L’eccidio dei partigiani sandonatesi a Venezia: i 13 Martiri
Riprendiamo la memoria – dolorosa – delle vicende del penultimo anno di guerra, quel 1944 in cui anche San Donà fu suo malgrado protagonista.
L’avvenimento che si vuol ricordare avvenne il 28 luglio, stesso giorno in cui 30 anni prima iniziò l'”inutile strage” – così definita da Papa Benedetto XV – della prima guerra mondiale.
Alle 9 e 5 del 26 luglio 1944 il boato causato da una violenta esplosione viene sentito quasi tutta Venezia: una bomba, fatta arrivare in un baule da partigiani locali, distrugge un’intera ala di Palazzo Giustinian (sede del comando provinciale della Guardia nazionale repubblicana e della polizia segreta fascista), causando 11 vittime.
Su quelle rovine, due giorni dopo, il 28 luglio, alle 5 del mattino, 13 uomini vengono trucidati: cinque di loro hanno dai 18 ai 22 anni. Sono quei partigiani, martiri della libertà, che danno il nome ad una Calle di Venezia, alla Via principale e ad altrettante Vie di San Donà di Piave (ed anche alla strada principale di Musile e al monumento davanti al Municipio di Ceggia)… e che nulla hanno a che fare con l’attentato dinamitardo, poiché in prigione.
Chi sono i Tredici Martiri
I Tredici aderivano ai gruppi clandestini locali denominati Gap (Gruppi di azione patriottica), svolgendo propaganda antifascista ed azione di resistenza. Tutti e 13 sono stati arrestati nel gennaio 1944 e quando vengono prelevati (verso mezzanotte) per l’esecuzione si trovano rinchiusi nel carcere di Santa Maria Maggiore.
I Tredici prigionieri, che credono di andare ad un processo, vengono in realtà inviati a San Zaccaria. Dopo poche ore, sette di loro legati con una fune vengono portati con un motoscafo sulle macerie di Ca’ Giustinian e, alle 5 del mattino, uccisi a colpi di mitra e pistola. Gli altri sei, sempre legati, vengono fatti giungere sul medesimo posto a piedi, dalla parte di San Moisè.
Ecco i loro nomi, che ci sono familiari perché nominano Vie di San Donà:
–Attilio Basso: 22 anni, nato e residente a San Donà, coniugato, con un figlio (che non riuscì a vedere);
–Stefano Bertazzolo: 25 anni, nato a Carrara S. Giorgio (PD), residente a San Donà, celibe;
–Francesco Biancotto: 18 anni, nato e residente a San Donà, celibe;
–Ernesto D’Andrea: 31 anni, nato a Musile e residente a San Donà, celibe;
–Giovani Felisati: 35 anni, nato a Mestre e residente a Carpenedo;
–Angelo Gressani: 48 anni, nato ad Ovaro (UD) e residente a Ceggia, coniugato;
–Enzo Gusso: 31 anni, nato e residente a San Donà, celibe;
–Gustavo Levorin: 38 anni, nato a Padova;
–Violante Momesso: 21 anni, nato a Noventa di P. e residente a San Donà, celibe;
–Venceslao Nardean: 19 anni, nato a Noventa di P. e residente a San Donà, celibe;
–Amedeo Peruch: 39 anni, nato a Musile, coniugato;
–Giovanni Tamai: 20 anni, nato e residente a San Donà;
–Giovanni Tronco: 39 anni, nato e residente a San Donà, coniugato, con una figlia.
“Erano tutti del Sandonatese. Non a caso. Si voleva in qualche modo dare una lezione che servisse di monito ad una zona particolarmente attiva nella Resistenza. San Donà di Piave, infatti, fu l’unica città del veneziano ad essere insignita di medaglia al valor militare per la Resistenza. Ebbe quella d’Argento.” (www.anpive.org)
“Nella sentenza della loro condanna a morte si legge l’imputazione di strage e di eccidio; fandonie, ché essi non si macchiarono mai di tali cose e fu solo per colpa di un delatore, tale Bedin da Cessalto, che uno di loro, Nardean, fu spinto a compiere un attentato lungo la ferrovia.
