Tutta la vita è un dono: ricordando don Valerio Caramaschi

Sono trascorsi 20 anni dal ritorno alla Casa del Padre del giovane sacerdote salesiano sandonatese don Valerio Caramaschi, cresciuto nei gruppi oratoriani dell’Azione Cattolica e di Comunione e Liberazione.
Egli morì nell’ospedale di Castelfranco Veneto, dopo alcuni mesi di ricovero, il giorno della festa del Santo Curato D’ars, Patrono dei Sacerdoti, il 4 agosto 1995, a 33 anni di età “il giorno in cui il Signore lo trovò già pronto per prenderlo con Sè”.Una Messa di suffragio viene celebrata nella chiesa dell’Oratorio martedì 4 agosto, alle ore 18.30.Ricordiamo di seguito alcuni tratti della sua breve ed intensa vita.

Don Valerio Caramaschi, una breve biografia
Valerio Caramaschi nasce a Caorle il 16 marzo 1962 da mamma Malvina e papà Angelo.
La mamma confidò che per la grande felicità, per ringraziare il Signore del dono del figlio, pensò fra sé: “Signore fa che un giorno si faccia prete.” Quando poi disse questo a Valerio, egli le rispose: “Vedi mamma che Dio ti ha ascoltata?
Quattro anni dopo ci fu ancora gioia per i genitori e per Valerio per la nascita della sorella Nadia, per la quale egli avrà l’affetto e l’attenzione del fratello maggiore.Fin da piccolo il papà lo portava alla S. Messa all’Oratorio Don Bosco di San Donà ed egli cresceva nella fede e nell’amore a Dio.
Dai 4 ai 6 anni frequentò l’Asilo San Luigi e poi cominciò le elementari. Da subito dimostrò una spiccata attitudine per il disegno, che segnerà i suoi studi superiori ed universitari.
A dieci anni la maestra lo descrisse come ragazzo ben voluto dai compagni, perché rispettoso, buono e generoso con tutti.
Promosso con ottimi voti alle medie, dai suoi insegnanti veniva suggerito che proseguisse gli studi con un indirizzo artistico; si iscrisse così al Liceo Artistico di Venezia.
Nel 1978-79 partecipò a Milano due rinomate mostre nazionali di pittura, vincendo per entrambi il primo premio: “Il giovane pittore sandonatese ha un sicuro avvenire. Caramaschi, che frequenta il terzo anno del Liceo Artistico di Venezia, ha la pittura nel sangue.” (dal testo scritto dai critici d’arte).
Incoraggiato da queste affermazioni, Valerio partecipò con successo anche ad altri concorsi e mostre pittoriche.
Conseguito il diploma di Liceo Artistico, frequentò gli altri quattro anni dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Fu quello il periodo in cui cominciò a frequentare assiduamente l’Oratorio Don Bosco, impegnandosi nel Movimento di CL e nell’Azione Cattolica Ragazzi quale animatore.
Nell’ultimo anno di Accademia confidò ai genitori che in testa aveva un’idea ben più importante di tutte…, quella di farsi sacerdote salesiano.Da poco diplomato all’Accademia, nel settembre del 1984, a 22 anni, entrò nel noviziato salesiano di Pinerolo (TO), assieme ad altri tre amici oratoriani: Fabrizio Emanuelli, Duilio Peretti ed Egidio Marin, futuri sacerdoti salesiani come lui.
Seguirono gli anni di Filosofia a Roma, quindi il tirocinio a Castello di Godego (TV) e infine la Teologia a Torino.
Durante questi ultimi quattro anni di studio, la domenica prendeva servizio nella parrocchia di Moncalieri e durante l’estate andava a Palmanova (UD) per i campi con i ragazzi.
Intanto i superiori salesiani lo definivano un giovane studioso, stimato per la buona volontà, per la grandezza d’animo e l’ottimismo.
Valerio era sempre sorridente, allegro, con battuta sempre pronta ed aveva dentro di sé proprio lo spirito salesiano, lo spirito di Don Bosco, che affascinava i ragazzi che incontrava.Il 13 giugno 1992 venne ordinato diacono nel Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino.
