Ricordando p. Siro Pellizzaro sdb, missionario in Ecuador tra gli Shuar
Il giorno 13 maggio scorso, Festa della Madonna di Fatima, p. Siro Pellizzaro è spirato a Cuenca (Ecuador) ad 85 anni di età, 54 di sacerdozio e 64 di attività pastorale tra gli Shuar del sud-est dell’Ecuador.
Un’Eucarestia di suffragio viene celebrata a Fiorentina venerdì 17 maggio alle ore 18.30.
Questo salesiano originario di Fiorentina di San Donà, dove nacque il 9 luglio 1933, ha vissuto tutta la sua attività pastorale tra e per la popolazione Shuar.
Negli ultimi anni il rientro in Italia era stato più rado, soffrendo un progressivo problema agli occhi.
A San Donà, oltre ai familiari, incontrava sempre volentieri i numerosi amici a Fiorentina e all’Oratorio Don Bosco, che frequentò sino dalle elementari e medie. Continuando ad andare all’Oratorio anche negli anni della ragioneria all’Istituto Sarpi di Venezia, nacque la sua vocazione sacerdotale salesiana.
Indirizzato dall’allora direttore don Domenico Moretti, frequentò l’aspirantato di Trento, per continuare la formazione ad Albarè, e Brescia. Lì fece la sua richiesta di partire per le missioni, chiedendo al Rettor Maggiore don Ziggiotti di poter lavorare tra gli Shuar (detti comunemente “kivari”). Partì in nave per il Sud America il 22 novembre 1953.
Ancora tirocinante (1955) fece la sua prima esperienza missionaria a Yaupì. Proprio allora, tra la gente e con i bambini cominciò a conoscere i loro miti, la lingua, iniziò ad alimentarsi e a lavorare come loro, in una parola, cominciò il cammino di inculturazione, divenendo maestro credibile e stimato anche agli occhi dei capi villaggio.
La successiva vita missionaria di p. Siro si è spesa in quelle missioni del Vicariato apostolico di Mendez (con sede a Mácas), in un territorio tra i fiumi Santiago (Marañón) e Pastaza, affluenti del Rio delle Amazzoni.
Siro fa parte quindi della grande schiera dei salesiani, che sino a tre giorni prima della morte di Don Bosco (31 gennaio 1888) hanno avviato numerose opere educative, e non solo, in Ecaudor, dai 4000 m della Cordigliera Andina sino ai 300 m dei bassi piani orientali, invasi dalla foresta amazzonica.
Pellizzaro è stato molto apprezzato tra gli antropologi, per i suoi studi e l’esperienza diretta tra gli Shuar, che gli hanno fatto pubblicare vari libri. Ha condotto un lavoro antropologico universalmente riconosciuto, raccogliendo le tradizioni Shuar, i miti e leggende, trascrivendo la lingua indigena parlata con caratteri accettati dai glottologi.
Nel 1969 ha pubblicato la prima grammatica scientifica della lingua Shuar, poi una raccolta della mitologia (una quindicina di libri), dei riti delle celebrazioni Shuar, di circa 5000 canti e un dizionario enciclopedico. Inoltre, ha tradotto in lingua Shuar tutti i libri (filosofia, teologia, testi liturgici, ecc.) usati del seminario per indigeni da lui fondato e gestito fino all’ultimo nella missione di Sucúa.
Questo lungo ed intenso lavoro missionario ha già dato dei frutti. Dopo aver preparato i primi ministri Shuar (1962-’63), nel 1981 ha fatto la professione di fede la prima suora Shuar dell’ordine da lui fondato, le “Mari nua” (letteralmente “donna-Maria”), che lo hanno coadiuvano nell’impegnativo lavoro di apostolato e nel seminario, da cui sono partiti numerosi ministri laici che lavorano nei vari villaggi, distribuendo la comunione e facendo esorcismi.
Negli ultimi anni si sono formati alcuni diaconi permanenti sposati, che benedicono i matrimoni e celebrano i battesimi.
Negli ultimi anni, anche con il venir meno delle forze e della vista, lo si sentiva sempre più preoccupato per come sarebbe continuata quest’opera tra gli Shuar, per continuare nello sforzo di preservarli dalla cultura dominante che tende a distruggere questa loro identità.
In una lettera del 2011 commentava: “ I missionari invecchiano e i giovani non arrivano. Quelli che arrivano non imparano la lingua degli indigeni e non possono inculturare il Vangelo.”
E, ancora, cinque anni fa: “Noi missionari siamo sempre meno, però gli Shuar, anche se pochi, prendono poco a poco il nostro posto. Con le strade sparisce la selva. La televisione, il telefonino, le compagnie minerarie dividono le comunità cristiane, creando molta confusione nel cuore degli indigeni. La invasione di moltissime sette religiose, e i partiti politici, mettono uno contro l’altro. Da una cultura monolitica a una pluralistica è un passo difficile. Ci vuole molto dialogo, cosa quasi impossibile in un gruppo disperso, che corre dietro alle novità. Grazie alle strade, posso ancora visitare i villaggi…
Ma concludeva, con le parole dell’uomo di fede: “Dio farà l’impossibile.”
Marco Franzoi