Pio X, al secolo Giuseppe Sarto (Riese, 1835-Roma, 1914), fu l’unico Papa che percorse tutti i gradi del ministero sacerdotale: cappellano, parroco, cancelliere vescovile e canonico, vescovo, cardinale e patriarca, Papa.
In particolare San Donà di Piave lo ricorda quale Titolare dell’omonima Parrocchia sorta nel 1966 con il suo primo parroco don Lino Boni “che ha portato i pesi propri di ogni inizio con dedizione e generosità, donando a questa comunità a lui affidata, per primo e come esempio, tutto il suo grande cuore sacerdotale e pastorale” (mons. Magnani, in occasione del 30° anniversario della costituzione della parrocchia, Natale 1996).
Riportiamo di seguito i tratti essenziali della biografia di Giuseppe Sarto, Papa Pio X e la cronistoria dell’erezione della Parrocchia S. Pio X di San Donà di Piave.
Gli anni giovanili di Giuseppe Sarto, futuro Pio X (1835-1950)
Giuseppe Melchiore Sarto, il futuro Papa, fu il secondo degli undici figli dei coniugi Giovanni Battista Sarto e Margherita Sanson. Nacque il 2 giugno 1835 a Riese, piccolo centro agricolo della Marca Trevigiana allora sotto il dominio austriaco come il resto del Veneto.
Venne battezzato il giorno successivo alla nascita dal cappellano don Pier Paolo Pellizzari, che poco più di due anni prima aveva unito in matrimonio i suoi genitori.
Visse in una famiglia patriarcale povera, ma unita: una delle numerosissime famiglie di “cattolici” di Riese che costituivano la comunità parrocchiale di S. Matteo e che vivevano intensamente il loro credo.
A scuola Giuseppe era molto sveglio e dimostrava un carattere vivace, impulsivo e rigoroso; imparò a rispondere alla santa messa e a frequentare il coro. Non mancava mai alla dottrina cristiana, al catechismo ed alle altre istruzioni.
Ogni giorno si recava a pregare al santuario mariano delle Cendrole, la pieve matrice di tutte le comunità parrocchiali dei dintorni e fin dall’infanzia si sentì chiamato al sacerdozio. Il padre, cursore comunale, non era però contento che il figlio seguisse la vocazione sacerdotale e proseguisse gli studi.
Giuseppe ricevette il sacramento della cresima (che in quei tempi precedeva l’amministrazione del sacramento dell’eucaristia) quando aveva 10 anni ad Asolo, il 1° settembre 1845 e fu ammesso alla prima comunione ad 11 anni il 6 aprile 1846.
Il 22 agosto 1846 sostenne da privatista l’esame di chiusura del ciclo primario degli studi presso la scuola elementare maggiore di Treviso e poi iniziò a frequentare il ginnasio a Castelfranco.
Si recava giornalmente nel capoluogo castellano, distante da Riese sette chilometri, a piedi (a volte con gli zoccoli sulle spalle, per non consumarli) o con passaggi su carri. Ogni semestre sosteneva l’esame presso il seminario di Treviso, risultando sempre primo col massimo dei voti.
Alla fine del quarto corso ginnasiale risultò primo ancora una volta: coronò infatti i suoi studi nel 1850 presso il seminario di Treviso a pieni voti, risultando eminente in tutte le materie, primo fra i 43 alunni concorrenti privati provenienti dai vari luoghi della provincia.
Sarà sempre e senza alcuna eccezione il primo della classe.
Seminarista (1850-1858)
Fu il cardinale riesino Jacopo Monico a permettere a Giuseppe Sarto il proseguimento degli studi; egli, già professore del seminario di Treviso, divenne patriarca di Venezia nel 1827.
Giuseppe Sarto frequentò così il seminario di Padova per otto anni: il 19 settembre 1850, a 15 anni, vestì l’abito clericale ed il 13 novembre 1850 entrò definitivamente nel seminario patavino.
Il giovane seminarista venne giudicato “primo con tutte eminenze” dal 1850 al 1858, durante tutto il curriculum degli studi ginnasiali, liceali e teologici.
