Tre sere di spiritualità: 1a serata
Tre sere di spiritualità: Se tu conoscessi il dono di Dio
Prima serata: Gesù e Nicodemo. (Gv 3,1-21)
La meditazione della biblista Anna Grisanti
Introduzione
Nicodemo è un nome di origine greca che significa “vincitore del popolo” o “popolo vincitore”. Appartiene al gruppo dei farisei, per i quali l’applicazione della legge mosaica è ritenuta la sola via per partecipare al Regno di Dio. E’ un uomo rappresentativo, un maestro di Israele e parla a nome di un gruppo “noi sappiamo che sei …” Pronunzia un giudizio con autorità: “nessuno può compiere i segni che tu fai se Dio non è con lui”. Si esprime con sicurezza e, forse, proprio questa è la causa della sua incomprensione nei confronti di Gesù: Nicodemo è un uomo colto, ha una lunga esperienza di studio della Torah e di pratica religiosa e morale; ma questo “curriculum”, umanamente rispettabile e rilevante, si rivela come impotenza: tutto il dialogo sottolinea la sua incapacità di comprendere le parole di Gesù. Egli ha già incasellato il suo interlocutore negli schemi del suo pensiero, della sua teologia. Pensa di aver già capito chi è Gesù: un maestro che viene da Dio; ma non comprende il suo invito a rinnovarsi. In questo senso Nicodemo veramente è rappresentativo, perché esprime l’incomprensione tra Gesù e la gente di Gerusalemme, tra Gesù e il suo popolo.
Egli si reca da Gesù di “notte”. Come leggere questa indicazione temporale? E’ forse un’allusione al timore di Nicodemo di farsi vedere dagli altri e dunque di compromettersi? Oppure esprime il suo desiderio di avere a disposizione più quiete e tempo per il dialogo? O ancora, potrebbe riferirsi all’usanza propria dei rabbini di studiare e discutere la Torah anche durante la notte? Forse è solo il simbolo della situazione interiore di Nicodemo (e di ogni uomo) che è nella notte e cerca la Luce (tutto il brano poi fa compiere al lettore un cammino dalle tenebre alla Luce (v.21). C‘è da dire, in ogni caso, che il fatto che tutto si svolga di notte crea un’atmosfera di silenzio e di buio, che fa risaltare solo le due figure e il loro dialogo, senza creare distrazioni.
E’ Nicodemo che prende l’iniziativa andando da Gesù, ma il vero protagonista che conduce il dialogo è Gesù che pian piano porta Nicodemo su sentieri imprevisti, fino al Figlio dell’uomo innalzato sulla Croce.
Il dialogo vero e proprio tra Nicodemo e Gesù si svolge secondo uno tecnica letteraria frequentemente usata nei discorsi dall’evangelista Giovanni: inizia con un detto enigmatico di Gesù, cui segue l’incomprensione dell’uditore, che offre una nuova occasione per chiarire e approfondire la rivelazione, facendola progredire. Nel nostro dialogo questo schema serve anche a rivelare la situazione dell’uomo di fronte a Cristo: l’uomo è incapace di capire, il suo orizzonte di comprensione resta carnale. Ma cosa capire? Come capire? Nel testo ci aiutano tre parole greche, con le quali l’evangelista(come spesso fa) gioca, facendo riferimento al doppio significato che queste potevano avere: anôthen (di nuovo-dall’alto), ghennao (nascere-essere generato spiritualmente), pnéuma (vento-spirito). Al di là del gioco di parole, c’è un messaggio teologico: la stessa realtà la si può cogliere a due livelli, quello puramente umano, carnale e quello spirituale. L’uomo è prigioniero del primo livello, ma per diventare credente deve passare al secondo. Per parlare di Dio è necessario ricorrere alle realtà quotidiane della nostra esperienza, le quali, per chi sa vedere, sono simboli di una realtà più profonda e quindi un mezzo per esprimere Dio: capaci di alludervi, ma come da lontano. Occorre saper vedere. (Bruno Maggioni)
Il dialogo ad un certo punto (dal v.13 in poi) si trasforma in un monologo: è solo Gesù che parla, Nicodemo resta in silenzio e non ribatte più; prevale la rivelazione (vv.13—18), non c’è più da discutere o controbattere, c’è solo da accogliere o rifiutare (vv.19-21).