Il 1993 fu un anno di gioia e dolore per la famiglia Caramaschi.
Al matrimonio della sorella Nadia (aprile), seguì l’Ordinazione Sacerdotale di Valerio, il 20 giugno nel Duomo di Palmanova, per mano di mons. Eugenio Ravignani, Vescovo di Vittorio Veneto.
Nel frattempo si era ammalato il papà. Nonostante fosse gravemente ammalato fu una grande gioia poterlo avere presente all’Ordinazione: fu quella la grazia che don Valerio aveva chiesto a Maria Ausiliatrice.
Alla sera, sotto un violento temporale, in Oratorio ci furono i festeggiamenti assieme a parenti ed amici, circa 200 persone.
Di lì a due mesi, assistito dal figlio novello sacerdote nell’ultima settimana giorno e notte, morì il papà Angelo: era il 5 settembre 1993.
La sera del Rosario di suffragio, don Valerio accoglieva all’entrata della chiesa dell’Oratorio chi arrivava con sorriso e parole affatto tristi.
E fu don Valerio a celebrare il funerale del papà nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe Lavoratore due giorni dopo. Ecco alcune sue parole alla predica:
… Carcinoma è una parola che in greco significa granchio. Una “bestia” che non perdona, più forte di te, che lentamente ti assale per poi farti penare molto, portandoti all’incontro con sorella morte…
Caro papà, tu non hai sofferto da solo, il Cristo del Getsemani ha sofferto accanto a te… e intanto ti prendeva per mano per portarti in cielo con Lui: e i nostri occhi han visto negli ultimi giorni la potenza del Cristo glorioso liberarsi prepotentemente dalle tenaglie del granchio.
Come si spiegherebbero altrimenti i tuoi segni di croce, le preghiere dette volentieri fino alla fine, quel misterioso “feeling” nato tra te e noi familiari, fatto di piccoli ma percettibili segni?
Caro papà, aiuta noi cristiani e in particolare me che sono prete, ad annunciare sempre e solo la cosa che più conta: Cristo non abita nelle nuvole, ma nella nostra carne. Non ha abitato solo 2000 anni fa, ma abita tuttora. Non c’è situazione umana, neanche la bestia, neanche il granchio, che possa impedire alla potenza di Cristo di manifestarsi.
Nel Signore tutto viene salvato, specie la vita faticosa dei poveri, degli orfani, delle vedove. Nulla ci separerà dall’amore di Cristo morto e risorto per noi.“Dopo pochi giorni don Valerio tornò all’Istituto Salesiano di Castello di Godego per cominciare ad insegnare a scuola, con l’incarico di catechista. Iniziò così il suo cammino sacerdotale a servizio dei giovani.
Nel maggio 1994 cominciarono i sintomi del male non subito identificato. Don Valerio dimagriva sempre più, gli venivano meno le forze, ma nonostante tutto non si risparmiava: fece i campi scuola, la proposta estate con i ragazzi.
Ad agosto ritornò in famiglia per un po’ di riposo, ma dormiva pochissimo ed era sempre più debole.
A settembre riprese la scuola, ma si sentiva sempre peggio. A novembre dovette smettere di insegnare e cominciò la trafile delle analisi, sino al ricovero nell’Ospedale di Castelfranco Veneto il 3 dicembre 1994.Gli venne diagnosticata una grave malattia del sangue che non dava speranza. Dopo pochi giorni don Valerio fu informato del male e che avrebbe avuto pochi mesi di vita.
Nonostante ciò negli otto mesi successivi egli non parlò mai della morte e affrontò tutto con una grande fede e non senza la speranza di una guarigione.
In ospedale gli facevano visita molte persone, specialmente i giovani. Tutti coloro che lo andavano a trovare dicevano che era lui che faceva coraggio agli altri, aveva sempre una parola buona per tutti. Ai confratelli salesiani chiedeva come andavano le cose, le attività dei ragazzi, i campi scuola, la proposta estate. Sembrava che in testa avesse solo il pensiero dei ragazzi.