Il Bedin gli aveva detto trattarsi di una tradotta, in realtà era un treno passeggeri e quando il Nardean lo venne a sapere riuscì a disinnescare tutte le mine meno una che però non provocò alcuna vittima. Ma la spia, che si era insinuata nel gruppo clandestino approfittando della generosità di Bertazzolo, stava tremando.
E, così, la notte dell’undici gennaio 1944, quando venne lanciata una bomba di carta all’interno della casa del fascio, la trappola scattò. Furono arrestati per rappresaglia e con loro altre persone tra cui delle donne. Cominciò il calvario. Prima la caserma dei carabinieri a S. Donà, poi a Venezia ai SS. Apostoli, infine a Santa Maria Maggiore.
Torture, interrogatori e sevizie. Il numero primitivo di 22 arrestati un po’ alla volta si assottigliò e si ridusse a 13. E questi Tredici Martiri usciti dal carcere o strappati dal sanatorio, come Attilio Basso malato di emotisi, furono portati a morire sulle macerie di Ca’ Giustinian.” (M. Pettoello)
Il suffragio a San Donà
La notizia dell’esecuzione, per rappresaglia, dei Tredici, da parte del plotone della Gnr comandato dal capitano Zani, arriva a San Donà lo stesso venerdì 28 luglio. Solo alle 9 del 29 luglio le salme vengono rimosse e portate al cimitero, senza alcuna onoranza funebre.
Il parroco di San Donà mons. Saretta, con la prudenza che è opportuno usare in una città invasa, domenica 30 luglio in chiesa proferisce queste brevi parole: “Quest’oggi vi parlo col cuore trafitto dal più profondo dolore. Mio Dio! Abbi pietà dei tuoi figli. Tu che sei giusto, conforta, solleva le nostre povere anime, che sono affrante sotto il peso della sciagura che ci ha colpito. Preghiamo per i nostri morti, preghiamo per le povere madri, per le spose che sono in lutto. Preghiamo per la nostra Patria così duramente provata. Preghiamo e piangiamo“.
Per i Tredici martiri uccisi a Venezia Saretta celebra alcune messe di suffragio: il 31 luglio, l’1, il 4, l’8 agosto (“Pro defunti trucidati”), e una solenne messa funebre fu celebrata il 30 agosto di quel 1944.
Le ultime lettere
Ci sono rimaste a memoria dei Tredici le loro lettere dalla prigionia, alcune scritte poco prima dell’esecuzione del 28 luglio, che riportiamo nei loro testi originali.
“La tragedia individuale si stempera a volte nella generale temperie e il raffronto la ridimensiona, come spiega alla madre il ventunenne contadino Attilio Basso, prima di essere fucilato il 28luglio 1944 a Venezia con una dozzina di compagni, come rappresaglia per l’attentato contro la sede fascista di Ca’ Giustinian” (M. Franzinelli):
“Mamma! Mi chiedi come stò, io stò bene, a pensando al mondo avverso, a chi sofre più di me: a pensando a questo mondo di rovina, di desolazione: a quel sangue sparso in tutta la terra del mondo. Avedo soldati insanguinati per la miseria della patria, mariti torturati, ogi infelici, mamme angosciate da pianto per la sorte dei loro figli, amalati feriti senza speranza, famiglie schiave disfatte dalla rovina della guerra, uomini schiavi disfatti dall’avoro, stritulati dalla società“.
Ernesto D’Andrea, scritto poco prima della fucilazione:
“Saluti e baci a tutti.
Siate forti come (lo sono) io.
Ciao alla mamma, al babbo,
a Maria, a Ghidetti.
Andrea ”
Violante Momesso, dalla prigionia…:
“Carissimi tutti, anche questa volta spero farvi avere questa lettera la quale porti a voi il buon stato della mia salute e così vorrei sperare che altrettanto fosse di voi tutti. La nostra vita di prigionia è sempre la solita. Dico nostra perché siamo diversi compagni e ci rispettiamo come fratelli, dopo tanto tempo che siamo qui rinchiusi in codesta cella oscura che non vediamo luce da molto e molto tempo. Non vi posso nascondere che abbiamo anche qualche passatempo: come gioco di carte, dama ecc. però sempre clandestinamente, cioè con uno di noi sempre in guardia.