Nelle discipline dell’ordinamento degli studi risultò sempre fra i primi, in particolare fu eccellente studente di latino e di matematica, un po’ meno in filosofia.
Sarto si segnalò subito, oltre che per capacità intellettuali, anche per la forte personalità.
Nel seminario patavino curò soprattutto il latino e la musica sacra, per la quale ebbe un notevole interesse, componendo 15 pezzi musicali per la Settimana Santa; fu inoltre scelto come maestro di musica dei chierici e fu eletto direttore della Cappella Musicale del seminario.
Sei anni prima di ricevere il sacramento dell’ordine, la vita del giovane Sarto improvvisamente diventò più difficile per la morte del padre Giovanni Battista (1852); quell’anno fu funestato anche per la morte del fratello ultimogenito, Pietro Gaetano, nato 4 giorni prima della morte del padre sessantenne e morto solo sei mesi dopo questa data.
A partire dal 1855 Giuseppe Sarto fu ammesso ai vari gradi degli ordini ecclesiastici, nel seminario di Treviso dal vescovo Farina: agli ordini minori (ostiariato e lettorato, 22 dicembre 1855 – esorcistato e accolitato, 6 giugno 1857) e poi agli ordini maggiori (suddiaconato, 19 settembre 1857 – diaconato, 27 febbraio 1858).
Giuseppe Sarto fu ordinato sacerdote il 18 settembre 1858, nel duomo di Castelfranco Veneto dalle mani del vescovo di Treviso, Giovanni Antonio Farina, il fondatore delle suore dorotee. Egli aveva poco più di 23 anni, uno in meno dell’età richiesta, per cui per diventare sacerdote aveva dovuto richiedere alla Santa Sede la dispensa. Il giorno dopo, 19 settembre, cantò la sua prima messa a Riese.
Cappellano a Tombolo (1858-1867)
Nel novembre 1858 fu destinato cappellano a Tombolo, una parrocchia in provincia di Padova posta ai confini della diocesi di Treviso. Nel 1894, quando era già cardinale e patriarca di Venezia, si espresse qualificando l’ottennio di Tombolo come gli anni più belli della sua vita. Tombolo fu il vero tirocinio della carriera ecclesiastica di don Giuseppe Sarto, e il Costantini ne fu il vero maestro, ricco di dottrina e d’esperienza.
A Tombolo il neo sacerdote, coadiutore del parroco don Antonio Costantini, iniziò a donare alla gente più povera il frumento che gli spettava per la funzione sacerdotale svolta: c’erano persone, del tutto bisognose di sostentamento, che sentiva come suoi diretti fratelli, quasi facenti parte di un’unica famiglia, con tutti i crucci economici e giuridici che ciò comportava. Nella sua prima comunità si dedicava spesso ad opere di carità, trascurandosi nelle vesti e rinunciando anche a necessità vitali.
I testimoni ai processi canonici assicurano coralmente l’esercizio costante della carità materiale da parte del loro cappellano: era sicuro che la Provvidenza lo avrebbe sempre sorretto e guidato, e donava quello che aveva, giungendo a contrarre debiti, per onorare i quali cominciò a conoscere la via dei Monti di Pietà di Cittadella e di Castelfranco Veneto, dove impegnava il suo orologio d’argento. Era ritenuto da tutti un santo ed una perla di prete.
A Tombolo iniziò a scrivere prediche, discorsi sacri e istruzioni catechistiche (tutto il materiale omiletico da lui composto in vari periodi fu raccolto in seguito in cinque volumi, ora conservati nella Biblioteca del seminario di Treviso).
La sua quotidianità era caratterizzata da un’attività frenetica: dormiva poco (quattro ore), era impegnato ed onnipresente, sostituiva il parroco durante gli attacchi della malattia. Era detto “moto perpetuo” per la sua incessante attività in parrocchia e fuori. Sempre a contatto diretto colla popolazione di giorno, alla sera dava lezioni di canto corale e si rendeva disponibile per insegnare a leggere e a scrivere agli analfabeti, molto numerosi a quel tempo.
