Gli ebrei internati a San Donà

Estratto da Il giorno della memoria (27 gennaio) intende promuovere la conoscenza di ciò che è capitato in Europa con l’ascesa al potere di dittature nazifasciste e lo sterminio di milioni di persone: innanzitutto ebrei (circa 6 milioni), ma anche cristiani (laici religiosi e sacerdoti che si opponevano ai regimi), oppositori politici, zingari, portatori di  disabilità fisica o psichica, omosessuali.

La tragedia è passata anche per i nostri territori. Vorremmo recuperare un piccolo pezzo di storia della nostra città poiché San Donà,  durante la seconda guerra mondiale, è stata l’unica località di internamento nella provincia di Venezia per gli ebrei stranieri (assieme  ad altre centinaia di località del Veneto e dell’Italia).

Cosa avvenne?

All’entrata in vigore dei provvedimenti per la difesa della razza (1938), il numero degli ebrei stranieri residenti in Italia risultava di 9170. Molti vi risedevano da decenni, e altri, a partire dal 1933, avevano trovato rifugio in Italia dalle persecuzioni del nazismo.

L’ingresso in Italia degli ebrei provenienti da paesi dove era in vigore la discriminazione razziale, era stato per lungo tempo consentito da Mussolini. Persino dopo l’ascesa al potere del nazismo, quando molti ebrei cominciarono ad abbandonare la Germania, tale situazione venne mantenuta.

Estratto da Ma la condizione dei profughi cambiò improvvisamente nell’autunno del 1938, quando anche in Italia venne emanata la legislazione razziale. Un decreto del settembre 1938 stabilì per gli ebrei immigrati dopo il 1 gennaio 1919 un termine di sei mesi entro il quale dovevano lasciare il paese e venne revocata la cittadinanza italiana a tutti gli ebrei che l’avessero ottenuta dopo il 1° gennaio 1919. Il decreto passò poi nella legge razziale del  novembre 1938, che assegnava agli ebrei italiani uno status inferiore nella società.

Nel periodo successivo all’introduzione delle leggi razziali le condizioni di vita degli ebrei peggiorarono in modo drammatico. Trascorsi i sei mesi concessi dalla legge, il governo si rese conto che non era facile trovare una nazione disposta ad accogliere gli ebrei provenienti dall’Italia: molti ebrei non erano riusciti a lasciare l’Italia.

Nel 1940 fu stabilito il concentramento e l’internamento di tutti i sudditi nemici e la maggior parte degli ebrei stranieri fu progressivamente  internata e concentrata. Nel settembre 1940 esistevano già quindici campi di internamento. I più importanti erano nel centro-sud (esempio quelli di Campagna e di Ferramonti) . Le località di confino arrivarono nel giro di un paio d’anni ad oltre quattrocento. Nel  gennaio-marzo 1943 nel Trevigiano vi erano 18 località di confino e internamento, nel Vicentino ve n’erano ventisette con quasi quattrocento confinati e internati in gran parte iugoslavi e ungheresi. Anche San Donà era una località di internamento.

Questi gli ebrei internati nella nostra città fino ad ora conosciuti:

Max Blau da Kaschan Ungheria
Francesco Grosz da Rosvarda Ungheria
Giulio Haberfeld da Nagy-Mihaly Ungheria
Janos Haberfeld da Nagy-Mihaly Ungheria
Giuseppe Papo da Sarajevo Jugoslavia
Silvio Papo da Sarajevo Jugoslavia
Buci Salom da Sarajevo Jugoslavia

L’internamento comportava una notevole limitazione della libertà personale. Gli internati venivano allontanati dall’ambiente loro familiare, separati da parenti e amici, e costretti a vivere in un luogo fino ad allora sconosciuto, dove era loro proibito ogni contatto con gli abitanti, ad eccezione dei padroni di casa. Non potevano allontanarsi dal territorio comunale senza autorizzazione speciale e dovevano presentarsi alla stazione di polizia o dei carabinieri in orari determinati, di solito una volta al giorno. Potevano lasciare la casa dove abitavano solo durante il giorno, senza però mai superare un determinato perimetro. Ma in generale l”internamento nei comuni permise condizioni di vita migliori rispetto a quello nei campi di concentramento.

Dalla primavera del 1941 fu concessa la possibilità di trasferimento da un campo di concentramento ad un comune di “internamento libero” situato in province scelte dagli stessi internati. Molti di loro, nella speranza di trovare condizioni migliori, chiesero il trasferimento al nord compiendo così un fatale errore che, in molti casi, avrebbe segnato un tragico destino: dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943, infatti, l’Italia centro-settentrionale sarebbe rimasta a lungo sotto l’occupazione tedesca e gli ebrei catturati sarebbero stati deportati ad Auschwitz.

Fu in quel periodo che  Lucia Schiavinato nascose alcuni ebrei presso il Piccolo Rifugio.  Monsignor Saretta nascose presso delle famiglie fidate di Mussetta altri otto ebrei, su segnalazione del Patriarcato di Venezia.

Alcuni degli internati “sandonatesi” riuscirono a mettersi in salvo, come Max Blau, ebreo ungherese, che nel 1946 scrisse una lettera da New York al sindaco di San Donà:

” Mi sento il dovere di esprimere la mia gratitudine per il molto generoso trattamento e benevolenza ricevuta durante il nostro soggiorno a San Donà di Piave. Malgrado il periodo che abbiamo dovuto passare era uno dei più tristi, i ricordi erano i più belli dell’Italia. Vi auguriamo un rapido progresso ed alla cittadinanza di San Donà di Piave il nostro saluto ed auguri.”

a cura di WP
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Fonti:
“Un soffio di libertà: la Resistenza nel Basso Piave” di Morena Biason

“I campi di internamento fascisti per gli ebrei (1940-1943)” di Carlo Spartaco Capogreco
DA STORIA CONTEMPORANEA Anno XXII, Agosto 1991 IL MULINO EDITORE

Sito web: “Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico” a cura di Anna Pizzuti  – https://www.annapizzuti.it