Ciò nonostante codesti piccoli passatempi, tengo sempre nel mio cervello tanti e tanti pensieri che mi rattristano assai. Ma quando penso che siamo vicini molto vicini alla nostra ora, mi raccomando e son più che certo che tutti in quell’ora scatteranno in piedi, impugneranno qualsiasi arma e colui che non l’adopera sarà un vile ed un codardo. Nessun pretesto vale per mancanza di armi; armi ce ne sono per tutti, bambini, uomini e vecchi, tutti debbono collaborare per cacciare, una volta per sempre per la da questo suolo, il barbaro tedesco invasore ed il tiranno fascista, in modo che si cancelli, ed al più presto, la memoria ed il ricordo di codeste belve assetate ed affamate di carne umana. L’ora per noi (già me la sento) sta per suonare. Sorte triste e crudele. Nessun essere umano può immaginare a quali patimenti e sofferenze noi siamo soggetti. Figuratevi che siamo rimasti, anzi ci hanno lasciato (i tiranni fascisti), per circa cinque giorni senza acqua. Da mangiare pochissimo. Acqua, acqua ed un piccolo tozzo di pane.
Comunque mi do sempre coraggio perché come ho accennato precedentemente siamo vicini, molto vicini. Digli, cara mamma ai miei compagni, che si tengano pronti ad ogni evento e se occorre spargere anche del sangue per la libertà. Un bacio a Wally ed un abbraccio a voi tutti. Violante”
… e poco prima della fucilazione:
“Anche questa volta spero farvi avere questa mia lettera. Cara mamma la mia salute è ottima così spero di tutta la nostra famiglia e la piccola Voli. Ma se tu mamma sappessi quanto ho lottato su questa mia gioventù per la mia famiglia e per una vera patria. Ora mi ritrovo su una cella ma devi sempre sorridere perché farò il bene della mia famiglia tutto passerà anche questa vita di tortura sotto queste belve fasciste che non finiscono mai asetarsi del nostro sangue. Ma verà un giorno che potrò bacciarti te e famiglia, alora ti spiegherò bene cosa facevo su questa maledetta carcere e poi mi vendicherò perché un idea è un idea e non sarà capace nessuno al mondo troncarmela. Ti mando i più cari saluti te e famiglia un bacio alla piccola Voli ci vedremo presto. Violante“
Amedeo Peruch, alla moglie poco prima della fucilazione:
“Saluti.
Cara Marcella sono le ultime ore.
Tanti baci Peruch Amedeo.
Mi saluterai tutti i miei fratelli e cognati.”
Giovanni Tronco, alla figlia durante la prigionia…:
“Cara Rinetta,
con la speranza che questa mia ti trovi in buona salute e sempre contenta e buona con la mamma e i nonni non piangere pel tuo papà che si trova da te lontano per un puro Ideale che speriamo presto verà il giorno della nostra liberazione. Ti racomando di stare buona. Caramente ti bacio tuo papà”
… e alla moglie poco prima della fucilazione:
“Cara Maria,
ti raccomando di essere forte.
Ti domando perdono per tutto.
Saluta tutti.
Addio tuo Giovanni”
La Commemorazione della Città
In occasione del ventennale del sacrificio di Ca’ Giustinian, l’Amministrazione di San Donà commemorò i Tredici e pubblicò un opuscolo:
“A nome della Civica Amministrazione presento queste modeste pagine che si propongono di ricordare i 13 Martiri nel ventennale del Loro sacrificio a tutti coloro che vissero il Secondo Risorgimento e di farLi conoscere ai giovani, a quelli che sono venuti quando l’alba della Libertà era già risorta sulla nostra Città e sulla Patria.
