40 anni dalla morte di mons. Fulgenzio Pasini, Vescovo francescano di Sanyuan
Il 17 aprile ricorrono i 40 anni dalla morte di mons. Fulgenzio Pasini (1897-1985)
Mons. Fulgenzio Ferdinando Pasini, francescano originario di San Donà, uomo di profonda fede, umile e schivo, fu il primo vescovo della Diocesi di Sanyuan (Cina), da cui fu espulso nel novembre 1953 dal regime comunista maoista. Si trattò “solo” di un allontanamento fisico, perché spiritualmente egli rimase sino all’ultimo legato alla sua diocesi, firmandosi sempre nel ricco epistolario “Vescovo di Sanyuan”, anche nell’ultima e definitiva sede di Gerusalemme. Scriveva: “
Malgrado tutto, rifacendo tutte le mie dolorose esperienze, sognerò sempre di ritornare.”
Partecipò a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II. Dal 1991 è sepolto presso l’entrata della Basilica di Tutte le Nazioni (Getsemani) di Gerusalemme, dove per 28 anni celebrò l’Eucarestia, fece direzione spirituale e confessò i fedeli.
Nel Duomo di San Donà è ritratto nella formella della vetrata di Sant’Antonio con Ezzelino da Romano.
Ferdinando Pasini ricevette la solida fede cristiana – così come le quattro sorelle e due fratelli – dapprima in famiglia, dal papà Giuseppe e mamma Teresa Girardi, per poi maturarla nella sua lunga vita, in cui si possono distinguere tre periodi di 28 anni: il primo “formativo” (1897-1925), il secondo “in Cina” (1925-1953) ed il terzo “in Terra Santa” (1957-1985).
Cenni biografici
Ferdinando Pasini nacque a San Donà di Piave il 2 aprile 1897. Il 18 aprile fu battezzato nel Duomo della cittadina, che di lì a vent’anni sarebbe stato distrutto dai bombardamenti della prima guerra mondiale: il fonte battesimale, restaurato, è ancora presente nell’attuale chiesa parrocchiale.
A sette anni, Ferdinando ricevette il Sacramento della Cresima, sempre nel Duomo di San Donà, dal neo vescovo di Treviso, il beato A. G. Longhin.
Sino ai quattordici anni visse con la famiglia nella zona di via Sabbioni, alla periferia ovest di San Donà. Mons. Bettamin, parroco dell’allora unica parrocchia cittadina, lo indirizzò al pre-noviziato francescano nel collegio San Giacomo di Monselice.
Con la vestizione del saio, nel 1912 Ferdinando iniziò il noviziato francescano a San Pancrazio di Barbarano (VI), assumendo il nuovo nome di fra Fulgenzio. Nel 1915, a Verona, ricevette la tonsura dal card. Bacilieri e l’anno successivo veniva arruolato nell’esercito italiano, per partecipare alla prima guerra mondiale. In quel periodo (1916-20) di esperienza forzata e sofferta scriveva: “Potessi quanto prima riprendere la conversazione con i confratelli e dimenticare quest’orribile mondo con tutte le sue miserie“. Dopo il congedo con il grado di tenente, finalmente poté indossare nuovamente il tanto amato saio francescano. Nel 1921 emise la Professione solenne a Motta di Livenza (TV), nelle mani di p. Leonardo M. Bello e nel 1923 venne ordinato sacerdote dal patriarca di Venezia Pietro La Fontaine.
Il 27 luglio 1925 conseguì la licenza “magna cum laude” in Diritto Canonico all’Accademia di Diritto ecclesiastico di Venezia. Nel nuovo Duomo di San Donà, a metà agosto 1925, si celebrò la messa di saluto a fra Fulgenzio, prossimo missionario per la Cina. Egli partì in nave il 31 di quel mese. Di lì a nemmeno tre settimane il Duomo fu consacrato dal vescovo Longhin.
In Cina iniziò il secondo periodo. Da insegnante nel seminario, Pasini venne nominato prefetto apostolico, poi vicario apostolico e quindi (1944) consacrato vescovo; nel 1946 divenne il primo vescovo titolare di Sanyuan.
Negli ultimi anni in Cina (1949-1953) sperimentò la crescente ostilità del regime comunista, in particolare contro i religiosi stranieri, con l’epilogo dell’espulsione per accuse tendenziose e diffamatorie, in seguito al giudizio popolare.
Il 19 marzo 1954 mons. Pasini fu accolto a San Donà con solenni festeggiamenti, dopo ventotto anni d’ininterrotta residenza in Cina. Nei successivi quattro anni in Italia (durante i quali dedicò la chiesa di Castello di Godego dove era parroco il fratello mons. Gerardo), anche grazie ad un lungo pellegrinaggio in Terra Santa (1955), il Presule maturò la decisione per la definitiva destinazione di Gerusalemme: “Potrò offrire qualche preghiera in più… sarò anche ben felice di prestare, in Terra Santa, qualche piccolo servizio, se richiesto, secondo le mie possibilità…, e così potrò essere sempre un po’ missionario”. Trascorse lì i suoi ultimi 28 anni di vita. Ebbe comunque varie occasioni per ritornare in Italia, in particolare a San Donà (es. nel 1972, in Duomo, presiedette l’ordinazione sacerdotale di fra Gianbattista Casonato) ed a Roma, dove partecipò a tutte e quattro le sessioni (1962-65) del Concilio Vaticano II.
Il 17 aprile 1985 morì nell’infermeria del convento francescano del Getsemani, a Gerusalemme.
