Si è svolta sabato 14 febbraio 2015, festa dei santi Valentino, Cirillo e Metodio, la semplice e significativa cerimonia di accoglienza del feretro di don Domenico Moretti (1900-89), l’amato direttore dell’Oratorio negli anni 1948-55.
Per decisione ed interessamento dei parenti, il feretro, arrivato da Cison di Valmarino, è stato poi trasferito definitivamente nel cimitero di San Donà.
I numerosi bambini e ragazzi presenti nel cortile dell’Oratorio, nei più diversi e colorati abiti di carnevale, su indicazione dei loro animatori si sono disposti su due lunghe file sotto il porticato e sono improvvisamente passati dal gioioso schiamazzo ad un rigorso silenzio di rispetto all’arrivo del feretro del salesiano: al suo transito tra le due ali è seguito quindi un caloroso applauso. All’entrata in chiesa poi, alcuni degli allora ragazzi hanno liberato l’urlo festoso insegnato loro dall’amatissimo don Moretti: “vita, vita!”
Dopo l’eucarestia il feretro è stato trasportato nel cimitero di San Donà per la definitiva collocazione nella cappella dei sacerdoti e religiosi.
Riportiamo di seguito il testo dell’omelia dell’attuale direttore don Enrico Gaetan che – grazie anche all’aiuto di alcune testimonianza raccolte – ha tracciato fedelmente e con cuore i tratti essenziali di questa figura di sacerdote salesiano:
“Ricordo di don Moretti Oratorio S. Donà, 14 febbraio 2015
60 anni fa, nel 1955, dopo sette anni di permanenza, don Moretti lasciava l’Oratorio di San Donà e si trasferiva a Trieste. Sul giornale dell’epoca apparve un articolo. Il giornalista sottolineava che l’oratorio di san Donà, definito dallo stesso don Moretti “il più bello del mondo”, era tale perché:
“in questo ambiente pulsava, vigile e paterno, il cuore di quell’eterno fanciullo di don Moretti, espansivo e cordiale senza economie e pregiudizi… Egli era tutto cuore: si faceva tutto per tutti… A San Donà ha lasciato tre cose: il rimpianto della sua persona, il ricordo della sua gioviale amabilità e il desiderio di riaccostarlo”. E concludeva: “i sandonatesi memori e grati, conserveranno la più viva riconoscenza per il bene operato con tanto e sereno entusiasmo”.
Manca il nome del giornalista ma quelle parole furono profetiche!… Perché oggi, con il cuore carico di gratitudine vogliamo riabbracciare chi ha condiviso, con noi, con questo Oratorio, un pezzo di storia, di strada e di fede. Molti di voi lo hanno conosciuto personalmente… ed è stato bello per me, nei giorni scorsi, raccogliere documenti e racconti di esperienze vissute: tantissimi, toccanti, personali, curiosi ed emozionanti.
Poco dopo il suo trasferimento a Trieste, alcuni nostri concittadini lo andarono a visitare. Lo trovarono con la testa appoggiata sul tavolo: stava piangendo. Non riusciva ad adattarsi ad un oratorio di periferia e semivuoto. Pregò quegli amici di non tornare più perché la nostalgia aumentava la sua sofferenza. Il tempo, come è naturale, avrebbe lenito la sua ferita ma il cuore di don Moretti rimase sempre ancorato al suo caro oratorio.
Ecco: io non ho avuto la fortuna di conoscerlo, ma dalle informazioni raccolte, penso che, per una provvidenziale coincidenza, a lui si possano attribuire quelle parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo, in questo giorno in cui la Chiesa celebra la festa dei Santi Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa:
“Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Queste parole si applicano perfettamente a don Moretti, dinamico e generoso figlio di don Bosco che davvero, con il suo entusiasmo, con la sua fede, con la sua testimonianza di vita, ha diffuso la buona notizia del Regno.
E’ difficile fare sintesi di quest’uomo che, in un altro articolo apparso sulla vita del popolo, era stato definito un “vulcano in continua eruzione”.
Certo è che don Moretti aveva preso sul serio l’invito di don Bosco; invito che le nostre stesse costituzioni salesiane ci ricordano: “il salesiano è aperto e cordiale, pronto a fare il primo passo e ad accogliere sempre con bontà, rispetto e pazienza”. Così aveva aperto le porte dell’Oratorio a tutti, in particolare a quei ragazzi che oggi diremmo discoli, terribili e fastidiosi.
Erano quelli che spesso venivano con un tono di sfida per dare qualche calcio al pallone o schiamazzare sotto il porticato, ma che senza accorgersene “cadevano come pesci nella sua benefica rete”, perché venivano conquistati dal suo affabile stare con loro, dallo sguardo dolce e accogliente. E sempre a questi ragazzi andava incontro e diceva: “Voi siete i migliori, senza di voi l’oratorio non può andare avanti”. Eppure non dimenticava di ricordare loro che “chi frequenta l’oratorio è un ragazzo in gamba!”: questa era la scritta che dominava allora il porticato!
Tra le testimonianze che ho raccolto qualcuno mi diceva che don Moretti sapeva trovare in ciascuno qualcosa di bello e di buono e lo esprimeva apertamente, incoraggiando al bene. Furia, per esempio, ragazzo semplice che molti evitavano perché un po’ logorroico, fu letteralmente conquistato da don Moretti e alla sua morte chiese con insistenza al sindaco di intitolare all’amato salesiano una strada della nostra città.