Dal v.1 al v.10 il tema predominante è quello della rinascita dall’alto, mentre dal v.11 in poi riprende il tema della rivelazione e della fede che l’evangelista aveva già introdotto nel sommario dei vv. 2,23-3,2. Il brano dunque non è a sé stante, ma come sempre è inserito in un contesto, ed è in tale contesto che trova pieno significato. Precedentemente, c’era stato l’episodio della cacciata dei venditori dal tempio cui l’evangelista Giovanni fa seguire un breve sommario, con il quale fa il punto della situazione ricordando il tipo di reazione (fede) che gli uomini hanno nei confronti dell’opera di Gesù. Ma in questo sommario dice anche che Gesù non aveva fede in questi credenti, non si fidava di loro perché conosceva il loro cuore. Solo in seguito il lettore potrà capire quest’affermazione: man mano infatti che la rivelazione progredisce, che Gesù svela il volto del Padre, c’è sempre una maggiore chiusura e un rifiuto da parte degli uomini. Non basta dunque leggere i segni che Gesù opera secondo il proprio punto di vista (come fa Nicodemo), ma occorre lasciarsi guidare da Gesù verso la prospettiva di Dio, lasciarsi ri-generare dallo Spirito, per accogliere una rivelazione che va oltre le antiche concezioni di Dio.
Completiamo il riferimento al contesto, cogliendo anche il legame tra il nostro brano e quello seguente, (cioè i vv. 3,22-36) che ha per protagonista Giovanni il Battista (fino al v.30), ma che da 31-36 riprende il tema della testimonianza del Figlio che viene dall’alto e dell’accoglienza/rifiuto di tale testimonianza. Questi ultimi versetti avrebbero una collocazione più logica nel brano di Nicodemo, perché sono una continuazione del discorso fatto da Gesù al Maestro di Israele, mentre nei vv. 22-30 non c’è il minimo riferimento a Nicodemo e dunque costituiscono un’unità diversa, con protagonisti, luoghi, tempi e temi diversi. Tuttavia, è sempre bene cercare di cogliere anche il motivo che ha spinto il redattore finale a dare la sistemazione attuale ai brani. Il Battista è presentato come il testimone nel Vangelo di Giovanni, ma qui è più del testimone, è l’esempio dell’atteggiamento corretto da avere nei confronti di Gesù: si lascia con gioia sorprendere dalla Sua novità e la accoglie, lasciandosi alle spalle le proprie attese, la propria cultura e i propri progetti. Così facendo Giovanni diviene esempio del vero discepolo. A questo sono invitati anche Nicodemo e Israele. Inoltre le parole dei vv.31-36 poste sulla bocca di Giovanni il Battista acquistano anche un altro significato, perché diventano il motivo che spiega l’affermazione di Giovanni: “Lui deve crescere ed io devo diminuire” del v.30. Di fronte a “Colui che viene dall’alto”, che ha una relazione unica col Padre, che è capace di dare lo Spirito, ogni altra voce deve diminuire, restare solo una preparazione.
Il dialogo
“Sei un maestro mandato da Dio”: Nicodemo riconosce in Gesù un maestro, lo chiama infatti “Rabbi”, dunque una guida, ma anche un inviato da Dio. E questa conclusione non è solo scaturita dall’osservazione dei fatti, ma anche dalla condivisione con il suo gruppo di farisei (sappiamo che sei un maestro).
