I cugini Cibin, due missionari sandonatesi in Brasile
Sono i cugini Cibin, incontrati nel loro ritorno a San Donà in autunno.
P. Francesco Cibin (sacerdote salesiano)
P. Francesco Cibin confida che la sua vocazione sacerdotale gli “apparve come un baleno” il 13 giugno (Sant’Antonio) del 1958, durante una Messa in Duomo, celebrata in ricordo di suo nonno. Aveva 18 anni e lavorava assieme ad uno dei fratelli nell’azienda agricola di famiglia. Dopo quell’illuminazione, tornò a casa (zona di Via Code) a piedi scalzi e manifestò la sua intenzione ai genitori. La reazione del padre (dalla cui formazione ricevette la fortezza) fu che fosse… uscito di testa!
Il giorno dopo ritornò a Messa ed ebbe la stessa sensazione. Constatata la seria convinzione del figlio, il papà lo indirizzò a mons. Saretta che, a sua volta, visto l’affetto del giovane per i sacerdoti dell’Oratorio, lo indirizzò a don Ivo Ferrari. Il salesiano si interessò per orientarlo e capirlo nella sua richiesta e nel discernimento. In quei mesi estivi, con l’aiuto della maestra Teker (mamma dei futuri sacerdoti missionari Guglielmo e Sergio), Cibin riprese anche gli studi.
Dopo gli studi ginnasiali, nel ’62, entrò nel Noviziato. Alla prima professione religiosa (agosto di quell’anno) erano una quarantina di novizi, dall’Ispettoria di Novara e da quella di Napoli. Intanto, alla richiesta dei supe-riori, assieme ad altri tre aveva data la sua disponibilità per le missioni.
Dopo una preparazione di due mesi, partì da Genova in nave il primo novembre 1962 (è ripartito per il Brasile l’1 novembre 2007, proprio 45 anni dopo), assieme ad altri confratelli destinati nelle due Ispettroie salesiane di Recife e Manaus. A maggio del ’74 fu ordinato diacono da mons. Helder Câmara, il “vescovo dei poveri”, che gli disse: “Tutto si rinnova quando abbiamo davanti un grande ideale”.
A luglio ritornò in Italia, per venire ordinato sacerdote nel Duomo di San Donà il 24 agosto. Celebrò la sua prima Messa il giorno successivo, sempre in Duomo. Al principio, la data stabilita doveva essere quella del suo compleanno, ma su consiglio di don Adriano Toffoli, si anticipò la funzione perché in quella settimana sarebbe arrivato il nuovo parroco, mons. Bruno Gumiero, di cui divenne da subito amico, così come era stato grande amico e confidente di mons. Angelo Dal Bo, scomparso nei giorni della sua ordinazione diaconale.
Il suo impegno sacerdotale, al ritorno in Brasile fu ancora a Jaboatão, come vice-parroco: erano tre sacerdoti per circa 50 mila persone. In particolare, seguì la pastorale giovanile, l’orientamento dei giovani in preprazione al matrimonio e le comunità di base. In quegli anni di dittatura militare ci fu la persecuzione ed eliminazione di molti leaders dell’azione cattolica. Nei primi sei anni di sacerdozio ha avuto un’esperienza pastorale straordinaria, lavorando con i giovani, le famiglie e le comunità.
Dal 1980 e per dieci anni fu a Fortaleza, capitale dello Stato di Cearà, dove gli venne affidata una parrocchia di sessantamila abitanti. Iniziò lì la collaborazione con il grande pastore e teologo, l’Arcivescovo Aloisio Lor-sheider, di cui divenne vicario, seguendo (dal 1984) altre 18 parrocchie. Nel febbraio del 1990 andò a Salvador de Bahia, sempre come parroco, in una parrocchia centrale. Nel 1993, l’Arcivescovo gli chiese di coordinare le dieci parrocchie centrali della città. In questa regione si ha una gran mescolanza di razze e le tradizioni di origine africana sono molto forti. Lavorando in una cultura religiosa molto ricca di sincretismo, si ricordò e mise in pratica le parole del Vescovo Zaffonato, ossia di valorizzare il buono presente…
Rimase a Salvador sino al febbraio del 1999, quando fu destinato all’attuale missione di Recife, in cui gli fu richiesta maggiore sforzo e capacità, per le grandi sfide lanciate dalla povertà. E’ parroco della parrocchia São João Bosco, nel barrio del Bongi. Accorgendosi che c’erano grandi settori parrocchiali con assenza di sacerdoti, poiché i poveri non vengono al centro è necessario fare il primo passo per andare loro incontro. È partito così il progetto di costruire dei centri in altrettanti settori parrocchiali. Si tratta di “scuolette”, ossia edifici a due piani (aule scolastiche al piano terra e saloni per incontri al primo piano), ben costruiti e ben tenuti, nel mezzo delle zone più povere (favelas) della vasta parrocchia, che stimolano i poveri ad aspirare a qualcosa di più. In questi centri si incontrano i bambini (un totale di seicento), quindi le famiglie, si insegna catechismo, cucito ed i-struzione scolastica; in uno c’è anche una scuola di informatica per giovani. Si tratta di luoghi belli, dignitosi, puliti, pensati appunti seguendo l’indicazione di Don Bosco: “Ai poveri si dà il migliore, non lo scarto”. Dopo il primo, inaugurato nel 2000, attualmente questi centri sono sette. La manutenzione viene affidata alla Provvidenza, mai mancata: “Qualora tenessimo per noi anche solo un centesimo, la Provvidenza verrebbe meno subito…” afferma p. Francesco. Lo stipendio per le maestre viene assicurato grazie alla rete di adozioni a distanza presente anche qui in Italia. Appena saranno effettuati gli adempimenti burocratici, verrà attivato anche un piccolo panificio, già costruito.
