivisione (è la forma dell’uso dei beni che diventa povertà); avere come pilastri di sostegno la Parola, l’eucaristia e preghiera, la fraternità ed i poveri; la comunità povera è segno evangelizzante, irradia il Vangelo ed attira i pagani.
Agli itineranti (missionari), ieri e oggi, è chiesto invece uno stile di vita basato su: una povertà radicale che diviene condivisione, ospitalità ed accoglienza delle comunità (dipendono dagli altri per la casa, il cibo…). Modello del missionario è Paolo: libero, povero e solidale con i poveri (At 20, 32-35).
La povertà nella storia della Chiesa
Anche nella Chiesa, l’istanza della povertà è sempre stata presente come desiderio. Il documento conciliare Lumen Gentium (cap. 8, par. 3) cita che: “come Cristo ha redento attraverso la povertà e le persecuzioni, così la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per trasmettere la fede”.
Negli anni ’90, nel documento del sinodo dei vescovi “Evangelizzazione e testimonianza della carità” (al n. 47) si riporta che “l’amore preferenziale per i poveri è: esigenza intrinseca del Vangelo, criterio di discernimento pastorale, verifica della fedeltà della Chiesa a Cristo, onde essere veramente la chiesa dei poveri.”
Scegliere la “sobrietà” personale e comunitaria
La parola sobrietà chiarisce che: la povertà in sé stessa è un male (uno scandalo) da eliminare, tuttavia, la scelta libera della povertà è una beatitudine; il possesso dei beni, il loro uso smodato non te li fa nemmeno gustare, mentre, un uso sobrio te li fa apprezzare; la sobrietà, oggi e per noi, si gioca sull’uso che facciamo del denaro.
Una sobrietà solo individuale può, tuttavia, degenerare in individualismo e spiritualismo. È necessario pertanto il discernimento comunitario, come via obbligata per le scelte personali, familiari, ecclesiali, sociali sull’uso dei beni.
Dai lavori di gruppo sono emerse alcune considerazioni:
La sobrietà conduce alla libertà dalle cose ed avvicina a Dio quando è vissuta non come privazione, ma come scelta consapevole e modello di vita. È difficile trasmetterne il valore ai figli: la forte influenza dell’attuale società consumistica è un grande ostacolo. Il suggerimento emerso è quello di cercare di spostare l’ottica comune per godere di altre cose oltre ai beni materiali, dando priorità alle relazioni ed ai valori fondamentali (famiglia, amicizia..). La sobrietà è favorita dalla vicinanza con il povero: la sobrietà come segno di solidarietà diventa pedagogica. Il metro di confronto è il Vangelo e in particolare la vita delle prime comunità cristiane: è un confronto scomodo che necessita di discernimento.
Le indicazioni, allora, per vivere la sobrietà nei vari ambiti sono:
sobrietà personale: assumere la sobrietà come un valore sull’esempio di Gesù; uso di cose “usate” in prestito (vestiti, carrozzine…); distacco dai beni, uso del denaro senza sperperarlo; non buttare nulla (il cibo avanzato, i vestiti..);?attenzione anche alle amicizie che scegliamo: non dobbiamo essere discriminanti nei confronti dei più poveri; uso del tempo da saper gestire, non sprecare, ma saperlo donare agli altri; servizio civile volontario per i giovani; consumo critico;
sobrietà familiare: è importante coinvolgere i vari membri nelle decisioni economiche; la sobrietà è anche saper rinunciare a ciò che è superfluo e destinare qualcosa per gli altri (beneficenza, percentuale del bilancio familiare spendibile per i poveri); feste più sobrie (in occasione dei sacramenti, dei compleanni); rinunciare al di più del lavoro (e quindi a maggiori soldi) per dedicarsi ai figli e alle relazioni; informarsi sul consumo critico, commercio equo e solidale, bilanci di giustizia, banca etica;
sobrietà parrocchiale: essere vicini ai poveri della comunità per imparare la sobrietà; elaborare delle proposte e dei percorsi per educare ed aiutare a vivere la sobrietà; recuperare il significato della colletta; destinare ai poveri una percentuale del bilancio parrocchiale.
Incontro del Consiglio Pastorale Allargato a Marteggia di Meolo 10 giugno 2006