Studiava, alla fine della sua giornata, le opere di San Tommaso, la Sacra Scrittura, il diritto canonico (che a quel tempo era solo un miscuglio di norme giuridiche accumulatosi nei secoli).
Per tutte queste caratteristiche umane, il parroco Costantini profetizzò: “Presto lo vedremo parroco di una delle più importanti parrocchie della diocesi, poi lo vedremo con le calze rosse…e poi…chissà!”.
Parroco a Salzano (1867-1875)
Con rimpianto di tutti i tombolani, il 21 maggio 1867 fu nominato parroco di Salzano, in provincia di Venezia ma in diocesi di Treviso. Fece il suo ingresso senza alcun festeggiamento esteriore nella parrocchia di S. Bartolomeo di Salzano, di poco più di duemila anime.
La sua venuta non era gradita da parte della popolazione e dei maggiorenti del luogo, a capo dei quali si segnalarono i pubblici amministratori ed i fabbricieri, abituati a parroci di grande esperienza e di fama. Le parole di scarso apprezzamento ed i mugugni non si sprecarono: troppo giovane (32 anni) per una comunità così importante, poche referenze, troppo poco noto.
Un prete insomma “che no se ghe darìa un schèo” (un sacerdote di poco valore), ma ben presto tutti si ricredettero.
Come tutti gli storici sono concordi di sottolineare, l’impegno maggiore del nuovo e giovane parroco fu quello della catechesi degli adulti e dei fanciulli.
Aspetto saliente della sua azione pastorale a Salzano è quello dell’ammissione all’eucaristia dei fanciulli in giovanissima età, proprio appena erano capaci di distinguere la differenza fra il pane-cibo quotidiano ed il pane-cibo spirituale: anticipò tale ammissione all’età di 8-9 anni, mentre era in uso pressoché generalizzato un avvicinamento alla mensa eucaristica intorno ai 12-14 anni.
Liturgia e musica sacra erano per il giovane parroco di Salzano momenti di grande intensità e indissolubilmente legati tra loro.
L’attività pastorale sul versante mariano si realizzò soprattutto nei confronti della Madonna del Carmine; istituì la pia pratica del mese di maggio (1869) che prima non esisteva, ed onorò la Madonna Immacolata Vergine commissionando una pala d’altare nell’oratorio in località Castelliviero. Contribuì ad aumentare il culto di S. Antonio di Padova, di S. Luigi e di S. Valentino con la pala commissionata nel 1870 al pittore veneziano Pietro Nordio.
Come molti parroci veneti dell’Ottocento, si trovò investito della responsabilità di dirigere le scuole del comune: fu infatti eletto direttore nel 1868 e sopraintendente nel 1869. Durante la sua cura parrocchiale fu aperta la sezione femminile della scuola comunale, perché in precedenza, durante il governo austriaco, per le donne non era prevista alcuna istruzione. Il suo pensiero mirava anche all’alfabetizzazione degli adulti, per la cui istruzione si adoperò durante le ore serali.
Sul fronte degli anziani e della sanità pubblica, potenziò il locale ospedale civile e la annessa casa di ricovero per anziani.
Anche a Salzano don Giuseppe Sarto dedicava poco tempo al riposo notturno. Studiò in modo particolare i Padri della Chiesa, si esercitò nell’oratoria ecclesiastica e continuò a scrivere prediche.
Sul fronte del lavoro femminile don Giuseppe Sarto si impegnò anche affinché fosse industrializzata un’attività locale legata al baco da seta. Nel 1872 fu infatti inaugurato da Moisè Vita Jacur un setificio che dava lavoro a circa 200 ragazze del luogo. Il parroco contribuì anche alla fabbricazione dell’opificio assumendo l’impresa della fornitura della ghiaia necessaria.
Esercitò la carità e si affidò alla Provvidenza: continuò a perfezionare, in questo ambito, anche a Salzano il comportamento quotidiano che aveva già ampiamente collaudato a Tombolo, perché donava biancheria personale, i cibi che le sorelle cucinavano, la legna, il grano, le scarpe.