Ma la vita di don Domenico è disseminata di fatti ed episodi ricchi di umanità e passione apostolica che ricordano proprio il buon pastore. Io stesso, leggendoli nei giorni scorsi, mi sono sentito edificato e spronato a fare meglio. Per cui fa bene ricordare alcuni di questi fatti.
Quando a mezzogiorno suonato i ragazzi continuavano a vociare, dondolandosi sulle sedie davanti al teatro, non li allontanava con tono minaccioso, ma ascoltava le loro ragioni: “non ce ne andiamo perché a casa non troviamo niente da mangiare!” – dicevano. Era la triste realtà del dopoguerra. Allora don Moretti rispondeva con i fatti: un piatto di minestra, un frutto o un boccone di pane.
Il sacrificio non lo spaventava, tantomeno se c’era da dare un po’ di felicità ai meno fortunati. E così la moto, che i parenti gli avevano regalato, finì come primo premio alla pesca di beneficenza che era abilissimo ad organizzare e che tra l’altro erano la sua principale fonte di introiti.
Per cui in piena estate, per la “fiera dell’Oratorio” lo si vedeva percorrere le strade della città trascinando un “carretto misterioso” seguito da uno stuolo di ragazzi festanti. E sapendo che la carità a volte andava anche pretesa, osava chiedere ai commercianti… anche se qualcuno di loro sperava che don Moretti non capitasse mai in bottega perché svuotava l’intero magazzino. Con i suoi benefattori esordiva deciso dicendo: “Le do l’opportunità di fare del bene. Per questo mi deve ringraziare!”.
Don Domenico, però, era convinto che la carità non andava solo stimolata o predicata ma soprattutto vissuta. Lo testimonia un altro fatto, quando un giorno all’Oratorio si presentò una donna per chiedere una coperta per i figli: aveva la casa fredda e non aveva niente per scaldarsi. Don Moretti, toccato nel profondo, tolse la coperta dal proprio letto e gliela offrì. La domenica seguente, durante l’omelia raccontò il fatto e amorevolmente pungolò i fedeli dicendo: “Ora il vostro Direttore è senza coperta…”. Il giorno stesso ne ricevette più di cinque!
Una mamma, poi, gli aveva confidato che il proprio figlio non frequentava l’Oratorio perché si vergognava a presentarsi scalzo. Don Domenico, con la sua intraprendenza, seguito da un gruppetto di giovani andò spedito in un negozio della città e chiese le calzature migliori. Poi, congedandosi con naturalezza, intonò a gran voce: “Per il Signor Fumei, che ha offerto un paio di scarpe….” Ed i ragazzi in coro, debitamente istruiti: “Vita, vita, vita”.
Vita vera, piena e vissuta! E’ questa che don Moretti ha portato all’Oratorio giorno dopo giorno con lo stupore di un cortile sempre più gremito e vivace tanto da meritarsi il giusto appellativo di “più bello del mondo”.
Cari “ragazzi di ieri” – mi verrebbe da dire! Anche se gli anni dei calzoni corti, della polvere insidiosa del cortile, del “carretto misterioso” sembrano solo un lontano ricordo, lo spirito di appartenenza deve rimanere vivo, deve tenere giovane il cuore.
La festa dell’anguria, la pioggia di caramelle, le visite ai Santuari, i tornei notturni… erano il collante che animava e univa la città e la periferia. Ma ancora oggi l’oratorio deve portare avanti questa sfida che don Moretti ha intrapreso e ci lascia in eredità.
Siamo riconoscenti per il tanto bene ricevuto; per questo ci stringiamo intorno a don Domenico per un ultimo grande abbraccio, certi che il suo sguardo benedicente continuerà a sostenere i nostri giorni. E per questo lo preghiamo con le parole riportate nella sua immaginetta-ricordo:
“Ti rendiamo grazie, o Signore, per aver donato alla tua Chiesa un Salesiano entusiasta, fedele e perennemente giovane; ricco di saggezza, fede e ottimismo, un fratello e un padre buono e cordiale, servitore generoso, energico e instancabile della Congregazione salesiana e dei giovani. Egli vive ora con Te, accanto alla madre tua, l’Ausiliatrice, e rimane per noi padre, guida e intercessore”. (omelia di don Enrico Gaetan nella messa di suffragio a don Domenico Moretti nella chiesa dell’Oratorio Don Bosco 14 febbraio 2015)
Don Dusan Stefani, un confratello degli ultimi anni di don Moretti trascorsi all’Istituto Salesiano Bearzi di Udine, ne tracciò brevemente ma intesamente il carattere:
“Aveva per motto “Vita, vita!” ed era capace di trasformare in festa anche un funerale. Con lui la vita al Bearzi sarà sempre ad alta temperatura: questa è l’immagine che precedette il suo arrivo.Ed è anche l’immagine che rimane di lui oggi. Per lui era naturale e spontaneo entrare in comunicazione con altre persone, siano essi gruppi o singole persone, siano autorità o bambini. E in queste relazioni lui era veramente felice. E felici erano anche le persone che lo avvicinavavano. La sua presenza trasformava in gioia qualunque circostanza, sia in un incontro di vecchi amici, come in un anonimo scompartimento ferroviario. Figura indimenticabile, per tutti. Ciò era frutto delle sue doti naturali, così abbondanti in lui, ma frutto anche del suo amore disinteressato per chiunque l’avvicinava. Avveniva per don moretti come per don Bosco: ognuno si sentiva il prediletto e lo era realmente.” (don Dusan Stefani ne “Il Bearzi, storia di ieri e di oggi” – Udine, 2006)
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