Per un’etica condivisa – incontro con padre Bartolomeo Sorge

padre Bartolomeo SorgeSi è tenuto martedì 16 marzo 2010, nella sala teatro dell’Oratorio Don Bosco di San Donà di Piave, organizzato dal Forum della Città del Piave, l’incontro con Padre Bartolomeo Sorge, gesuita, che ha esordito affermando di ritornare sempre volentieri nella nostra città (l’ultima volta fu due anni fa).

Il titolo della serata “Per un’etica condivisa in una società di individui: come trovare un punto d’incontro comune“, come spiegato da Stefano Pasqual, moderatore assieme al presidente dell’associazione Gino Zottis, è stato ispirato da un libro di Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose.
Nella serata, che fa parte del percorso di “Conversazioni sul presente e sul futuro per una partecipazione consapevole” si vuole riflettere sul tema dell’immigrazione ed è lo stesso ospite a dichiarare che è sua intenzione far ragionare, non tanto convincere.

 

 

Gli immigrati da noi

Nell’introduzione Pasqual ha ricordato che le nazionalità di immigrati presenti a San Donà di Piave sono 80 e, secondo una ricerca del Forum, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati anche nella stampa locale, al 31 dicembre 2009 gli stranieri risultavano 4349 su una popolazione totale di oltre 41.200 persone.
I dati sono significativi in termini assoluti, ma ancora di più se si considera il dato dinamico. Infatti, se lo si confronta con i valori evidenziati da un’analoga ricerca effettuata dalla Parrocchia del Duomo due anni fa, in cui risultava che gli stranieri erano 2855 (con 65 nazionalità) al 31/12/2006 , 3371 (71 nazionalità) al 31/12/2007, c’è stato un incremento di quasi 1500 nuovi residenti stranieri negli ultimi tre anni, passando dall’8% al 10% della popolazione.

 

Un’unica famiglia

Veniamo ora all’intervento di P. Sorge. Il gesuita invita i presenti allo sforzo di interrogarsi sul tema dell’emigrazione. All’inizio del terzo Millennio l’umanità si sta unificando. Con il fenomeno della globalizzazione, infatti, l’umanità sta vivendo l’esperienza di diventare un’unica famiglia: nelle nostre città sono presenti tutte le razze.
Il gesuita racconta di quando il capitano dell’Apollo 17, che incontrò a Houston, gli disse che sulla Luna ha provato due grandi sensazioni: la prima riguardava l’intensità del buio astrale e la seconda la piccolezza della Terra: “Non è possibile che gli uomini si ammazzino a vicenda” – gli disse l’ex astronauta cattolico – “Padre, siamo una famiglia sola!

 

Approccio unitario

Ora tutti i problemi che nascono hanno un carattere planetario, quindi o si cerca di affrontarli tutti assieme collaborando o si fallirà; o si lavora assieme per la pace o nessuno da solo riuscirà ad ottenerla, nemmeno se si tratta di una super potenza; lo stesso vale per l’equilibrio ecologico, per la lotta alle grandi malattie, per combattere la criminalità organizzata e, infine, per l’immigrazione.
Nell’Enciclica “Caritas in veritate” Benedetto XVI scrive al n. 62 circa le migrazioni:
“È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati.
Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo.”


La migrazione a livello planetario

P. Sorge cita alcuni dati a commento della serietà del fenomeno. In tutto il mondo i migranti sono più di 300 milioni; molti di essi sono rifugiati, profughi che lasciano la loro terra controvoglia, perché costretti dalle circostanze in cui si trovano a vivere. Si è calcolato che, dal 1988, sono 12.000 gli immigrati morti nel tentativo di arrivare in Europa: una strage!
A livello europeo gli immigrati sono circa il 6% della popolazione e l’Italia, assieme alla Spagna, è la nazione maggiormente esposta ai fenomeni migratori; circa il 7% della popolazione residente in Italia è costituito da immigrati.

L’immigrazione introduce molti problemi (vivere con il diverso è difficile), ma è anche un’opportunità, poiché gli immigrati non sono solo persone bisognose, bensì anche in grado di dare il loro contributo positivo alla società. Certo che rendere reato la clandestinità non risolve il problema della delinquenza, pur presente.
Come ricordato dalla Caritas in veritate “la migrazione è un fenomeno presente fin dagli arbori dell’umanità” e non è solo un problema dell’Italia. Per affrontarlo adeguatamente vanno coinvolti gli stati d’origine, i paesi d’immigrazione e gli stessi immigrati.
Per regolare le migrazioni si deve cambiare mentalità. Non basta infatti un’accoglienza fredda, basata sulle norme di legge (che pur devono essere adeguate) e sul proprio interesse, derivante dalla forza lavoro degli immigrati.

