La firma della Costituzione e, a San Donà…
Ricorrono in questi giorni i 70 anni dalla Promulgazione della Costituzione da parte di E. De Nicola, Capo provvisorio dello Stato. Quel 27 dicembre 1947 cadeva entro i cinque giorni previsti dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente (22 dicembre). La Costituzione entrò poi in vigore l’1 gennaio del 1948.
Questa legge fondamentale della Repubblica italiana fu il risultato di un accordo fra le diverse componenti del popolo italiano, che si assunsero il compito di ricostruire l’ordinamento nazionale dopo il referendum del 2 giugno 1946.
Si era all’indomani del termine di una guerra che aveva lasciato ovunque i suoi drammatici effetti e nella ricostruzione del tessuto sociale tutte le varie forze mettevano il massimo degli sforzi.
Quel fine 1947 a San Donà
Sfogliando le pagine del Foglietto Parrocchiale dell’allora unica Parrocchia di San Donà di Piave (se si esclude Passarella, costituita nel 1911) è possibile ripercorrere la cronaca di alcuni eventi degli ultimi mesi del 1947.
Il 7 settembre, nel cortile dell’Oratorio si era posata la prima pietra (è incastonata nell’angolo nord-est dell’edificio) della “chiesa votiva”. La costruzione fu voluta per sciogliere il voto dei Sandonatesi alla Vergine Maria (24 settembre 1943) per preservare la città dalle distruzioni della guerra. L’iniziativa “un mattone per la Chiesa dell’Oratorio” ebbe una risposta veramente generosa da parte della popolazione.
Il 2 novembre veniva ricordato che “finalmente l’Istituto S. Giuseppe (ubicato nel sito dell’attuale canonica del Duomo, ndr) è tornato alla sua primitiva destinazione”. Era stato costruito su volontà dell’arciprete Saretta nel 1922 quale sede delle Associazioni religiose, della Scuola Superiore di Cultura e di altre opere nate per “fiancheggiare il ministero Sacerdotale. Invece fummo costretti a cedere il locale per altri scopi, belli e utili, ma non di nostra spettanza”.
Dopo il trasferimento da lì della Scuola Media statale, l’Istituto San Giuseppe poteva così divenire sede delle Acli, della “Pro civitate” e delle altre associazioni legate alla parrocchia. In quei mesi, inoltre, ospitò provvisoriamente l’Istituto Magistrale, avviato appunto in quel 1947 e in attesa del trasferimento nella nuova sede gestita dalle Suore della Riparazione.
Il 23 novembre, sempre nelle pagine del Foglietto, si constatava amaramente il ritardo nella ricostruzione dei ponti ferroviario e stradale sul Piave, mentre il 7 dicembre con soddisfazione si annunciava che erano stati appaltati i lavori per la costruzione del nuovo Ospedale Civile di San Donà.
In vista delle prime elezioni della Repubblica
Se sulle pagine del Foglietto il parroco Saretta non riportò direttamente riferimenti alla firma della Costituzione ed alla sua entrata in vigore; sul finire del 1947 e agli inizi del nuovo anno egli mostrava tuttavia tutta la sua preoccupazione in vista del prossimo “appuntamento” da essa sancito.
“La nostra Patria, uscita quasi esausta da una orribile guerra perduta, si trova minacciata da altri nemici, che vorrebbero togliere, insieme con la libertà, anche la fede”. Proseguiva poi con l’auspicio che “nel 1948 sparisca la disoccupazione, sorgano le case, i ricchi mutino i loro capitali a favore dei poveri, cessino gli odi, trionfi in tutte le anime la santa legge del Signore e in ogni focolare ritorni il benessere, la concordia e la pace.” (F.P. 28/12/1947)
Agli inizi del nuovo anno esprimeva il suo pensiero sul clima sociale-politico creatosi. Ricordando l’amico e collaboratore Attilio Rizzo, affermava infatti che “la sua figura brilla di luce in mezzo alle aspre e dolorose vicende di questo dopo guerra così tormentato e così diverso dall’ideale purissimo di libertà e di religione ch’Egli (Rizzo, ndr) aveva sognato…” (F.P. 18/1/1948)
Ancora, in un articolo in cui raccontava della sua visita a Papa Pio XII, mons. Saretta scriveva: “In mezzo alla babele contemporanea, nel marasma spaventoso di questo dopo guerra, fra le contrastanti ideologie che ubriacano le masse, avvelenate di odio e di menzogne, più che mai risplende la luce infallibile che irradia dal Vaticano e richiama popoli e nazioni sui sentieri della verità e della sapienza…” (F.P. 7/3/1948)
Sappiamo appunto che il clima socio-politico, in vista di quelle prime elezioni politiche della neonata Repubblica Italiana, era piuttosto teso e mons. Saretta richiamava alla responsabilità nel voto dei fedeli prima di tutto. L’esortazione dell’Arciprete indirettamente ricordava l’art. 48 della nuova Costituzione, secondo cui l’esercizio del voto è dovere civico.
Egli comunque, in vista del voto del 18 aprile 1948, riportava le direttive contenute nella lettera della S. Congregazione del Concistoro del 31/3/1947 che, in particolare, al punto 1 diceva: “In considerazione dei pericoli, ai quali sono esposti la religione e il bene pubblico, e la cui gravità esige la collaborazione concorde degli onesti, tutti coloro, che hanno diritto di voto di qualsiasi condizione, sesso o età, senza alcuna eccezione, e perciò anche se professano un particolare religioso tenor di vita, sono in coscienza strettamente e gravemente obbligati a far uso di quel diritto”.
Infine, in vista della “fatidica data che avrebbe deciso le sorti dell’Italia”, l’Arciprete concludeva nel suo modo consueto e franco: “Perché, diciamolo francamente, è molto comodo in questo periodo agitato, rimanere indisturbati e, per un vano timore di essere accusati di politicismo, lavarci le mani come un Pilato qualunque. Non lamentiamoci poi se, a lumi spenti, saremo disturbati nella nostra olimpica neutralità e magari con le chiese saranno incendiate anche le nostre case.” (F.P. 4/4/1948)
M.F.