A questo riconoscimento Gesù risponde con una affermazione solenne (introdotta dal doppio amen), che sembra stonata; invece di rallegrarsi dell’apertura di Nicodemo, lo destabilizza per fargli fare un salto di qualità: dall’osservazione alla fede. Quest’affermazione di Gesù genera incomprensione, ma si crea così l’occasione per una ricerca da parte di Nicodemo e di una rivelazione da parte di Gesù: per “vedere” il Regno di Dio occorre un nuovo modo di essere, una generazione dall’alto (o una ri- generazione se si attribuisce all’avverbio greco anôthen il significato di “di nuovo”). Nei sinottici troviamo un’affermazione simile quando Gesù dice “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18,3 ad esempio). Giovanni, come spesso accade, radicalizza eliminando il “come” e andando direttamente all’esperienza della generazione. Interessante l’uso del verbo “vedere”, al posto e accanto al verbo “entrare”. Nel quarto vangelo il vedere è sempre comunitario, perché è possibile comprendere la vicenda di Gesù solo all’interno di una comunità. Inoltre non si tratta mai di vedere solo fisico, né di una contemplazione intellettuale o mistica, ma è un penetrare la realtà in profondità, andando oltre ciò che la carne nasconde. Saper cogliere nella carne e nella storia di Gesù la gloria di Dio (si confronti il prologo di Giovanni ai v.14).
“Come può un uomo essere generato quando è vecchio?” Nicodemo pone questa obiezione e sceglie fra i due possibili significati dell’anôthen il senso di “di nuovo”, ponendosi così nella linea temporale del prima-dopo, collocando nel passato la causa dell’impossibilità di essere generati nuovamente. Gesù risponde spostando l’orizzonte dalla linea temporale a quella spaziale: sopra-sotto, collocando nel presente la possibilità di ri-nascere e scegliendo il significato “dall’alto” per l’avverbio anôthen . Gesù parla di nascita, e non poteva scegliere espressione migliore: non è l’uomo che sceglie di nascere o si dà la vita da solo, la riceve gratuitamente e per dono. La nascita esprime sempre novità. Dunque “non si entra nel Regno di Dio né per via di conquista, né in forza del genio, anche se religioso. Ci si entra come si entra nella vita: attraverso la grazia dell’amore infinito, come un neonato, in Gesù Cristo” (D.Mollat, Dodici meditazioni sul Vengelo di Giovanni, Brescia, 1966).
La nascita dall’acqua e dallo Spirito. L’espressione “acqua e Spirito” è un chiaro riferimento al battesimo. Probabilmente qui siamo di fronte ad un’aggiunta successiva fatta ad un testo più antico, perché non troviamo nel brano altri riferimenti all’acqua, ma solo allo Spirito, segno del fatto che inizialmente il riferimento era solo alla fede (rinascita attraverso lo Spirito). Comunque, è interessante cogliere il testo così come oggi è, quindi con il riferimento anche all’acqua, che è molto presente nel quarto vangelo (lo abbiamo già trovato nel capitolo 2 alle nozze di Cana, lo si ritrova nel brano della Samaritana Gv 4; nel discorso di Gesù in 7,37-39 e dal fianco squarciato di Gesù in 19.34). L’acqua ci riporta alla sua doppia azione: purifica e permette la vita. Alla Samaritana Gesù promette che l’acqua che Lui le darà sarà fonte generatrice di vita eterna. Ma il vero protagonista è lo Spirito che ri-genera. La sua azione resta tuttavia misteriosa e imprevedibile, perché come per il vento (e qui c’è un nuovo gioco di parole fra vento e Spirito), non se ne conosce l’origine e la méta, ma lo si percepisce quando è presente.
“Come può accadere tutto ciò?” Nonostante le numerose pagine dei profeti, che parlavano dell’azione dello Spirito come ri-generazione dell’interno dell’uomo alla fine dei tempi (Ez 11, 19; 36, 26-27; Ger 31,31-34), Nicodemo non riesce a comprendere le parole di Gesù. Alcuni studiosi vedono in questo il segno del fatto che i farisei avessero preferito la lettera della Legge allo spirito profetico. Questo spiegherebbe ancora meglio la domanda stupefatta di Gesù, carica però di ironia giovannea, “Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose?”. Nicodemo non ribatte, anzi da questo momento in poi non sarà più menzionato nel brano perché comincia la rivelazione di Gesù e il brano si trasforma in un monologo. Non si dice che Nicodemo se ne vada, resta in ascolto insieme al lettore e come lui dovrà scegliere se accogliere o rifiutare la Luce.