Finché le forze glielo permisero, don Valerio ogni domenica celebrava la Messa nel reparto di ematologia, rimanendo dispiaciuto se qualche ammalato non poteva assistervi perché stava molto male: per lui gli altri stavano tutti peggio.
I mesi passavano lunghi, e don Valerio veniva sottoposto alle pesanti e dolorose cure, ma egli accettava la volontà di Dio, sempre con la speranza di guarire. Pregò molto, specialmente di notte.
Da fine aprile a fine giugno 1995 don Valerio venne ricoverato a Bologna. Lì, a causa delle forti cure non riusciva a camminare. Seguì un lieve miglioramento e rientrò nel reparto di ematologia dell’Ospedale di Castelfranco; tuttavia di lì a poco la malattia ricominciò il suo decorso e il suo corpo si consumava.Negli ultimi giorni diceva alla mamma che lo assisteva: “Prendi il tuo libro di preghiere, me ne leggi qualcuna“.
Recitava assieme ad un confratello, con fatica, qualche preghiera e diceva spesso: “Dio mio, Dio Santo“; chiamava Dio come Gesù sulla Croce e poi si metteva il braccio attorno al collo, come per aggrapparsi alla vita.Una conseguenza della malattia erano le forti febbri, anche sino a 40 gradi, che gli provocavano forti sudorazioni.
Così riporta la mamma Malvina nel libro biografia sul figlio don Valerio (da cui abbiamo liberamente tratto queste note):
Capitò in tre occasioni (la prima a Castello di Godego, la seconda a casa, quando venne per pochi giorni, e la terza all’Ospedale di Bologna) che la maglietta bianca che Valerio si toglieva dopo la sudorazione aveva impressi davanti degli aloni di colore rosso.
Quando questo episodio avvenne a casa, Nadia ed io esaminammo con attenzione la maglietta. Chiesi a Valerio se durante la notte si fosse sporcato con una bibita o altro. Lui mi rispose negativamente ed io noncurante, misi la maglietta in lavatrice.
Successivamente, a Bologna, mostrai la maglietta al medico che lo curava, ma questi alzò le mani e mi disse che una cosa così non l’aveva mai vista e che la forte sudorazione non poteva sprigionare nessuna sostanza di quel colore.
Solo dopo, alla luce dei fatti, e con gli occhi della fede, capii che il suo calvario aveva dei segni ben precisi.
Valerio era in simbiosi con il Cristo della Croce, tanto che questa sofferenza lo aveva portato a sudare sangue tre volte.“La mattina di venerdì 4 agosto 1995 don Valerio aprì gli occhi e fissò la mamma lì accanto come per dirle “ciao mamma” e spirò. Ella stessa gli chiuse gli occhi con dolore insopportabile.
Lunedì 7 agosto la salma di don Valerio fu portata da Castelfranco alla chiesa dell’Oratorio Don Bosco di San Donà dove l’aspettavano in tanti.

Nel pomeriggio si sono svolti i funerali presieduti da mons. Ravignani, che aveva Ordinato don Valerio due anni prima: la chiesa di San Giuseppe Lavoratore non poté contenere la folla di persone presenti per l’ultimo saluto.
Mons. Ravignani ricordò durante l’omelia quanto don Valerio aveva scritto nella domanda per essere ordinato sacerdote per il servizio della Chiesa ed i giovani in particolare (8 aprile 1993):
“Conscio da una parte della grandezza di questa vocazione, dall’altra dei miei limiti, invoco dal Padre il dono della sapienza, dal Figlio l’umiltà della purezza, da Maria la sua docilità allo Spirito, specie quando sopraggiungerà la croce”.

Il feretro fu poi portato a spalla da alcuni suoi giovani confratelli salesiani, uno dei quali di lì a poco partì missionario per la Cina.
Don Valerio Caramaschi è sepolto nella cappella dei sacerdoti e religiosi del cimitero di San Donà.

Note biografiche liberamente tratte dal libro curato da Malvina Caramaschi Boccaletto “Don Valerio Caramaschi. Tutta la vita è un dono”