Questa mole di lavoro, gestito da p. Cibin assieme ad un confratello, viene coadiuvato a fine settimana da una dozzina di studenti salesiani di teologia provenienti dal vicino seminario.
L. Antonio Cibin (coadiutore salesiano)
Come il cugino don Francesco, anche Antonio (“Toni”) Cibin abitava “alla chiavica” (Bassa Isiata), là dove c’è il nuovo ponte di San Doná. La sua vocazione di salesiano coadiutore è nata nell’Oratorio Don Bosco, che frequentava tutte le domeniche pomeriggio, per il cinema ed il catechismo. Tra i salesiani che gli sono rimasti più nel cuore ci sono i due coadiutori “Toni” come lui, cioè Dal Santo e De Munari, e poi don Ivo Ferrari che, “quando spiegava la Bibbia, ci incantava”, confida.
Fu indirizzato all’Istituto salesiano di Verona, dove seguì il laboratorio di sartoria. Nel 1959-60 frequentò il Noviziato ad Albarè. In quell’anno avvenne anche la divisione delle due Ispettorie Venete e lui fu destinato a quella di Verona. A Bolzano fu aiuto economo nella casa salesiana in cui c’era il convitto per ragazzi che stu-diavano in città. Lì frequentò per quattro anni un corso serale per ragioneria.
Dopo 10 anni fu destinato all’Istituto salesiano di San Zeno (Verona), con scuola professionale di alto livello, dove si trovò molto bene. Erano intanto anni di fermento. I superiori chiesero la disponibilità per le missioni (Brasile e Germania) o per opere con i drogati. Un po’ tra lo scherzoso ed il serio diede la sua disponibilità. La cosa non ebbe seguito per alcuni mesi, finché l’Ispettore gli chiese se fosse pronto. Un anno dopo (era il 1978) partì assieme a tre sacerdoti, per un gemellaggio “a tempo” tra le ispettorie salesiane di Verona e Recife. Andarono in una parrocchia della Diocesi di Mossorò, nello Stato del Rio Grande do Norte, zona di pescatori e “salineros”, per lavorare nel campo della pastorale, soprattutto con i giovani.
Il problema grande fu di vincere la diffidenza della gente. Allora, per accattivarsi la popolazione, Antonio ed i confratelli fecero dei progetti per la costruzione di case, secondo lo slogan “costruire aiutandosi”, grazie anche a dei gruppi giovanili veronesi di appoggio. Costruirono oltre un centinaio di queste casette di circa 50 mq. Ciò attirò la simpatia di gran parte della popolazione e l’avvicinamento dei giovani. In seguito avviarono l’oratorio. Questa iniziativa fu di stimolo ai politici che, dopo alcuni anni cominciarono a fare qualcosa.
La permanenza doveva essere di soli tre anni, ma poi continuò. Quando doveva ormai ritornare in Italia, l’Ispettore di Verona gli propose di andare a Matriz de Camaragibe (Stato di Alagoas), in una parrocchia tra i tagliatori di canna da zucchero, assieme a don Valerio Breda, ora Vescovo. Doveva rimanere lì uno o due anni: ci rimase per dodici (1987-1999)!
Lì incontrò maggiore povertà, soprattutto culturale. Aveva l’incarico di seguire l’oratorio che iniziò in una stanzetta con il tavolo da ping-pong. All’inizio non fu facile, perché c’era tra la gente la mentalità che il religioso li voleva imbrogliare. Iniziò con un ragazzetto e poi, vinta la diffidenza, aumentò via via il gruppo: un anno dopo i ragazzi erano già una trentina. Molte donne gli confidarono. “Come erano i giovani qui prima che arrivassero i salesiani…” Ora c’è un grande centro giovanile, costruito anche grazie ai fondi dell’8‰ alla Chiesa Cattolica. Ci sono ampi ambienti per la catechesi, lo sport, gli incontri…
Dal 1999 Toni Cibin è economo dell’Ispettoria salesiana di Recife. Al pomeriggio va in un’opera vicina alla sua sede dove segue l’amministrazione diretta.
Così egli vede il suo attuale servizio: “È un servizio indiretto alla missione salesiana nel suo insieme. Certo era molto più bello e gratificante lavorare direttamente con i giovani, ma tutto passa e noi siamo a servizio del Signore… Sono comunque sicuro di fare, assieme ai miei confratelli salesiani, un buon lavoro per i giovani.”
M.F.