Intervento di Federico Teker in ricordo del dott. Pietro Perin

Il dott. Federico Teker ha ricordato la figura del dott. Pietro Perin durante la messa per il 50° anniversario della morte
Il dott. Pietro Perin giunge a San Donà di Piave nel 1911. Aveva vinto il concorso per la condotta di Palazzetto e Chiesanuova e aveva deciso di fissare la sua residenza nella nostra città.
Nel 1911 aveva 42 anni, essendo nato a Creazzo, comune in provincia di Vicenza, nel 1869. Era già un medico esperto: aveva fatto pratica in una condotta dal 1909 vicino a Creazzo e soprattutto aveva fatto pratica in alcune cliniche di specializzazione universitaria a Parma. Inoltre aveva anche il diploma di farmacista.
Medico quindi molto esperto, dedito alla professione, con quella carica data dalla formazione cristiana che aveva ricevuto nella sua famiglia e nella parrocchia, dove aveva sempre dato la sua collaborazione particolarmente come, allora si diceva, “conferenziere“, oggi noi diciamo “relatore“, cioè una persona che sapeva approfondire un tema affidatogli, però in una forma molto piacevole, con un’oratoria gradevole. Giunge con questa capacità ed esperienza non solo professionale, ma anche di collaboratore della pastorale parrocchiale dell’epoca e dà questa sua disponibilità al parroco di quegli anni, mons. Bettamin.
Arriviamo poi agli anni tragici della prima guerra mondiale (1915-18). Il 26 giugno del 1915 giunge in canonica verso sera in forma discreta, perché sono periodi tragici difficili, il nuovo parroco don Luigi Saretta. Trova la canonica occupata dal comando militare italiano e gli viene data una branda per passare la notte. La mattina dopo però dice la sua prima messa in Duomo e lì incontra il dott. Pietro Perin che aveva la regola di trovare forza per la giornata nella santa messa e nell’eucaristia.
È un incontro tra due persone che dovranno essere molto importanti e decisive non soltanto per la salute spirituale e la vita delle persone, ma anche per una situazione tragica che li vedrà protagonisti: San Donà viene invasa dagli austriaci, subirà la distruzione prima per l’abbandono delle truppe italiane, poi ci sarà l’esodo verso Portogruaro. In quegli anni tragici e difficili, per molti versi per noi quasi impossibili da superare, il dott. Pietro Perin rimarrà l’unico medico. C’era il dott. Dal Negro per un periodo, poi rimarrà l’unico medico in un territorio vastissimo poiché la popolazione della nostra zona si era distribuita come profuga praticamente dal Piave al Tagliamento.
Perin dovrà affrontare i problemi dell’assistenza medica in un grande territorio, ma non farà solo questo. Sarà testimone e conoscerà molti episodi di violenza, di sopraffazione, da parte delle truppe austriache nei confronti di persone indifese della nostra zona. Ogni volta che veniva a conoscenza di questi fatti li denunciava all’autorità militare finché otteneva l’intervento di limitazione di soprusi e violenze, anche a rischio della sua vita, perché gli verrà detto: “guardi che sta rischiando la sua vita, perché uno dei nostri militari ci mette poco a vendicarsi…”
Si trovò inoltre anche a operare in zona malarica soprattutto nel portogruarese e a contrastare la decisione dell’autorità militare che voleva allontanare famiglie intere dalla casa, dal lavoro nei campi, da lavoro nella stalla per mandarli verso il mare, con ciò interrompendo qualsiasi forma di sussistenza in quegli anni tragici, determinando la rovina di molte famiglie di contadini.
Come medico, come persona quindi che era capace di intervenire con competenza, si rivolse all’autorità militare superiore, chiese l’intervento di autorità sanitarie austriache e ottenne l’annullamento di un ordine che sarebbe stato la rovina per moltissime famiglie.
