La montagna, certo meno urbanizzata delle nostre città e paesi, ci induce maggiormente a ritrovare noi stessi e, forse, anche per questo, essere in montagna è già vacanza. Forse per i suoi silenzi, per i suoi colori, per i suoi spazi aperti, i suoi passaggi angusti e per il senso del limite a cui ci induce. Tutto conduce al silenzio e all’ascolto. Quale luogo migliore quindi per affrontare questo tema importante? Se poi a condurci nella riflessione è Roberta Ronchiato, allora questo è garanzia di un percorso interessante ma anche profondo ed arricchente. Dedicare il tempo delle ferie a questa crescita umana e spirituale continua ad essere importante. Così come continuano ad essere importanti le relazioni e le amicizie intessute fra i partecipanti coltivate negli anni, fra fatti buoni e inevitabili fatti tristi, tragedie e delusioni. Ognuno con il proprio modo di affrontare la vita e di ripensarla. L’ospitalità offerta da Villa Letizia è semplice e viene dal lavoro di ciascuno. Ed è anche questo un modo particolare di affrontare la vacanza: ognuno ha all’interno del gruppo un compito: intonare i canti, suonare la chitarra, disegnare, scrivere, preparare le preghiere, delineare i sentieri da seguire fra le montagne consultando le cartine topografiche e i siti internet, stabilire le quote, raccoglierle.
Eppure sono queste stesse persone che con costanza si dedicano anche ai lavori di gestione della Casa: chi a lavare i piatti, preparare i tavoli, aiutare in cucina a lavare e tagliare le verdure, pulire le grandi pentole che servono a tutti, tenere puliti gli spazi comuni, …forse questo fa parte del fascino di questo tipo di esperienza. Perché forse lavorare e fare fatica induce a scaricare le tensioni, aiuta a pensare, e, soprattutto induce a viverci come persone che sono legate le une alle altre e che in qualche modo non sono “isole” ma parte del gruppo cui si sente maggiormente di appartenere. Del resto non indicava forse San Benedetto nella sua Regola un valore essenziale nel lavoro tanto da collegarlo con un semplice “et” alla preghiera: ora et labora. Due cardini entrambi necessari per mantenere in piedi e “stabili” le persone.
Forse nella condizione ideale per predisporsi all’ascolto.
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