 

Le positività dell’immigrazione

P. Sorge propone allora quello che definisce un “discorso controcorrente“, poiché vuole far risaltare il valore positivo dell’arrivo dei migranti nel nostro territorio, individuando tre elementi:
1) Il lavoro è senz’altro il primo contributo positivo. Citando ancora la Caritas in veritate: “(…) i lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie.”
In Italia, su dieci lavoratori uno è immigrato: c’è quindi bisogno di manodopera.
P. Sorge ricorda un dato sulla gestione globale dei beni: 900 milioni di ricchi (anche noi) vivono a nord dell’equatore e consumano l’83% delle risorse; 5,5 miliardi di persone vivono a sud dell’equatore con il rimanente 17% dei beni della Terra. Ebbene con questo squilibrio (ingiustizia) non può esserci pace…
2) Noi ricchi stiamo invecchiando, ci mancano i giovani, poiché veniamo da 15 anni di crescita zero; invece, i due terzi della popolazione del sud del mondo sono giovani.
Ebbene, dopo tanto tempo, si è ristabilito in Italia l’equilibrio demografico, grazie alle donne immigrate, il cui tasso di fertilità è di circa 2,5 figli per donna. Gli immigrati portano allora il ringiovanimento della popolazione: il 6% della popolazione scolastica è rappresentato da figli di immigrati, molti dei quali nati in Italia.
3) Importanti sono poi gli elementi culturali, morali, religiosi delle nuove popolazioni che sono tra noi.

L’Italia lega ormai il suo futuro all’immigrazione. Perché criminalizzare tutti?… si chiede P. Sorge.
C’è bisogno di norme giuridiche adeguate e di prendere a cuore la dimensione umana del fenomeno migratorio: il miglior antidoto alla criminalità è una politica migratoria seria.

 

Per una politica dell’immigrazione

Il sacerdote propone così un cammino da percorrere per una giusta politica dell’immigrazione.
Il principio etico fondamentale è di non voler assimilare a sé i diversi che arrivano tra noi: l’identità d’origine va rispettata e nessuno va emarginato, ghettizzato.
Citando la Caritas in veritate, ricorda che “tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione.”
Gli immigrati non possono essere considerati una forza lavoro da sfruttare finché serve; sono persone umane con la stessa dignità di figli di Dio, come noi.

Una politica che criminalizza gli immigrati è contro il Vangelo e i diritti fondamentali dei popoli.


Allora ecco le tre tappe per una seria politica dell’emigrazione:


a) l’accoglienza. Proprio i cristiani devono essere i promotori di una cultura dell’accoglienza. Va rispettata l’identità, la cultura, la spiritualità di questi nostri fratelli. “Imparare a vivere uniti, rispettandoci come diversi”: è questo il problema del nostro tempo, è questa la prerogativa di una persona, ma anche di una civiltà e nazione matura. Dobbiamo essere uniti nel rispetto delle diversità.

b) l’integrazione. L’integrazione è diversa dalla eliminazione delle diversità. Vanno infatti creati nuovi legami sociali, grazie alle “agenzie educative” (scuola, chiesa, famiglia …). Certamente la cultura dominante (il cosiddetto pensiero unico) va contro tale processo. Sulle macerie delle ideologie del secolo scorso è sorta una cultura individualistica. Vanno invece sviluppate le relazioni interpersonali, utili per lo sviluppo dell’individuo, della persona. L’io si conosce nel rapporto con il tu. L’essere umano è infatti relazione, è fatto per conoscere, oltre che per amare. Per la democrazia non si può eliminare la coscienza religiosa. Insomma, deve nascere una cultura condivisa.

c) la cittadinanza politica. Da ultimo, deve venire il riconoscimento dei diritti politici.

 

Far leva sui principi etici comuni

Viene infine ricordata la “grammatica comune”, vale a dire i principi comuni, che tutti gli uomini hanno scolpiti nel cuore, come disse Giovanni Paolo II: la dignità della persona umana, la solidarietà (fraternità), la sussidiarietà (cioè la partecipazione responsabile), il bene comune.
Su questi principi etici comuni va fatta leva per elaborare un nuovo umanesimo, per affrontare e risolvere il problema migratorio.
Certo, ora, siamo nel pieno del fenomeno, che ci ha trovati impreparati. Un giorno ci sarà la tranquilla accettazione da parte di tutti, assicura il sacerdote…

Lo spirito messo nelle parole da parte di P. Bartolomeo Sorge, il suo senso di fiducia nell’uomo, tipico dell’uomo di fede, hanno dato ai presenti nella sala teatro un motivo in più di speranza e di energia propositiva per affrontare l’impegnativa sfida, che spetta a tutti.


Marco Franzoi