Più volte impegnò al Monte di Pietà di Venezia il suo anello parrocchiale, donato ai parroci di Salzano da don Vittorio Allegri nel suo testamento del 1828.
Aveva un carattere generoso e impulsivo, che riusciva tuttavia a controllare. Nel 1869 subì un processo dal quale uscì assolto, mentre furono condannati alcuni parrocchiani che erano accorsi in suo aiuto, conservando gratitudine per quelli che avevano preso le sue difese ed erano stati condannati.
Canonico a Treviso (1875-1884)
Chiamato dal vescovo Zinelli, nel 1875 lasciò Salzano per divenire canonico a Treviso. Aveva quasi quaranta anni e mezzo quando sedette a Treviso sul suo stallo canonicale nella prima domenica di Avvento, il 28 novembre 1875. In quegli anni svolse un’attività fra cattedrale, la curia ed il seminario, ma non mancò di impegnarsi anche sul fronte del Movimento Cattolico trevigiano, che stava muovendo i primi passi e che dal 1892 in poi avrebbe dato grande impulso alle Casse Rurali cattoliche, e in campo giornalistico con i periodici L’Eco del Sile e Il Sile, sfociati poi dopo qualche tempo ne La Vita del Popolo, fondato nel 1892.
Fu principalmente cancelliere vescovile, direttore spirituale del seminario e canonico residenziale. Durante il periodo trevigiano ebbe modo quindi di addentrarsi sempre più e meglio nei meandri del diritto canonico e di conoscere bene i problemi dell’ambiente seminariale.
Durante i quasi nove anni di servizio alla Chiesa di Treviso servì tre vescovi: Federico Maria Zinelli (1875-1879), Giuseppe Callegari (1880-1883) e Giuseppe Apollonio (1883-1884).
È del periodo di mons. Callegari la relazione del cancelliere mons. Giuseppe Sarto in seguito alla visita pastorale del vescovo di Treviso alla Parrocchia di Passarella di San Donà il 1 marzo 1882:
“Dichiariamo di aver trovato in ordine sufficiente gli arredi sacri appartenenti a questo oratorio, e di esserci confortati per lo spirito religioso da cui è animata la popolazione di passarella, che ha voluto anche offrirci speciali dimostrazioni di affetto; per cui, raccomando la frequenza alla Dottrina Cristiana, e nella speranza, anzi certezza, che nelle contribuzioni dei divoti si possa, quanto prima, ampliare l’oratorio e renderlo capace di maggior numero di fedeli e provvedere di decente abitazione il cappellano, impartiamo di cuore al Rev. Don giorgio Chersich e a tutti i fedeli di Passarella la pastorale benedizione. –
Dato a Noventa, nella visita pastorale, 13 marzo 1882
f.i. Giuseppe Vescovo; controf. Giuseppe Sarto, cancelliere”
Vescovo di Mantova (1884-1893)
Nel 1884 fu nominato vescovo di Mantova. La consacrazione episcopale avvenne a Roma il 16 novembre 1884, nella chiesa di S. Apollinare, per mano del cardinale mantovano Lucido Maria Parocchi, vicario di Leone XIII per la città di Roma.
Cinque mesi più tardi, il 18 aprile 1885, fece il suo ingresso nella “difficile” diocesi di Mantova, alla cui guida avevano già fallito i due vescovi mons. Pietro Rota e mons. Giovanni Maria Berengo.
L’ambiente cittadino era caratterizzato da diffusa miscredenza, settarismo, anticlericalismo fomentati dalla attiva presenza della massoneria. Inoltre gli ambienti colti erano pervasi da idee ispirate a scientismo, razionalismo e positivismo.
Subito si impegnò per riaprire il seminario, rimasto chiuso qualche anno fra il 1870 ed il 1880, ma già nel 1886 la cura Sarto registrava i primi frutti.
Altro obiettivo fu la “ricostruzione” delle comunità parrocchiali locali dal punto di vista ecclesiale secondo linee pastorali già realizzate e ampiamente collaudate nel Veneto, incentrate su un’attiva vita sacramentale e sull’insegnamento della dottrina cristiana.
Il 18 agosto 1885 il nuovo vescovo indisse la Visita Pastorale della diocesi.
