Esequie di don Davide – Omelia del Vescovo Michele
Carissimi fratelli e sorelle,
ci sono dei momenti in cui più che in altri sentiamo che la fede nel Signore è sfidata e messa alla prova, e allo stesso tempo ci risulta buona, concreta, necessaria.
C’è il momento in cui, come per l’apostolo Paolo, viene da chiedersi: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”.
Ma che per noi ora significa anche: “esiste davvero questo amore grande e forte, che ci faccia vivere e sopportare la distanza e la lacerante separazione che stiamo sperimentando?”
Il momento per tali domande è questo che viviamo ora, è come il momento in cui abbiamo saputo della morte improvvisa di don Davide, e – allora come ora – vorremmo chiedere all’amore di Cristo di manifestarsi con forza, di rimettere le cose a posto, vorremmo chiedere di toglierci dalla situazione dolorosa in cui di colpo siamo stati precipitati.
Perché sentiamo prepotente la forza violenta che ci separa troppo presto da una persona amata. Sì, amata,
semplicemente amata, da tanti, dai molti con cui in un modo o nell’altro egli era entrato in relazione.
Sentiamo che le tribolazioni vissute di fronte a tante crisi ed emergenze; l’angoscia provata quando i problemi embravano giganteschi e le soluzioni fragili e lontane; la persecuzione subita da tanti che bussano alle porte del nostro mondo; la fame tanto di cibo quanto di ascolto, di tenerezza e di dignità; la nudità di chi ha perso tutto come quella di chi gli sta accanto senza riuscire a dare soluzioni efficaci; il pericolo a cui non riesci a sottrarre la tua vita quando ti fai compagno di strada di quanti hanno dovuto fare della precarietà la caratteristica quotidiana e unica dell’esistenza; la spada che minaccia di recidere ogni residua speranza di inserimento nella società e di possibilità di cura: sentiamo che tutto ciò, come già per San Paolo, non avrebbe potuto effettivamente separarci dall’amore di Cristo.
Lo sentiamo anche perché abbiamo conosciuto don Davide, e da lui abbiamo imparato che si può stare nelle contraddizioni della vita – accanto e a servizio degli ultimi e dei poveri – mantenendo l’esigenza alta di una presenza senza compromessi, di un coinvolgimento senza ideologie ma profondamente evangelico, di una valutazione intelligente delle situazioni, di uno sguardo sul mondo, sulla storia, anche sul proprio servizio che fosse partecipe e radicalmente solidale, ma anche saggiamente capace di non prendersi troppo sul serio.
Ma nel distacco così improvviso e crudo da don Davide abbiamo bisogno di un aiuto di Grazia ancora maggiore: per fuggire dall’angoscia, per fuggire dalla tribolazione in cui siamo caduti.
Abbiamo bisogno di un supplemento di fede semplice e tenace per non far prevalere il freddo di quella spada che trafigge il cuore della cara mamma Gina, che come ogni madre non dovrebbe provare questo dolore.
Abbiamo bisogno di una presenza amica e forte per non sentirci soli e per rifuggire il pericolo grande e letale di ripiegarci su noi stessi, di perdere coraggio sul cammino della vita e del dono.
Abbiamo la necessità di una Parola che ci faccia continuare nel cammino intrapreso assieme a don Davide, senza rischiare di dimenticarlo, strada facendo.
Questo, lo sappiamo, non succederà.
Nessuno che lo abbia conosciuto ed incontrato, infatti, potrà mai dimenticare il tratto della sua persona, la sua delicatezza e forza allo stesso tempo, la sua capacità apparentemente lieve ma coraggiosa di spendersi senza risparmio e senza calcolo per sé. Troppo, pareva a volte: ma era così, e cambiarlo sarebbe stato come cambiare il suo respiro, o la qualità della sua fede. Lo sanno i suoi familiari, da cui egli ha appreso questa fede e questo stile di vita (e se a volte il suo dialogo con me si faceva personale e privato, quanto risplendeva allora nel racconto il volto del suo papà).
