Un contributo di riconoscenza
In questo mese di luglio sono tornati alla Casa del Padre don Enrico Dario e don Ettore Andreatti, che hanno fatto parte della comunità salesiana del nostro Oratorio negli anni ’70. Ci pare doveroso (e lo si fa volentieri) dedicare qualche riga di ricordo a questi due sacerdoti, che sono ancora nella viva memoria di molti che li hanno conosciuti a San Donà.
Don Andreatti, morto il 22 luglio a Trento, all’età di 85 anni fu direttore dell’Oratorio tra il 1970 e il 1976. Don Enrico Dario (morto il 7 luglio scorso a 80 anni) arrivò a San Donà come coadiutore salesiano nel 1973, per partire poi missionario in Bolivia nel 1981.
Don Andreatti e i fermenti dei primi anni ’70
I primi anni ’70 furono per l’Oratorio un periodo di transizione, con la “modernità” che bussava alle porte, le prime applicazioni del Concilio, lo scontro tra generazioni e vari altri cambiamenti della società che non potevano non influire anche sulla gestione dell’opera educativa salesiana.
Don Andreatti si trovò a capo della comunità dell’Oratorio di San Donà proprio in quegli anni di fermento. Durante la sua direzione si cominciarono a discutere e ad attuare i primi timidi tentativi di proposta educativa anche per le ragazze (la cui presenza sino ad allora era preclusa all’Oratorio), si tennero i primi campi di Mani Tese (già Operazione Mato Grosso) e dell’Operazione Bolivia.
Particolarmente attento al mondo della scuola, oltre alla promozione del Centro di Formazione Professionale salesiano, egli stesso avviò in Oratorio (in collaborazione con la Scuola Media Ippolito Nievo, nella figura dell’ex-allievo e preside prof. Barbuti) i corsi della terza media serale per lavoratori e poi il “Canto dell’Usignolo“: iniziative diverse, ma che ebbero notevole successo e continuità nel tempo.
In quei primi anni ’70 l’Ispettoria Veneta si apriva alle missioni del Sudamerica, così cominciarono le raccolte di carta-ferro e le prime partenze di salesiani. Nel 1976, in seguito al terremoto in Friuli, si aprirono ulteriori fronti di impegno per i giovani oratoriani.
Don Andreatti stabilì un ottimo rapporto con la Parrocchia del Duomo in cui è inserito l’Oratorio, intessendo legami di collaborazione e stima con i due parroci di allora. A tal proposito riportiamo alcune righe della lettera di ringraziamento a mons. Angelo Dal Bo (febbraio 1974):
“(…) Carissimo Monsignore, colgo l’occasione per porgerLe tutta la mia riconoscenza per la stima, l’affetto, la generosità e la cordialità che ha sempre avuto per i Salesiani e per l’opera che i Salesiani svolgono all’Oratorio. Le auguro di rimettersi in salute per poter continuare il suo apostolato tra le anime della nostra Parrocchia.”
A pochi mesi dall’arrivo del nuovo parroco mons. Bruno Gumiero, don Andreatti scrisse a quattro mani con lui per la Pasqua 1975 il libretto “Un popolo in cammino”, in cui vennero indicate le linee del piano pastorale, che portarono ad es. – dopo l’esperienza a Cison di Valmarino – all’avvio delle piccole comunità, esperienza che durò per diversi anni a San Donà.
Alcune curiosità sono legate agli anni di direzione di don Andreatti.
Nel 1972, su progetto del geom. Leandro Rizzo, fece modificare l’altare e quindi il presbiterio della chiesa dell’Oratorio, secondo le nuove indicazioni conciliari. Già all’inizio dello stesso anno esordì in chiesa la pianola elettrica e poi l’8 dicembre la prima “orchestrina” con chitarre, per l’animazione del canto liturgico.
Nel 1975 don Andreatti fece sostituire il vecchio organo della chiesa (fu collocato – già usato – negli anni ’50) con il nuovo ed attuale.
Sempre in quell’anno il sig. Mantellato organizzò l’atterraggio di un elicottero dell’aeronautica militare nel cortile dell’Oratorio: alla fine, per ragioni di spazio, si dovette optare per il vicino campo Dus, a qualche centinaio di metri dall’Oratorio, dove si radunarono assieme al direttore don Ettore numerosi ragazzi delle associazioni e del gruppo sportivo oratoriano.
Don Ettore Andreatti è morto a Trento alcuni giorni dopo aver ricevuto gli Oli Santi, il 22 luglio (S.ta Maria Maddalena), giorno anniversario della morte di mons. Giuseppe Cognata, il vescovo salesiano cui fu devoto e a cui è titolata la Casa per anziani salesiani di Castello di Godego, che don Ettore ha avviato e diretto per quindici anni (1998-2013).
