Le Donne e il Concilio – Dal Convegno teologico Internazionale
fonte: Vita Pastorale
di Marinella Perroni
Nella vita della Chiesa ormai le donne sono entrate a tutti i livelli, soprattutto “magisteriali”, senza rivoluzioni o piagnistei. In tal senso il Convegno è stato un atto di coraggio: non una lettura “particolare”, ma sicuramente un punto di vista prospettico privilegiato.
Una grande soddisfazione: questo il sentimento palpabile che ci trasmettevamo l’un l’altra la sera del 6 ottobre, durante la cena di arrivederci con cui chiudevamo il Convegno teologico internazionale che aveva visto come protagonisti 250 teologhe e teologi provenienti da 23 Paesi del mondo. D’altra parte, la prima parola che ha aperto i lavori, il pomeriggio del 4 ottobre, e l’ultima che li ha chiusi, la mattina del 6, è stata, nelle tre lingue del convegno: «Grazie-graciasthanks ». Se abbiamo potuto fare quel piccolo-grande miracolo, lo dobbiamo a molti che, in modi diversi, lo hanno reso possibile. C’è di più, però.
Un debito di gratitudine
Il filmato non poteva finire lì, però, perché le teologhe hanno ormai imparato che le donne devono sempre andare al di là della memoria canonica, alla ricerca d’immagini e parole che tanto la storia passata quanto quella recente, quasi meccanicamente, condannano all’oblio. Ciò che riguarda le donne sfugge sempre alla canonizzazione del vissuto nella memoria storica, la loro presenza non entra nelle narrazioni ufficiali e resta, in fondo, sempre “apocrifa”. Il filmato ci presentava le foto di ventitré religiose o laiche che, per la prima volta nella storia, prendevano parte alle “plenarie” di un Concilio, sia pure vincolate a un silenzio almeno anacronistico, o che sedevano nelle commissioni preparatorie dei diversi documenti conciliari accanto a teologi che nell’ultimo secolo avevano profilato il nuovo volto della teologia cattolica. Ci faceva vedere vescovi capaci di prendere sul serio la loro presenza, e Paolo VI circondato da laici e laiche che, invitati al Concilio, ricordavano all’intera assemblea episcopale che tutti, vescovi, teologi e laici, erano lì con le loro Chiese e per le loro Chiese. Immagini inedite, che hanno reso l’assemblea di teologhe e teologi che si riunivano, a cinquant’anni di distanza, per valutare la ricezione ecclesiale del dettato e dell’evento conciliare, consapevole di un debito di riconoscenza radicato nella storia stessa del Vaticano II, nella volontà di alcune precise persone che hanno saputo interpretare i segni dei tempi, nel coraggio di un manipolo di donne che non hanno avuto paura di farsi trattare da minoranza silenziosa e obbediente pur di riuscire a contribuire a scrivere una pagina importante della storia della propria Chiesa.
Un nuovo soggetto ermeneutico
Il Convegno non è stato soltanto un gesto di gratitudine, ma anche un atto di coraggio. Ha preteso infatti di considerare le donne, la loro storia ecclesiale recente come la loro capacità d’interpretare la storia della fede in Cristo, un punto di vista prospettico privilegiato. A partire da quel Concilio, anche alle donne cattoliche è stato consentito di conseguire i gradi accademici in teologia e d’insegnare tutte le diverse discipline teologiche.
Si tratta di qualcosa che va oltre le logiche di parità che hanno progressivamente favorito l’inserimento delle donne in tutti gli ambiti degli studi accademici e degli esercizi professionali. L’accesso allo studio e alla docenza della teologia, infatti, abilita anche le donne a farsi interpreti di un pensiero, quello teologico, e di una tradizione, quella ecclesiale, che per venti secoli le ha viste sempre come oggetto d’interesse e di studio, mai quali soggetti ermeneutici autorevoli. Affermare la propria responsabilità di teologhe ha significato per noi accettare di presentarsi come soggetti capaci di guardare criticamente ai primi cinquant’anni di ricezione del Vaticano II per individuare in che termini e con quali conseguenze la Chiesa cattolica ha saputo incrociare la storia delle donne, divenuta negli ultimi centocinquant’anni così decisiva per l’intera storia umana, intercettarne le istanze, assumerne le prospettive, declinarne le specificità dentro la consapevolezza di una fede condivisa nella persona di Gesù di Nazaret, Cristo di Dio. Quando, alla fine del nostro Convegno, abbiamo constatato che il grande Auditorium di via della Conciliazione si andava riempiendo di molte centinaia di persone venute ad ascoltare la narrazione che noi teologhe volevamo e sapevamo fare del Concilio, abbiamo capito che, al di là di riconoscimenti ufficiali ricevuti o di quelli attesi, la storia ci dava ragione: nella vita della Chiesa le donne sono ormai capaci di assumere il passato e di preparare il futuro. Per chi vuole ascoltare anche la loro voce. Riprendendo un’efficace osservazione di una delle religiose presenti al Concilio, Jerome Chimy, anche noi desideriamo ormai essere ascoltate perché abbiamo qualcosa da dire.