Cento anni dopo
CENTO ANNI DOPO
di Marco Franzoi
Una piccola riflessione per confrontare due 30 ottobre, distanti temporalmente un secolo.
Nel primo (era il 30 ottobre 1918) verso le 13, dopo un lungo anno, i soldati italiani riattraversavano il Piave su una passerella (a valle dell’attuale ponte), per dirigersi a Portogruaro. In quello stesso giorno, su permesso speciale concordato al momento, transitava di lì anche mons. G.B. Bettamin, il primo civile a ritornare tra le macerie di San Donà.
Ebbene, esattamente cento anni dopo lo “stesso” fiume è alto, minaccioso, rigonfio delle acque color caffelatte raccolte prevalentemente dal suo bacino montano; bacino che poi, come un grande imbuto, si stringe per tutta la pianura sino al mare Adriatico. Cento anni dopo, pur bagnato dalle acque limacciose sin quasi alla base, il ponte è rimasto comunque transitabile nei due sensi.
Si è avuta una situazione simile a quella della grande alluvione del 1966, con marea eccezionale a Venezia e mareggiate (il giorno 29 ottobre), causate dal forte vento di scirocco. Al massimo di piena, nel pomeriggio-sera del 30 ottobre, il livello del Piave a San Donà è arrivato a circa 2 m dal colmo degli argini della golena sommersa: nel 1966 mancava meno di un metro.
Il Fiume e la pianura circostante, che attraversa, sono due entità idraulicamente distinte. Ed è bene che restino sempre tali, perché altrimenti significa che il fiume ha versato le sue acque sul territorio circostante, per tracimazione o addirittura cedimento degli argini. Bacini di bonifica e acque “esterne” (i corsi spesso pensili, comunicanti con il mare) devono rimanere ben separati, grazie a queste dighe delimitanti l’alveo di piena.
Le acque del Fiume hanno il loro percorso, compreso tra gli argini, mentre le acque del resto del territorio sono gestite dalla rete della bonifica che (per buona parte del territorio di San Donà) ha il suo collettore finale nel Brian. Anche questo canale, direttamente collegato con il mare (ma difeso in caso di necessità dal manufatto in località Brian), è arginato poiché pensile rispetto a buona parte del territorio che attraversa.
Il livello del Piave dipende dalle precipitazioni del suo bacino montano: può essere in piena anche se in pianura non piove o lo fa comunque non abbondantemente, proprio come in questo 30 ottobre, in cui la rete di bonifica ha lavorato in regime normale.
Il Piave, in realtà, possiede un varco di collegamento diretto con il territorio: il sostegno dell’Intestadura di Musile. Grazie a questa “derivazione” il fiume è collegato al suo vecchio corso, che funge anche da collettore delle acque di bonifica (territorio di Millepertiche e Chiesanuova). Non è un fenomeno raro vedere l’acqua che risale a monte, quando il livello della Piave Vecchia è più alto (avendo raccolto gli scoli della bonifica) e le sue acque si riversano nel Piave.
In giorni di rischio come questi le porte dell’Intestadura vengono prontamente chiuse, per evitare appunto che il corso maggiore inondi il territorio con le sue acque di piena.
Quando nel novembre 1903 ci fu una rotta degli argini proprio a livello dell’Intestadura, il nuovo parroco mons. Bettamin anticipò la sua venuta a San Donà per aiutare la popolazione colpita. Allora ci fu il “battesimo” (in acqua!) dell’Idrovora di Cittanova, che cominciò a funzionare per smaltire le acque del Piave esondato.
La ritinteggiatura (tra agosto e primi di ottobre di questo 2018) ha ridato al Ponte della Vittoria la vivacità dei colori del fiume e delle sue sponde… ma di quando esso è calmo e placido, non come in questi giorni!
L’emergenza ci ricorda inesorabilmente che tali fenomeni sono ricorrenti, hanno un “tempo di ritorno”. Di tali eventi è infatti ricca la storia di questo territorio.
I nostri antenati, del resto, hanno scelto come Patrono San Donato, dedicandogli in epoca medievale un piccola cappella che si trovò prima nella sponda sinistra e poi in quella destra, a causa appunto delle deviazioni del fiume allora non imbrigliato. E San Donato è il protettore contro le alluvioni.
Marco Franzoi