Lo sanno quelli che in vario modo hanno collaborato con Lui, nelle Parrocchie dove ha svolto il suo servizio e alla Caritas Tarvisina. Lo sanno i tanti che da lui hanno imparato a vivere il Vangelo.
E proprio tanti «fatti concreti di Vangelo», resi possibili nella nostra Chiesa di Treviso, portano il segno della sua persona, della sua lucida ed intelligente passione, del suo dono di vita.
Il giudizio, per una volta, nel caso di don Davide mi sembra proprio assicurato. Guardando alla sua storia, infatti, risuona subito chiara e limpida la voce del Figlio dell’uomo che dice a lui, assieme a tanti giusti: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 34-36).
Io credo che così sia stato accolto don Davide da Gesù, dall’altra parte del suo rapido passaggio di vita in vita.
Vorrei però che potessimo trovare dalle parole stesse di don Davide guida e consolazione in questo passaggio così difficile per la vita della nostra Chiesa.
Nel bilancio sociale della Caritas 2022, presentato quest’anno, don Davide ci ha regalato una densa e profonda lectio sull’incontro dell’apostolo Tommaso con il Signore Risorto.
In questo momento in cui rischiamo di restare smarriti perché don Davide ci ha lasciati così, d’improvviso, alcune sue parole mi sono tornate subito alla memoria, e mi pare che queste ci diano una traccia per una lettura sapiente di quanto stiamo vivendo.
Così scriveva infatti don Davide:
“Essere vivi domani non è un diritto, è un miracolo. Rivedere il sole e i volti cari al mattino, non è né ovvio né dovuto, è un regalo. E che domani i miliardi di cellule del nostro corpo siano ancora tutte tra loro connesse, coordinate e solidali è un improbabile prodigio. È importante allora che viviamo lo stupore per una Vita che sempre ci precede e ci supera. Tommaso era convinto di avere in mano la situazione e invece ha fatto esperienza di aver compreso poco se non nulla. Anche noi siamo invitati a fare un cammino di consapevolezza per cogliere che la nostra fragilità, la nostra debolezza non sono un ostacolo, ma sono il luogo privilegiato dove l’Amore infinito di Dio desidera fare alleanza con noi, scrivere pagine nuove nel grande libro della salvezza.
Tommaso ha fatto esperienza della sua fragilità a partire dalla debolezza del Crocifisso. Lo ha fatto però lasciandosi prendere per mano dal Risorto che gli ha aperto un’altra prospettiva. Se l’incontro fosse stato solo tra dei crocifissi l’orizzonte della vita sarebbe rimasto chiuso.
Il Risorto aiuta Tommaso e ciascuno di noi a cambiare sguardo, da una visione segnata dalla morte e dalla sofferenza ad una prospettiva illuminata dalla vita e dall’amore. La verità di una vita fragile, ma amata,
traccia il sentiero di una libertà che non conosce e non conoscerà più confini. L’amore vero rende liberi.
Tommaso accetta il suo limite, accetta il limite della sua comunità e in questo processo di accoglienza incondizionata ritrova quella libertà profonda che gli permetterà di andare oltre, di osare oltre ogni speranza, di essere in ogni circostanza quel fragile vaso di creta che contiene il tesoro prezioso dell’amore misericordioso di Dio.
Così è anche per la nostra esperienza personale e di comunità. Amarci per quello che siamo e accogliere l’altro nella sua verità è uscire definitivamente dal terreno paludoso delle ambiguità e dei compromessi. Ciò ci rende profondamente liberi. La libertà non è fare quello che si vuole, ma è vivere quello che si è.
Siamo chiamati a scoprire la nostra verità.
Siamo creature fragili e ferite, eppure dinanzi a Dio abbiamo la dignità di un prodigio.
Il nostro volto, la nostra storia è unica e ognuno ha qualcosa di meraviglioso da lasciare in eredità agli altri”.
Per questo tuo sguardo, per il dono grande che sei stato, per tutta la tua vita: grazie, don Davide.