Omelia di don Paolo Carnio alla Messa nella notte di Natale

Com’è tradizione, ci ritroviamo in molti a questa S. Messa della notte di Natale. Il motivo riguarda la nascita di un bambino: “un bambino è nato per noi” abbiamo letto nella prima lettura.

Apparentemente un bambino come tanti. Non ha infatti origini nobili né appartiene ad una famiglia facoltosa. Non si tratta però di un bambino italiano, ma israeliano, uno straniero, nato al di là del mare Mediterraneo, da una giovanissima ragazza di nome Maria di Nazareth, un villaggio del nord. Nasce a Betlemme un po’per caso, altro piccolo villaggio vicino a Gerusalemme avendo infatti l’imperatore romano indetto un censimento, Giuseppe, sposo di Maria, ha dovuto spostarsi a Betlemme per registrare il nome della sua famiglia, da lì, infatti, provenivano i suoi antenati. Erano discendenti di Davide. E, a Betlemme, si compiono i giorni del parto e Maria dà la luce a un figlio che chiamerà Gesù.

Noi questa notte siamo qui per questo bambino di nome Gesù, perché lo riconosciamo nostro Salvatore. Infatti, una volta adulto, donerà la sua vita per tutti gli uomini e le donne del mondo, per liberarli dalla schiavitù del peccato e della morte, morendo su una croce, ci ricordava la seconda lettura. Si tratta dunque di una persona che ha amato moltissimo anche noi e che abbiamo riconosciuto come Cristo, cioè inviato e consacrato da Dio per la nostra salvezza. Per noi è diventato così importante che ci riconosciamo in lui, ci identifichiamo come “cristiani”, cioè discepoli di Cristo e riteniamo oggetti preziosi quelli che ci ricordano la sua nascita e la sua morte, come il presepio e la croce. Siamo anzi gelosi di questi simboli e, giustamente, non accettiamo che qualcuno li metta in discussione, chieda che siano tolti dai luoghi pubblici, per un senso di rispetto nei confronti di coloro che non condividono la nostra fede.

Questa è la nostra fede che ha plasmato la nostra storia l’arte, la cultura e desideriamo che sia riconosciuta e rispettata, come noi cerchiamo di riconoscere e rispettare la fede degli altri. Il rispetto per la fede o l’indifferenza degli altri, non significa negare o nascondere la propria fede, ma saperla mettere in dialogo. La nostra fede cristiana però è molto più esigente di quello che noi pensiamo anche con noi stessi e ci aiuta ad essere coerenti.

Come dicevo, noi siamo qui per fare festa a causa della nascita di un bambino straniero, nato oltre mediterraneo, in medio oriente, perché ci ha portato la salvezza di Dio, ci ha liberati dal male e dalla morte. Come mai allora, oggi, facciamo così tanta fatica a gioire e fare festa per altri bambini che giungono in Italia da oltre il Mediterraneo? La salvezza di Dio, oggi, non potrebbe venire proprio attraverso quei bambini che noi facciamo fatica ad accogliere? Dio ha sorpreso tutti decidendo di salvare l’umanità attraverso il bambino Gesù, perché non potrebbe sorprenderci anche oggi offrendoci la salvezza attraverso I bambini migranti?

Capisco che non possiamo lasciarci condurre dalle emozioni facili, che dobbiamo essere saggi ed accorti nel governo della cosa pubblica. Ma il presepio, a noi tanto caro, che contempliamo in questi giorni, ci interpella, ci interroga ci fa riflettere, ci chiede di non lasciarci condizionare dalla paura ma dalla fiducia in Dio e nella sua provvidenza. Ci chiede di sostare pensanti davanti a quel bambino che nasce in una stalla e che viene deposto in una mangiatoia. Ci chiede di lasciare che ci parli, ci aiuti a credere in Dio, ad aver fiducia in lui e nei suoi misteriosi disegni. Anche dove sembrano regnare le tenebre può risplendere una luce sfolgorante, abbiamo sentito nella prima lettura e nel brano evangelico; anche dove sembra prevalere il male, può farsi strada un grande bene; anche dove sembra non ci sia cibo per tutti può scaturire l’abbondanza.

Dobbiamo solo lasciarci illuminare dal bambino di Betlemme e credere nella provvidenza di Dio. Egli è offerto anche a noi come il segno della salvezza. Dobbiamo però saper leggere i segni che Dio ci offre. Probabilmente nessuno avrebbe scommesso che il bambino di Betlemme si sarebbe rivelato come il Salvatore del mondo, come nessuno di noi scommetterebbe su qualsiasi bambino che incontriamo. Non possiamo conoscere il suo futuro, cosa farà, quale ruolo svolgerà, che peso avrà la sua vita nell’economia della vita del mondo intero. Ma proprio perché tutto ciò ci sfugge, dobbiamo pensarci bene prima di rifiutare un bambino che ci viene incontro e ci chiede d’essere accolto: potremmo precluderci una salvezza che, oggi, Dio ci offre proprio attraverso di lui.

Carissimi, il Signore, in questa notte, ci offra la sua luce e ci renda saggi, accoglienti, generosi, coraggiosi, con un cuore che non accetta di indurirsi di fronte al fratello che chiede aiuto. Un cuore che si fa mangiatoia, perché anche oggi qualsiasi figlio di Dio, di ogni razza, trovi un posto per nascere e vivere. Così sia.

(Letture: Is 9,1-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14)