Hanno scritto/detto di lui
“Nei suoi rapporti si riscontravano: signoria, bellezza umana del porgere, sobrietà, dignità, interesse mai estraneità, misura cristiana e armonia di gesti e continua attenzione, senza fretta, al dire altrui.” (suor Maria Ignazia Danieli)
“Quante volte in questi ultimi mesi mi ha confidato il suo tormento: l’insicurezza d’essere con Dio, di amarLo veramente sopra ogni cosa (…) Spesso ho pensato alla notte oscura dei sensi e dello spirito che attraversano le anime elette.” (p. Ignazio Mancini, Custode di Terra Santa – Gerusalemme 18 aprile 1985)
Così ha testimoniato un francescano, famoso archeologo dei Luoghi Santi che, dal 1969, ogni sabato si recava al Getsemani per confessare mons. Pasini: “Lui ci soffriva un poco nel vedermi puntuale anche quando il tempo non era buono e mi diceva: «Io pregherò molto per lei per questo sacrificio che lei fa per me.»” (p. Bellarmino Bagatti, Direttore dello Studio Biblico Francescano di Gerusalemme)
“Monsignor Fulgenzio Pasini ha nutrito sempre una particolare devozione alla Madonna, all’Immagine della Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza. Il fratello sacrestano, fr. Erasmo, affermava del nostro venerato vescovo: «Quante volte l’ho visto col fratello don Gerardo, arciprete di Castello di Godego e con il cugino P. Crescenzio sostare in lunghe preghiere davanti alla Madonna!
Penso che fosse, tra l’altro, una tradizione della famiglia Pasini. Monsignore nel suo comportamento aveva una delicatezza edificante. Se non c’era nessuno si portava vicino alla grata, e con la testa fra le mani, s’indugiava a lungo in contemplazione, assorto, immobile. Se dai piccoli gradini laterali scendeva qualche persona per una visita, una preghiera, si spostava, retrocedeva, quasi si nascondeva nella penombra senza procurare il minimo rumore, senza recare il più leggero incomodo. Quando il posto rimaneva vuoto ritornava a riavvicinarsi.»” (p. Luigi Prodomi)
“Carissimo Padre (P. Custode Ignazio Mancini, nda)! Tornato in sede da Assisi ho trovato un suggerimento da parte di un confratello, e cioè di pensare alla causa di beatificazione di Mons. Fulgenzio Pasini. Tutta la sua vita è stata esemplare, ma penso soprattutto agli anni trascorsi (una trentina!) al Getsemani…” (p. Florindo Refatto, Ministro Provinciale – Venezia, 23 giugno 1985)
“Un giorno d’estate mi trovavo nel Duomo di San Donà assieme a mio papà Carlo e mia mamma Liberina. Mio papà, visto il vescovo missionario Pasini, volle che andassimo a salutarlo. Così mi presentò a lui dicendogli che volevo diventare missionario e che a settembre sarei entrato in seminario. Mons. Pasini allora mi diede la sua benedizione, che è ancora valida e conservo tuttora per la mia vocazione.” (don Ugo Montagner, missionario fidei donum in Brasile – San Donà di Piave, 5 ottobre 2018)
“Miei ricordi sotto il regime comunista”
Nel 1956, durante il periodo trascorso in Italia, mons. Pasini scrisse “I miei ricordi sotto il regime comunista”, un libro con la cronaca dei giorni che precedettero la sua espulsione dalla Cina, dopo il giudizio popolare.
Nonostante i duri momenti vissuti, il suo tono è sempre pacato, a tratti con fine ma sempre rispettosa ironia, che viene rivolta alle circostanze, senza mai usare un tono sarcastico verso le persone. Ecco qualche breve brano:
“Sono stordito per tutto l’assieme del giudizio popolare, ma più che tutto sono pervaso da una profonda tristezza: fra poco devo lasciare i Sacerdoti, i Seminaristi, le Suore, i fedeli che tutti non potevano essere più buoni con me! Vi ritornerò? Li rivedrò? È il segreto del Signore, e non mi indugio a scrutarlo (…)”
“All’oscuro, appoggiato sul kang, m’invade l’animo una profonda tristezza, sono abbattuto, accasciato. La testa stordita al sommo, lo stomaco vuoto, le gambe che non mi reggono; non riesco a reagire a tanta depressione, e questo non fa che accrescermi la tristezza, tanto da esserne spaventato!
Sarò rimasto così un quarto d’ora, ma m’è bastato! Per misericordia del Signore ritorno dopo tranquillo e sereno, senza arrivare però alla perfetta letizia, che avrebbe desiderato il Padre S. Francesco.”
“Ritornato in Italia, i Superiori dell’Ordine ed i Confratelli Francescani, a Roma e nel Veneto, i miei parenti, la mia cittadina natale – S. Donà di Piave – con a capo Mons. Arciprete ed il Sindaco, tutto il paese di Castello di Godego m’accolsero con grandi e festose manifestazioni di simpatia e di affetto: a tutti sono molto riconoscente, tutti e ciascuno ringrazio di cuore, ma…
Qualche tempo fa un venerando Sacerdote (…) butta là questa esclamazione: «Anche lei ha una grave malattia! (…) Sì, anche lei è ammalato di cinesite!» Ed avendo io fatto segno di non comprendere, continua: «Tutti i Missionari ritornati dalla Cina che ho incontrati, tutti hanno in mente che la Cina, non parlano che della Cina, pare proprio che per loro non esista al mondo che la Cina!»”
A cura di Marco Franzoi