Santa Caterina da Siena nelle vetrate del Duomo
Caterina nacque a Siena nel 1347, venticinquesima figlia di Lapa e Jacopo Benincasa, tintore senese.
Nell’infanzia ebbe la visione di Cristo sorridente, dal cui cuore usciva un raggio luminoso che feriva l’anima della bambina, tanto che ella desiderò “fidanzarsi” col suo Gesù già a sette anni. Dopo molte sofferenze, riuscì a vestire l’abito delle Terziarie Domenicane, le Mantellate. Si dedicò alle opere di misericordia negli ospedali e nei lebbrosari, vivendo di preghiera, digiuni e penitenze.
Nell’infanzia ebbe la visione di Cristo sorridente, dal cui cuore usciva un raggio luminoso che feriva l’anima della bambina, tanto che ella desiderò “fidanzarsi” col suo Gesù già a sette anni. Dopo molte sofferenze, riuscì a vestire l’abito delle Terziarie Domenicane, le Mantellate. Si dedicò alle opere di misericordia negli ospedali e nei lebbrosari, vivendo di preghiera, digiuni e penitenze.
Attorno a lei si raccolse una compagnia di seguaci ed ammiratori (nobili e popolani, preti e religiosi), che la riconoscevano come madre spirituale. Si riunivano per ricercare assieme la perfezione e per riflettere sui drammi che sconvolgevano la Chiesa del tempo, ma anche per dedicarsi allo studio della Commedia di Dante e dei trattati teologici di San Tommaso.
Caterina cominciò ad inviare lettere ai prelati, magistrati, regnanti ed al popolo, per esortare la pacificazione e la riforma dei costumi. Scrisse anche al Papa, da lei chiamato “dolce Cristo in terra“, senza tuttavia rinunciare a rivolgergli i più duri rimproveri (erano i tempi della “cattività avignonese”), convincendo Gregorio XI a ritornare a Roma. In seguito allo scisma che lacerò la Chiesa d’Occidente, Caterina s’impegnò per la difesa ed il riconoscimento del vero Papa.
Morì a 33 anni. Disse: “L’unica causa della mia morte è il mio ardente amore per la Chiesa, che mi consuma”. Negli ultimi tempi sembrava che non si nutrisse d’altro che d’Eucarestia.
Nel 1939 fu dichiarata patrona d’Italia da Pio XII e nel 1999 patrona d’Europa da Giovanni Paolo II.
Ad un anno dalla proclamazione di Caterina quale patrona d’Italia, fu installata nel Duomo la vetrata che la ritrae assieme a San Francesco.
Così scriveva il parroco mons. L. Saretta nel Foglietto Parrocchiale dell’1 settembre 1940: “Sono ormai assicurate, per la festa del 24 settembre (la Madonna del Colera o delle Grazie, ndr) le nuove vetrate artistiche: S. Francesco con S. Caterina…”
Poi, il 13 ottobre: “Sono riuscite veramente artistiche le due nuove vetrate! Bella quella a destra dell’Altare della Madonna, rappresentante S. Francesco e S. Caterina Patroni d’Italia“. Così furono proclamati, entrambi il 18 giugno 1939, da Pio XII.
La composizione è secondo la tradizione classica per la regolarità del disegno dei protagonisti, rappresentati ritti in piedi e vicini gomito a gomito; il fondo scuro alle loro spalle dà l’effetto di estrofletterli in avanti.
L’autore fa percepire che la luce esterna arriva dall’alto verticalmente, fino a raggiungere la testa di San Francesco; poi, scendendo, crea un vaporoso saio e fa vibrare la veste viola di Santa Caterina, accendendole con un bagliore il volto diafano. La luce si distende ed intensifica i colori; passa attraverso l’intarsio delle forme fortemente modellate, cogliendo le figure come immobili, assorte, facendo emergere i profili, i volti, le membra con la poesia che abita i due Santi, rappresentati in una mobilità tutta interiore, fusa nei propri sentimenti.
Santa Caterina tiene nella mano destra un candido giglio – simbolo di purezza – e, nell’altra, il libro dei suoi scritti; volge il capo verso Francesco, con sguardo abbassato, timidamente, come per farsi piccola.
San Francesco, presentato nella sua intima e serafica semplicità, con un gesto sospeso della testa volge lo sguardo solidale verso Caterina. Egli ha le braccia incrociate sul petto, in segno di fraternità e tiene in mano la corona del Rosario. Sulle sue spalle sono posati due uccellini variopinti. In questa composizione, si esprime un’ideale ricerca naturalistica, evidente anche nella descrizione dei dettagli: il colore bronzeo del saio, i piedi nudi sporgenti dai sandali e la colomba, tra le due figure.
L’interesse di molti artisti italiani dell’epoca, secondo il filone culturale-artistico del “Realismo”, è proprio rivolto “all’idillio amoroso alla natura”, con sentimenti per la luce ed il colore. È qui evidente l’attenzione dell’autore per la natura, per la vita con le sue cose semplici, delicate, evocanti poesia dai modi lenti e cadenzati, come messaggi d’amore.
Nella lunetta superiore, due bianche mani con le bende, avvolgono la croce che emana la luce.
Nella formella inferiore, in una cornice ottagonale, sono rappresentati la Basilica di San Pietro e il Campidoglio (sede del sindaco di Roma), simbolo della Cristianità e dello Stato, di cui sono patroni i due Santi. La cornice della vetrata è costituita da elementi decorativi a forma di ottagoni schiacciati, di un ornato stereotipato. (Fonte: Le vetrate del Duomo di San Donà di Piave – D., M. Franzoi – 2008)
M.F.