“Noi parliamo di ciò che conosciamo e testimoniamo ciò che abbiamo contemplato”. Da questo momento cambia anche il soggetto del brano, si passa dal “tu” di Nicodemo al “noi-voi” dei gruppi: la comunità cristiana e la comunità giudaica. Interessante notare il fatto, più volte sottolineato da Giovanni, che l’annuncio cristiano non nasce da un sapere intellettuale, ma da una conoscenza sperimentale, che continua ancora nella comunità “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò he noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunziamo anche a voi, perché siate anche voi in comunione con noi” (1 Gv 1,1-4). Per i cristiani Dio non è un’idea, si è fatto uno di noi, si è fatto incontrare, toccare, vedere… e continua a farsi incontrare grazie alla testimonianza e alla comunità.
Il Figlio innalzato: la rivelazione
Nicodemo cercava Dio attraverso lo studio della Legge, attraverso il rispetto e la messa in pratica dei comandamenti e delle tradizioni scaturite dallo studio della Torah; tutto questo lo ha portato a cercare Gesù; ora però gli viene chiesto di fare un passo ulteriore: riconoscere che Dio è nell’uomo che sta parlando con lui, che egli stesso può vedere, toccare… Gesù non è solo un maestro che viene da Dio, è il Figlio mandato dal Padre “non per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo” e donare al mondo quella vita eterna che l’uomo da sempre desidera. Per compiere questo passaggio i “segni” compiuti da Gesù forse non sono sufficienti a convincere Nicodemo… Ecco allora il riferimento al grande segno, la Croce, su cui Gesù sarà innalzato come il serpente nel deserto. A Nicodemo, lo studioso della Bibbia, Gesù offre un altro elemento: una pagina dell’AT, Nm 11, storia di peccato e di salvezza, attraverso cui Nicodemo potrà leggere la vicenda di Gesù fino alla Croce: questa non sarà sconfitta di Dio, ma l’atto supremo attraverso cui Dio si dirà, mostrando tutto il suo amore, donando al mondo la salvezza. In Giovanni è la Croce il momento della glorificazione di Cristo, perché è nel dono totale del Crocifisso che è possibile contemplare il Volto del Dio-Amore. Per questo Gesù è la Luce venuta nel mondo, per quanti, come Nicodemo, camminano nelle tenebre, sono nella notte del mondo. Anche in Lc 1,78-79 il cantico di Zaccaria, Gesù viene definito “Sole che sorge per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte” (cfr. anche il cantico di Simeone in Lc 2,32). Nella pagina di Giovanni però viene aggiunto un particolare di non poco conto: l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla Luce costituisce il giudizio che ciascuno compie per se stesso. Non è Dio a giudicare, ma l’uomo condanna se stesso alla tenebra nel momento in cui rifiuta di accogliere la Luce, dice no al volto di Dio che si rivela come Amore, respinge questo Amore discreto e gratuito. Quando l’uomo si attacca al male, si perde in cose di poco conto, si lega alle sue tradizioni, alle sue certezze, ai suoi privilegi, al suo potere, allora non lascia che la Luce entri nella sua vita, perché rivelerebbe il male come tale e l’uomo sarebbe costretto a staccarsene. Chi invece si riconosce bisognoso di Luce, ha il coraggio di fare la Verità nella sua vita, accoglie con gioia il dono che viene dall’Alto.
I riferimenti bibliografici sono i seguenti:
I Vangeli, traduzione e commento a cura di Giuseppe Barbaglio, Rinaldo Fabris, Bruno Maggioni, Cittadella Editrice, Assisi 1998,.
L’incontro con Nicodemo, di Secondo Migliasso, nella rivista Parole di Vita, Gennaio-Febbraio 2004.
R. E. Brown, Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1999.