Nel campo della catechesi e della dottrina cristiana, prescrisse che in ogni parrocchia fosse istituita la Scuola della Dottrina Cristiana e che in tutte le domeniche e le feste di precetto si dovesse spiegare il catechismo al popolo ed ai fanciulli. A volte teneva la catechesi al posto di un parroco che ne fosse per qualche ragione impedito o in parrocchie sprovviste di sacerdote, e vigilava attentamente per rendersi conto personalmente se e come veniva impartito l’insegnamento catechistico nelle parrocchie.
Intervenne anche nel campo della musica sacra. Il 15 ottobre 1887 licenziò tutti i cantori del duomo ed istituì la scuola dei cantori seminaristi. Verso la fine del mandato episcopale a Mantova incontrò il giovanissimo Lorenzo Perosi (1872-1956). Come vescovo raccomandò il canto gregoriano, tentando di renderlo popolare affinché fosse cantato durante le celebrazioni liturgiche.
Già a Mantova mise in guardia contro quel movimento di pensiero che sarà chiamato Modernismo. Nel 1887 puntò il dito contro coloro che “sebbene conoscano superficialmente la scienza della religione e meno la pratichino, pretendono erigersi a maestri e vanno dichiarando […] dimenticata l’antica follia della Croce, [che] i dogmi della fede debbono adattarsi alle esigenze della nuova filosofia“.
La spinta alla riforma della diocesi comportò anche la convocazione di un sinodo diocesano (1888), che in diocesi di Mantova non si teneva da circa due secoli. Così la diocesi mantovana si diede quella Magna Charta che aggiornava la sua vita religiosa e toglieva quanto si era venuto disordinatamente accumulando dal ‘700 al 1887 senza che nessun presule facesse le scelte pastorali necessarie.
Mons. Sarto diede spazio all’Azione Cattolica ed ebbe una parte notevole nella costituzione dell’Unione Cattolica Italiana di Studi Sociali, sorta a Padova il 29 dicembre 1889 per opera di mons. Giuseppe Callegari, del trevigiano Giuseppe Toniolo e del bergamasco Stanislao Medolago Albani.
Invitò i suoi parroci a farsi indefessi promotori della comunione frequente e quotidiana, con particolare riguardo all’ammissione alla mensa eucaristica dei fanciulli.
Ebbe particolare sensibilità per i problemi dell’emigrazione, che in quegli anni spopolava le campagne italiane: cercò di frenare l’ondata migratoria verso i paesi transoceanici e, dove non riusciva, faceva in modo che le parrocchie fossero vicine ai loro parrocchiani lontani.
Come nel Veneto, anche a Mantova condusse una vita semplice: si circondò delle sorelle nubili per accudire le faccende domestiche. Era sempre vicino ai poveri con l’aiuto materiale, ma accoglieva sempre tutti, senza distinzione di ceto sociale e di censo.
A termine dei quasi nove anni passati a Mantova si presentava un bilancio ampiamente positivo: la diocesi era ricostruita e saldamente fondata su basi rinnovate.
La sua azione pastorale suscitò consensi ed onori. Il cardinale mantovano Lucido Maria Parocchi, proprio colui che lo aveva consacrato vescovo, vicario di Leone XIII, lo definì “miglior vescovo della Lombardia”. Fu proposto per la porpora cardinalizia, ma egli rifiutò. Il Segretario di Stato tuttavia gli fece capire che così avrebbe arrecato un grave dispiacere al papa. E allora mons. Sarto finì con l’accettare. L’onore gli spettò quindi per i meriti acquisiti sul campo a Mantova, e non perché promosso patriarca di Venezia, sede tradizionalmente cardinalizia.
Patriarca di Venezia (1894-1903)
Fu eletto cardinale di Mantova il 12 giugno 1893 e tre giorni dopo, fu promosso al patriarcato di Venezia, la cui sede era rimasta vacante per un anno e mezzo dopo la morte del card. Domenico Agostini.
