La festa di sant’Antonio di Padova

Vetrata del duomo di San Donà di PiaveNel 1227 Antonio si stabilì a Padova e divenne “il Santo della città”, dalla quale la fama del suo sapere, dei suoi miracoli e delle conversioni da lui operate si diffuse ovunque.
Ezzelino III da Romano era il tiranno sanguinario che dominava la città di Verona, ad una settantina di chilometri da Padova. La sua fama sinistra fu così grande che Dante, nella Divina Commedia, lo colloca all’inferno tra gli assassini, nella fossa di sangue bollente. La gente, al suo nome, si faceva il segno della croce e bisbigliava: “Il figlio del diavolo!”.
Antonio, sollecitato da alcune autorità di Padova, che temevano un colpo di mano di Ezzelino sulla loro città, si recò dal tiranno accompagnato da fra Luca. Arrivò al suo accampamento militare con l’unico scopo di ottenere la liberazione dei prigionieri per amor di Dio e per farlo riflettere sulla sua condizione, potente ma sempre umana. L’accoglienza ai due francescani fu fredda e beffarda.
Al momento dell’incontro, Sant’Antonio così proferì: “Sono venuto ad annunciarti che la giustizia di Dio ti raggiungerà presto. Cambia vita e libera quei poveri prigionieri”. E il suo interlocutore: “Ti rendi conto di quello che stai dicendo, frate? Non hai paura di me?”. “Io temo soltanto Dio”, replicò Antonio. Quegli riprese: “Ma io ti posso uccidere, se voglio”. “Lo so. Ma non potrai dare ordine ai tuoi uomini di difenderti davanti al tribunale di Dio. Là sarai solo e dovrai rendere conto di ogni tua azione. Cambia vita, dunque”.
Ezzelino non gli rispose più e lo fece cacciare dai suoi sgherri. Antonio tornò a Padova sconfitto ed offrì a Dio la sua amarezza.

La scena raffigurata nella vetrata del Duomo di San Donà è secondo la tradizione popolare, secondo cui Sant’Antonio convertì Ezzelino, non così nella realtà…

La vetrata del Duomo

 

La vetrata si trova nel vano finestra al lato sinistro dell’altare di Sant’Antonio e rappresenta il Santo che affronta il tiranno Ezzelino da Romano.
È costruita con le tecniche tradizionali delle antiche vetrate istoriate dipinte a grisaglia e cotte a fuoco. L’artista conferisce alla vetrata quella piena efficienza richiestagli dalle esigenze del luogo sacro.
Il colloquio dei due personaggi è rappresentato tramite un meticoloso e raffinato disegno; l’immagine è sviluppata in tutta la verticalità centrale sino alla lunetta, con unitarietà della scena.
Ezzelino, in posa zigzagante genuflessa, indossa l’abbigliamento di guerra, l’armatura, con un’espressione di orgoglio, inginocchiandosi però umilmente ai piedi “della verità della fede cristiana” del Santo.
La luce avvolge tutto in una cristallina atmosfera scenografica; i bagliori, guizzanti sui raccordi a squamature dell’armatura, accentuano la suggestione dell’immagine del guerriero.
La composizione segue uno schema avente un andamento diagonale, da destra a sinistra. La posa in profilo di Sant’Antonio si staglia sull’ampia prospettiva dello spazio a cielo azzurro solcato da nubi, con uno scorcio di paesaggio veneto.
Nella formella inferiore è raffigurato il volto di mons. Fulgenzio (Ferdinando) Pasini, sandonatese, vescovo di Sanyuan (Cina), morto a Gerusalemme il 17 aprile del 1985. È sepolto presso l’entrata della “Chiesa di Tutte le Nazioni” del Getzemani.

La formella è opera della Vetreria Artistica Gibo di S. Giovanni Lupatoto (VR).

Tratto da “Le vetrate del Duomo di San Donà di Piave” (Franzoi D. e M., 2008)