Il 28 luglio 1944 a Ca’ Giustinian vennero fucilati per nessun delitto, per nessun tradimento, ma solo per aver scelto la libertà e l’onore:
Attilio Basso, Stefano Bertazzolo, Francesco Biancotto, Ernesto D’andrea, Giovanni Felisatti, Angelo Gressani, Enzo Gusso, Gustavo Levorin, Violante Momesso, Venceslao Nardean, Amedeo Peruch, Giovanni Tamai, Giovanni Tronco.
Non tutti erano sandonatesi; Gressani di Ceggia, Felisati di Mestre e Levorin di Padova. Ma da allora e per sempre nostri Concittadini, perché accomunati dallo stesso sacrificio.
L’Amministrazione Civica nel 20° Anniversario dell’ eccidio, che, nelle immani proporzioni, ha toccato il vertice della tragedia vissuta dalla Patria in una delle ore più oscure della Sua storia, ha dedicato la giornata del 6 settembre per onorare, con i 13 Martiri, tutti i Caduti della Resistenza e per celebrare i grandi valori ideali che la Resistenza rappresentò, nella lotta contro la dittatura per la conquista della Libertà .
Non sarebbe patrimonio vero, consapevole, operante, la libertà in Italia se non fosse stata conquistata dal coraggio, dalla fede, dall’eroismo, dal sacrificio dei suoi figli migliori, da coloro che dimostrarono di credere nella Libertà e nella Democrazia, con il sangue, che ci insegnarono un modo nuovo di fedeltà agli ideali.
Così intendiamo ricordare i 13 Martiri e con Loro tutta la Resistenza Sandonatese. Si, anche gli altri:
Attilio Rizzo animatore e capo, Medaglia d’Argento al Valore Militare;
Giovanni Baron, suo collaboratore, Medaglia di Bronzo al Valor Militare;
Primo Biancotto, Carlo Vizzotto, Verino Zanutto, Luigi Guerrato, Luigi Carozzani, Bruno Balliana, Giodo Bortolazzi, Flavio Stefani, Casimiro Zanin, Antonio Ferro, Erminio Zane, Esterino Dalla Francesca, Cesira ed Elvira Carozzani, la Brigata Eraclea, la Brigata Piave, Reparti dell’Esercito della Libertà,
nati ed organizzatisi nella nostra amatissima terra del Basso – Piave, dove mai il fascismo era riuscito a piantare radici profonde.
Per questo, mentre ancor oggi ci raccogliamo accomunati in un sentimento di immensa pietà e profonda commozione attorno a queste 13 salme sacrificate dall’odio e dalla violenza, eleviamo insieme la nostra protesta di popolo civile contro la tirannide e la dittatura.
Per questo ancora, sentiamo il diritto di pronunciare l’implacabile condanna, poiché conosciamo attraverso il sacrificio dei nostri Martiri quale sia il prezzo che un popolo deve pagare per la conquista della Libertà.
Le celebrazioni del 6 settembre costituiscono per tutti un profondo e grave ammonimento ad esseri degni di questo bene inestimabile.
Franco Pilla, Sindaco di San Donà di Piave. San Donà di Piave, 6 settembre 1964”
Alla fine del conflitto le salme dei Tredici Martiri furono portare nel cimitero di San Donà e sepolte in una tomba comune con la fotografia di ognuno. Nell’occasione tutto il popolo si riversò sulle vie e sulle piazze per l’estremo saluto.
Nella stessa tomba, al centro del cimitero di San Donà ci sono anche altri partigiani sandonatesi protagonisti della liberazione delle nostre terre.
“… se si è capaci di affrontare queste situazioni con coraggio e dignità, al prezzo anche della vita, si consegna, con il dolore delle persone più care, anche una memoria che i sopravvissuti hanno il dovere di conservare.” (M. Pettoello)
(fine seconda parte)
A cura di Marco Franzoi
Fonti
-“Storia cristiana di un popolo” – D.S. Teker (1994)
-“Un soffio di libertà. La Resistenza nel Basso Piave” – M. Biason (2007)
-“Ultime lettere. Scritti di fucilati e deportati della Resistenza” – M. Franzinelli (Italia Contemporanea n° 237, dicembre 2004)
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