Trascorsero ben 15 mesi prima che potesse prendervi possesso. Infatti, il regio Exequatur non giungeva a causa dell’opposizione di Francesco Crispi, che opponeva il diritto della nomina regia per il patriarcato di Venezia.
Solo il 5 settembre 1894 il re firmò il decreto ed il 24 novembre 1894 il Sarto poteva insediarsi. I veneziani lo accolsero con grandi feste: forse mancavano solo gli amministratori della città lagunare, di tendenza liberal-democratica, che tennero chiuso per l’occasione il municipio.
Dal punto di vista pastorale, il periodo veneziano si colloca a metà strada fra il magistero episcopale mantovano ed il magistero universale del periodo del papato: vennero ripresi, ampliati ed approfonditi tutti i temi già svolti a Mantova e che poi saranno portati in patrimonio a tutta la chiesa universale.
Il nuovo patriarca ordinò subito la scuola di catechesi e la formazione dei catechisti, non solo per l’attività nei patronati, ma anche per le scuole municipali. Come a Mantova, frequentemente effettuava qualche blitz per osservare se e come le sue direttive venivano applicate, specialmente in merito allo “spirito di pietà, ardore di carità, scienza e seria preparazione”.
Rinnovò il collegio dei professori del seminario, riformò gli studi, fondò nel 1902 la facoltà di diritto canonico per dare ai suoi preti una sufficiente conoscenza dei problemi giuridici. Voleva inoltre che partecipassero ogni anno con lui ad un corso di esercizi spirituali, e che intervenissero a conferenze di esegesi biblica, di storia e di archeologia cristiana.
Curava rapporti umani preferenziali con i poveri; era un confessore instancabile, aperto alla conversione dei lontani, un catechista di giovani e fanciulli.
Ribadì che il canto e la musica avevano la suprema finalità di essere “preghiera liturgica”. Le caratteristiche principali dovevano essere informate a santità del canto, bontà dell’arte, universalità contro le “maniere teatrali”. Indicò nel canto gregoriano, nella polifonia alla Palestrina e nella preghiera cantata dal popolo le vie maestre della riforma della musica sacra.
Il patriarca indisse subito il XIX Congresso Eucaristico che fu celebrato nell’agosto 1897.
Ancora si prodigò per aumentare nei fedeli l’amore per l’eucarestia, per far crescere nel popolo mediante la comunione frequente e quotidiana; esortò i parroci ad ammettere a tale sacramento i fanciulli, senza preoccuparsi troppo dell’età, purché fossero abbastanza coscienti del passo che stavano per fare.
La questione sociale lo vide invitare le persone a guardare a Cristo-operaio e prodigarsi per trovare, in ogni occasione di contrasto, un’intesa fra prestatori d’opera e datori di lavoro. Egli era per gli interventi pratici, ben studiati e “mirati”, che potevano tenere a distanza le idee socialiste: diede così impulso alla scuola del merletto di Burano (che dava lavoro a 400 ragazze) contribuendo all’emancipazione della donna, si premurò contro l’usura per la costituzione delle casse operaie parrocchiali, le casse rurali ed il Banco di S. Marco, incentivò le società di Mutuo Soccorso (assicurazione contro le malattie), incoraggiò il segretariato del popolo per l’assistenza agli operai ed agli emigranti.
Anche da patriarca, a riguardo della carità materiale personale, era sempre il solito Giuseppe Sarto: non si limitava a dare con giusta misura, ma continuava a privarsi di tutto con “prodigalità”.
Il presule veneziano era molto considerato anche a Roma: Papa Leone XIII espresse il desiderio di averlo a Roma come suo vicario.
Papa Pio X (1903-1914)
Morto Leone XIII il 20 luglio 1903, il card. Sarto partì per Roma il 26 luglio. Ai veneziani che erano accorsi alla stazione per salutarlo assicurò: “o vivo o morto tornerò!“.
Il card. Sarto entrò in conclave nel pomeriggio del 31 luglio 1903 e dopo aver inutilmente cercato di non farsi eleggere, nel tardo mattino del 4 agosto fu eletto papa con 50 voti su 62 teoricamente possibili.
