L’esperienza dell’affido familiare

Affido familiare“Metamorfosi, autosviluppo, costanza, armonia, sicurezza”.
Queste le parole chiave riportate su un volantino colorato ad arcobaleno e che, secondo l’Unità Operativa Consultori Familiari dell’ASSL10 del Veneto Orientale, descrivono l’esperienza dell’affido familiare. Un tema che richiede tatto e delicatezza, perché vede come protagonisti bambini dalle situazioni familiari spesso disastrate, ma che la Regione Veneto sta affrontando con diversi strumenti, guardando prima di tutto alle esigenze dei minori.
La Regione Veneto – ci spiega il dott. Giuseppe Del Re, direttore del «Consultorio familiare materno, infantile, età evolutiva e famiglia» dei distretti 2 e 3 – sta investendo in modo particolare, diversamente da altre regioni, sulla soluzione data dall’affido familiare ai problemi dei minori e delle loro famiglie.
Nel 2008 sono state anche pubblicate le Linee Guida sull’affidamento regionali, che, ad esempio, a maggior tutela dei bambini sotto i 3 anni, prevedono che questi siano subito accolti presso una famiglia affidataria e non in una comunità. Per un’azione più locale, inoltre, ci sono specifici organismi che coordinano e gestiscono questa esperienza, come il CASF (Centro per l’Affido e Solidarietà Familiare), organo sovradistrettuale che nasce proprio dalla normativa regionale e composto da operatori appositamente formati, o i Consultori Familiari e il Servizio Tutela Minori, primi a monitorare il territorio per intervenire istituzionalmente.

Il primo passo per l’affido, infatti, come ci spiega la dott.ssa Lucia Pulzato, responsabile del CASF per l’USSL10, è proprio quello di una segnalazione che il Consultorio o il Servizio Tutela Minori ricevono riguardo ambienti familiari a rischio per il bambino o il ragazzo. A questo proposito, continua la dott.ssa Pulzato, c’è stata un’opera di sensibilizzazione degli operatori scolastici, ma anche dei medici di famiglia e in particolare dei pediatri, per segnalare i casi di bambini di età inferiore a quella scolare, i più difficili da monitorare, ma anche quelli che presentano una maggiore facilità di recupero del minore e del suo tessuto familiare.

Successivamente, si passa a una valutazione delle competenze del nucleo familiare nel suo complesso da parte di un’équipe di specialisti Qualora la famiglia di origine sia in difficoltà ad assolvere il proprio compito genitoriale, a causa, ad esempio, di eventuali patologie sofferte dal genitore, di presenza di un solo genitore, di tossicodipendenza o di abuso, e non ci sia una rete parentale adeguata, si avvia l’affidamento con un progetto specifico per ogni bambino, confrontando le esigenze del minore con le famiglie disponibili ad accoglierlo. Infatti, non una qualsiasi famiglia affidataria va bene per ogni bambino, ma il benessere del minore orienta la scelta degli operatori.

C’è, dunque, un vero e proprio progetto dietro ogni affido, il Progetto Quadro, che segue il bambino passo passo, prevedendo anche le modalità e i tempi di contatto (o meno) con la famiglia di origine. Da questo progetto, infatti, non sono esclusi i genitori naturali, con i quali gli operatori e la famiglia affidataria lavorano allo scopo di recuperare le competenze genitoriali perse o mai avute, reinserendo, se possibile, il bambino nel nucleo originario.

L’affido si presenta, dunque, come un’esperienza temporanea, mirata al benessere del bambino, a fargli vivere e respirare una situazione familiare diversa e «sana», ma anche allo scopo di ricostruire il tessuto familiare originario per reinserirvi il figlio. Se questo si rivela impossibile, si apre la strada per l’adozione o per il rinnovo giudiziario dell’affido oltre i due anni previsti dal provvedimento regionale. “Purtroppo”, commenta la Pulzato, “i casi di minori che richiedono l’affido come soluzione temporanea sono in aumento, ma non così le famiglie disposte ad accogliere questi bambini e noi dobbiamo trovare altre soluzioni educative, perché il bisogno del bambino è immediato, non può aspettare!”.

La signora Annalisa, che vive a Musile di Piave col marito e i 3 figli, ci racconta la sua esperienza di affido, vissuta dal 2003: “Per noi, la scelta di dare disponibilità ad accogliere bambini in affido è legata al nostro essere cristiani; l’abbiamo sentita come risposta ad una chiamata, a una vocazione ad essere famiglia feconda in tutti i sensi. È la fede che ci sorregge, che ci fa insegnare ai bambini che abbiamo in affido a voler bene alle loro famiglie, che ci fa pregare per queste famiglie, allontanandoci dalla tentazione del giudizio per aprirci all’aiuto da dare, sostenuti anche da un percorso preparatorio con gli operatori dei Consultori e in collaborazione continua con loro”.

Marilisa Orlando

Adozione: è un provvedimento gestito esclusivamente a livello giudiziario e prevede l’accoglienza definitiva del minore presso una famiglia diversa da quella originaria.
Affido familiare: è una situazione di accoglienza temporanea per un minore proveniente da un ambito familiare difficile, avendo lo scopo di supportare i genitori naturali, lavorando con loro per il reinserimento del figlio. Secondo la normativa regionale, può avere una durata massima di 2 anni, rinnovabili solo dal tribunale minorile. L’esperienza dell’affido può essere vissuta da ragazzi anche fino a 21 anni di età. Ha di solito una portata locale.
L’affido può essere di diverse forme:
residenziale: prevede un’accoglienza di almeno 5 notti la settimana;
diurno: accoglienza inferiore alle 25 ore settimanali;
a tempo parziale: prevede 2 giorni completi, ad esempio nel weekend;
di emergenza: nei casi di assenza di rete parentale della famiglia naturale, come può accadere per le famiglie di origine straniera;
consensuale: i genitori naturali del minore danno il proprio consenso all’affido del figlio;
giudiziario: è il tribunale a stabilire l’affido;
eterofamiliare: la famiglia affidataria non è consanguinea a quella di origine;
intrafamiliare: sono parenti entro il quarto grado di parentela a ricevere il minore in affido.