Mons. Cognata fu all’Oratorio di San Donà per l’Ordinazione sacerdotale di don Bruno Zamberlan, nel 1971, con direttore don Andreatti.
Così come aveva chiesto all’Ispettore, don Ettore Andreatti nel 2013 è ritornato nella Comunità salesiana di Trento, sua terra d’origine da dove era partito.
Ecco il suo ultimo scritto su un pezzo di carta:
“La strada del ritorno si fa più vicina. Spero di incontrare sulla porta di casa il Padre con le braccia aperte, che non attende scuse, ma chiama tutti a far festa.
Ti ringrazio Gesù di questa descrizione che ci hai lasciato.
Come il figliolo prodigo voglio ringraziare il Padre:
Per il bene voluto a me e alla mia famiglia unita;
Per aver mandato Gesù a salvarmi;
Per il dono dello Spirito Santo.
Il mio testamento: a Gesù l’anima, a Maria il mio cuore, alla terra il corpo.”
Don Dario, “padrecito” in Bolivia
Don Enrico Dario è morto improvvisamente a Pordenone il 7 luglio a 80 anni, nella sua camera. Don Germano Colombo, il direttore del Collegio Salesiano nella cui comunità si trovava da tre anni, lo ha trovato a metà pomeriggio riverso, con la mano sul cuore.
È comune a molti missionari che lavorano sugli oltre 3000 m di El Alto-La Paz, come ha fatto per diversi anni don Dario, dopo un po’ dover tornare a vivere ad altezze inferiori, perché in altura il cuore tende ad ingrossarsi.
Dario (il cognome era usato da tutti come nome) era partito da laico salesiano dall’Oratorio il 4 ottobre 1981, il giorno in cui le strade di San Donà erano intasate per la Fiera del Rosario. Nel salone partenze dell’aeroporto Marco Polo salutò ad uno ad uno i numerosi giovani e confratelli venuti festosamente ad accompagnarlo e disposti su una lunga fila.
Ben presto in Bolivia egli capì che la gente aveva necessità di pastori. Così, dopo lo studio della teologia a Cochabamba, fu ordinato sacerdote nel 1985: trent’anni il 7 settembre di quest’anno 2015. E per i boliviani divenne “padrecito Darìo”, sacerdote, confessore, predicatore e insegnante.
Fu inviato ad operare – sino a quando la salute lo ha permesso – nell’altipiano andino, vicino a padre Dino Oselladore, suo zio e confratello salesiano, con cui è vissuto come un fratello sin dagli anni dell’infanzia a Chioggia. Proprio da lui, che andò a trovare qualche anno prima in missione, ricevette lo stimolo e l’entusiasmo per la missione ad gentes.
In seguito p. Dario fu inviato nell’Oriente boliviano del Dipartimento di Santa Cruz, nelle missioni di Sagrado Corazon e poi San Carlos, dove ha seguito per un periodo la zona di San German.
Gli anni a San Donà (dal 1973 al 1981, eccetto il 1976) Dario li ha vissuti da coadiutore, sensibile al mondo dell’handicap (collaborando con la sig.ra Gianna Prata) e delle missioni, seguendo il gruppo “Operazione Bolivia“.
Quando rientrava periodicamente dal Sud America veniva e restava volentieri all’Oratorio di San Donà, dove c’erano numerosi amici da incontrare.
Nel 2001 un gruppo di giovani anche di San Donà ha potuto vivere con padre Dario e gli altri salesiani di San Carlos una bella e significativa esperienza di animazione con i boliviani. Hanno visitato assieme a p. Dario alcune comunità campesine, sperimentando l’entusiasmo di questo salesiano, la capacità di creare (e di cercare) la comunità con la sua semplicità, i suoi rosari in jeep durante i ritorni dalle visite alle comunità della foresta, intervallati da vari canti mariani imparati negli anni giovanili trascorsi nell’Oratorio di Chioggia, dove fu attratto dalle figure di salesiani quali il coad. Brando Sartori e don Angelo Muraro…
Dario è sempre stata una persona in grado di creare amicizie e di creare catene di solidarietà: molti sono gli amici e i benefattori che grazie a lui hanno potuto solidarizzare con i poveri della Bolivia.
La salute lo ha costretto a rientrare definitivamente in Italia nel 2011, trascorsi trent’anni di esperienza missionaria in Bolivia. Dopo una breve permanenza nell’infermeria salesiana di Mestre, ha vissuto gli ultimi tre anni nella comunità salesiana di Pordenone, mettendosi umilmente a disposizione per le Eucarestie e le confessioni.
La sua caratteristica sono state le puntuali e metodiche telefonate agli amici, le sue visite nelle camere dei confratelli, con il sorriso e sempre minimizzando i malanni fisici che aveva (“non è niente, non è niente“), la parlata ricca di termini in castillano con la tipica cantilena chioggiotta.