Assunse il nome di Pio, in ricordo dei papi con questo nome che “nel secolo passato hanno coraggiosamente lottato contro le sette e gli errori”, cioè Pio VI, Pio VII e Pio IX.
Pio X venne beatificato il 3 giugno 1951 e canonizzato il 29 maggio 1954 da papa Pio XII.
(sintesi effettuata da testo tratto da https://www.museosanpiox.it/)
La Parrocchia San Pio X di San Donà di Piave
Fu il parroco mons. Angelo Dal Bo, arciprete di Santa Maria delle Grazie di San Donà (1961-1974), a programmare ed attuare durante il suo ministero pastorale l’istitutzione della nuova Parrocchia di San Pio X, smembrandola da quella matrice del Duomo. La neo Parrocchia fu affidata al suo cappellano don Lino Boni, a San Donà dal 1957, che già seguiva pastoralmente quella zona cittadina.
Il decreto vescovile di erezione, firmato da mons. Mistrorigo, porta la data dell’8 dicembre 1963, ma fu pubblicato solo nel 1966 e pertanto questo è l’anno di costituzione della Parrocchia “S. Pio X di S. Donà di Piave”.
Ecco alcuni tratti del decreto di erezione: “(…) Per questo, il Rev.Mo Mons. Angelo Dal Bo, Arciprete di S. Maria delle Grazie della Castaldia e Pieve di S. Donà di Piave, avendoci chiesto che, divisa la sua redetta Parrocchia, ne fosse istituita un’altra nuova con il titolo di «San Pio Decimo» chiamata San Pio X di S. Donà di Piave, Noi giudichiamo che ciò può maggiormente accrescere la vita cristiana in quella località, sentiti coloro ai quali interessa, abbiamo pensato di accettare la richiesta (…) La nuova Parrocchia poi adopera per il culto la chiesa esistente nel luogo – di S. Pio X – fornita delle suppellettili sacre, fino alla costruzione di una nuova e più ampia, con la casa parrocchiale (…)”
Ed ora il saluto di mons. Dal Bo al nuovo parroco, già suop cappellano, all’avvio effettivo della Parrocchia tre anni più tardi (2 gennaio 1966): “Congratulazioni e augurial caro don Lino da parte dell’Arciprete e da parte dei Sacerdoti che ebbero con lui, con la comunanza di vita, rapporti così stretti di ministero e di ideali sacerdotali. Si associano tutti i Sandonatesi che ebbero modo di usufruire della illuminata e preziosa sua opera sacerdotale. L’Arciprete invia a tutti i fedeli che ora lo lasciano per amare e seguire il loro nuovo Pastore, un affettuoso saluto; li ringrazia per la stima e la benevolenza dimostratagli nei quattro anni da quando si trova a S. Donà; è certo che d’ora in poi avendo un Sacerdote che più da vicino e che con maggior conoscenza li segue e li guida, essi formeranno una bella e fiorente Comunità Parrocchiale; assicura che godrà immensamente per ogni loro futura realizzazione e sarà sempre felice se potrà essere in qualche modo utile per il bene della loro nuova famiglia spirituale; li accompagna con la sua preghiera augurando sempre e a tutti ogni prosperità e pace nel Signore (…) Sia benedetta la nuova Parrocchia di S. Pio X. Sia benedetto il suo nuovo Parroco don Lino Boni.”
Il decreto vescovile che ufficializza la nomina del nuovo Parroco don Lino Boni ha la data del 28 marzo 1966.
Il primo parroco don Lino (1926-1999) è originario di Salzano, la prima Parrocchia retta proprio dal futuro Papa Giuseppe Sarto. Don Lino ha retto la Parrocchia di S. Pio X sino alla sua morte, avvenuta nel 1999. Gli è succeduto don Marcello Miele. Dal 2011 il terzo Parroco della Parrocchia è don Maurizio Bernardi, già cappellano del Duomo. M.F.
Fonti:
https://www.museosanpiox.it/
San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella – Mons. C. Chimenton (1928)
Parrocchia San Pio X. 30° anniversario. 1966-1996 – N. speciale del Foglietto Parrocchiale (febbraio 1997)
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