Si trovò anche a contrastare l’inizio dell’epidemia della febbre spagnola proprio all’inizio del 1918 che colpì la zona di Portogruaro con 20 – 25 morti al giorno. Potete immaginare questo drammatico periodo che lo vide non solo dover praticare la sua arte medica, ma affrontare situazioni molto rischiose e a rischio della vita. Questo periodo si concluse nel novembre del 1918: San Donà è stata liberata il 30 ottobre dalle truppe italiane, Portogruaro il 4 novembre.
Poi venne la ricostruzione. Ecco la prima bella ricostruzione che dobbiamo sottolineare è l’onorificenza che la popolazione diede al dott. Perin: “il medico del Piave”. Di onorificenze ne ha avute altre, ma “il medico del Piave”, il medico dei poveri e dei profughi è l’onorificenza che è stata spontaneamente riconosciuta a questa grande personalità in anni così difficili.
Non era soltanto questo ciò che lui intendeva fare. Lo vediamo maturare dal ‘18 al ‘21 senz’altro in collaborazione con il parroco, don Luigi Saretta, e con altre figure carismatiche che iniziavano la loro opera nella nostra parrocchia, un’iniziativa che voleva portare alla ribalta le persone più in grado di intervenire nella società dell’epoca. Il nucleo fondamentale ancora oggi, ma allora ero ancora più importante, è la famiglia. Perin individuò nei padri di famiglia le persone che dovevano trovare una nuova forma associativa e diede inizio la lega di padri di famiglia.
Il suo discorso di presentazione dello statuto è del 2 gennaio del 1921. Qui si capisce come lui abbia trovato la forma per dare nuova voce a dei nuclei essenziali della società. Sarà l’iniziatore di quello che puoi avrà la veste ufficiale nazionale dell’Azione Cattolica Uomini, che allora non c’era ancora perché l’Azione Cattolica si dedicava soprattutto all’età giovanile.
Nel ‘21 lo troviamo anche a livello diocesano. Nel 1925, il 25, 26, 27 settembre c’è un importante congresso eucaristico interdiocesano, e lì lo troviamo come relatore, assieme a Cestino Bastianetto e alla nostra Lucia Schiavinato. Ecco allora altri carismi. Non è soltanto isolato in un’iniziativa, ma ci sono altri carismi in altri settori della parrocchia.
Quello che è importante inoltre ricordare è che stato grande propugnatore degli esercizi spirituali. Trovò conferma in questo nell’enciclica di Pio XI del 1929 “Mens Nostra”. Fu un apostolo degli esercizi spirituali e a livello di diocesi più volte fece incontri per diffondere la pratica degli esercizi spirituali come rinnovamento spirituale soprattutto dei dirigenti e di chi partecipava all’attività delle nostre associazioni. Lo troviamo di nuovo a livello diocesano partecipare a conferenze di indirizzo proprio della nuova associazione Uomini Cattolici. La Lega dei padri di famiglia che lui fondò a San Donà, ha avuto anche una diffusione anche in altre parrocchie della diocesi.
Lo ricordiamo brevemente anche per quanto riguarda la sua pratica professionale. Esercitò ufficialmente fino al 1938, ma quando andò in pensione continuò la pratica di medico fino a 82 anni.
Visse fino al 20 ottobre del 1959. Quando compì 90 anni gli venne riconosciuta anche la medaglia d’oro per i cinquant’anni di professione medica. Però ebbe anche altri riconoscimenti: riconoscimento da parte dello stato: nel 1922 divenne Cavaliere dell’ordine della Corona d’Italia ed ebbe due riconoscimenti da parte del pontefice: l’ordine di S. Silvestro, e quello più importante nel 1953, la nomina a Cavaliere dell’ordine di San Gregorio Magno.
Ma io desidero ricordarlo soprattutto con l’onorificenza che il popolo gli ha dato: quella di “medico del Piave”, un grande testimone della nostra fede.
(registrazione audio non rivista dal relatore)