29 Aprile 2025

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S. Maria delle Grazie – Diocesi di Treviso

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Spiritualità

San Paolo e la corsa del Vangelo – una testimonianza dal pellegrinaggio in Turchia

Pellegrinaggio in Turchia dal 31 marzo all’8 aprile 2025

Confesso che ero preoccupata di partire e giungere in un luogo collocato in un’area geografica vicina alle guerre, interessata da manifestazioni antigovernative legate alla situazione politica interna.
Strada facendo, però, quella percezione è svanita per lasciare spazio ad un abbraccio avvolgente e rassicurante via via che la natura e le storie umane scritte nel paesaggio irrompevano nel nostro percorso.

Attraversare gli ambienti steppici e polverosi della Cappadocia, dove i “camini delle fate” conferiscono al paesaggio vaghe immagini di superficie lunare, è stato al tempo stesso straniante e suggestivo (Valle di Goreme).

Come pure è stato suggestivo ed emozionante celebrare la Messa proprio lì dove le prime comunità cristiane si erano insediate e avevano scavato il tufo per trovarvi rifugio e ambienti di preghiera (chiese rupestri).

Per i cristiani di allora, come di ora, non si è trattato di una sola lotta per la sopravvivenza, in un territorio brullo e povero di risorse agricole, ma ammirevole ed eroica si è rivelata la difesa della loro adesione a Cristo.
E se penso che è “solo” grazie a questo anello, creato da San Paolo e i suoi “amici”, che noi abbiamo potuto conoscere Gesù e ricevuto la fede, i problemi nel presente sembrano poca cosa a confronto con quel passato.

San Paolo, uomo irruento e sanguigno, scuoteva e spronava le comunità che creava, incurante delle conseguenze scatenate dai suoi avversari. Dall’alto delle mura di Efeso, con don Massimo guardavamo l’unica colonna intera delle 120 che un tempo sostenevano il tempio di Artemide: cos’è rimasto di quei simboli pagani?

Le vestigia architettoniche del passato e i grandi monumenti ellenistico-romani (confesso che per buona parte sono la motivazione del mio viaggio) hanno rappresentato i simboli dell’enorme potere contro cui i discepoli cristiani hanno cozzato, trovando poi il martirio da perseguitati.

Tenaci e determinati dall’evangelizzazione, essi non temevano di parlare ai pagani, come esorta San Pietro (1 Pt 3,15-16).

Abbiamo pregato a Iconio, ora Konya, nella chiesa di San Paolo dove ci ha accolti Berül (che dopo una lunga malattia ha scoperto la Buona Novella); a Hierapolis (oggi Pamukkale) nella basilica ottagonale, monumentalizzazione del martyrium di San Filippo apostolo; a Efeso

(oggi Selçuk) presso la chiesa giubilare di Meryem Ana (casa di Maria) e nella basilica che accoglie i resti di San Giovanni evangelista; tra i colonnati di Laodicea di Frigia verso cui viene indirizzata una lettera del libro dell’ Apocalisse: “Sei tiepido”… me lo sono chiesta anch‘io

Invece “tiepidi” non lo sono certo Maciek (teologo polacco di formazione) e sua moglie Seda (siriana convertita) che, operando nella CRU (Campus Crusade for Christ, denominata “Agape Life” in Turchia), tentano di realizzare delle piccole chiese domestiche, stabilendosi a Selçuk e Kusadasi in una situazione sfavorevole per i missionari, alcuni dei quali (ben 40 famiglie) già espulsi dalla Turchia nelle scorse settimane. Abbiamo dialogato insieme emozionandoci a vicenda, come carbonari in una piccola sala dell’albergo.

E John Farhad Sadredin, iraniano cattolico ma da 35 anni in Turchia, già direttore della Caritas in Anatolia: il racconto sofferto ed eroico della sua attività di evangelizzazione ha inevitabilmente creato un parallelo tra i primi passi delle comunità cristiane di allora e l’esistenza circoscritta e sorvegliata di quelle attuali in Turchia. Se nel Paese, islamico al 99% della popolazione, la costituzione garantisce la libertà di credo e di altre convinzioni religiose, ciò vale solo per le minoranze ortodosse ed ebree mentre le comunità protestanti e cattoliche (in tutto 80.000 tra battezzati e catecumeni) sono “straniere”, e come tali non hanno personalità giuridica e non possono detenere proprietà immobiliari.

L’assenza di qualsiasi sovvenzione statale rende difficile la gestione delle rare e sorvegliate strutture scolastiche ed ecclesiali, come sottolineato dal vescovo di Istanbul, mons. Massimiliano Palinuro, che è originario di Ariano Irpino.

Altresì difficile la sopravvivenza delle clandestine, ma sempre più numerose, “chiese domestiche” cattoliche che si reggono sull’autofinanziamento, sulle offerte e sugli aiuti del Vaticano e della Caritas Internazionale.

Il pellegrinaggio ha suscitato in me profonda commozione ed empatia per la condizione di “frontiera” della Chiesa cattolica in Turchia, che mostra i caratteri originali di una fede autentica e vivace.

Ecco perché, di ritorno dai luoghi di S. Paolo, il mio stato d’animo è ben descritto dalle parole del Salmo 126: “Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni”.

Donatella

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