Donna forte

Donna forteUn testo di approfondimento in vista del pomeriggio di studio della comunità parrocchiale sul ruolo delle donne nella chiesa

di Stefano Bittasi (fonte: Aggiornamenti sociali febbraio 2013)

Quando nel 538 a.C. torna alla sua terra dopo circa cinquant’anni di esilio nei territori babilonesi, Israele non è più soltanto un popolo orgoglioso della propria storia e radicato nelle proprie antiche tradizioni, ma si è arricchito grazie al confronto con le più grandi culture dell’epoca. La diaspora, cominciata in realtà già nel 721 a.C. con la grande deportazione del regno del Nord da parte degli assiri, aveva sparso il popolo per tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente antico. L’editto del re persiano Ciro (cf. 2Cronache 36, 22-23; Esdra 1, 1-4) abroga il divieto di vivere nel territorio degli antichi regni di Giuda e di Israele che il sovrano babilonese Nabucodonosor aveva imposto ai giudei. Il rientro nella terra da parte di molti di loro diventa così l’occasione di confronto e di riflessione culturale e religiosa che porterà alla composizione definitiva di quello che oggi, in ambiente cristiano, chiamiamo Antico Testamento.

È importante sottolineare l’atteggiamento del popolo, testimoniato dai profeti dell’epoca dell’esilio, ad esempio Geremia (29, 4-7): Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro. Uno stile dialogico, attento all’integrazione, che ha permesso ai giudei della diaspora di assimilare molti valori delle culture circostanti, tra cui una diversa concezione del ruolo della donna all’interno della famiglia e nella società.

Un diverso ruolo della donna

È in questo clima di scambio e di confronto culturale tra giudei che avevano vissuto a Babilonia, in Egitto, in Asia minore e in Anatolia, che vengono scritti i cosiddetti libri sapienziali, piccola summa di come la vita vada vissuta nella sua ampia gamma di relazioni: con Dio e con l’altro, nella famiglia e nella società, nella fedeltà alla propria identità e nel dialogo con le altre genti. Tra questi si colloca anche il libro dei Proverbi, che si conclude con un poema molto particolare che elogia una donna. Altri testi biblici di questo periodo elogiano le donne in un modo diverso da quello tradizionale, ovvero non più solo per l’obbedienza al marito o la dedizione ai figli e alla famiglia (solo come esempio, si legga il Salmo 128). Si pensi ai libri di Tobia, di Rut, di Giuditta o di Ester: come si vede fin dai titoli, le donne assumono un ruolo da protagoniste e, negli ultimi due, sono le salvatrici del popolo. Anche il Cantico dei Cantici porta a nuove vette l’elogio della sessualità e della relazione amorosa della coppia.

Eppure il poema finale di Proverbipresenta la donna in modo ancora più sorprendente. Siamo di fronte a un componimento alfabetico: la prima parola di ogni versetto comincia con una diversa lettera, rispettando l’ordine dell’alfabeto.

Proverbi 31, 10-18: la prima parte

10Alef Una donna forte chi potrà trovarla?

Ben superiore alle perle è il suo valore.

11Bet In lei confida il cuore del marito

e non verrà a mancargli il profitto.

12Ghimel Gli dà felicità e non dispiacere

per tutti i giorni della sua vita.

13Dalet Si procura lana e lino

e li lavora volentieri con le mani.

14He È simile alle navi di un mercante,

fa venire da lontano le provviste.

15Vau Si alza quando è ancora notte,
distribuisce il cibo alla sua famiglia

e dà ordini alle sue domestiche.

16Zain Pensa a un campo e lo acquista

e con il frutto delle sue mani pianta una vigna.

17Het Si cinge forte i fianchi

e rafforza le sue braccia.

18Tet È soddisfatta, perché i suoi affari vanno bene;
neppure di notte si spegne la sua lampada.

Si tratta di un espediente poetico dell’antichità per descrivere qualche cosa nella sua totalità: “dalla a alla zeta”, diremmo noi. Così, scorrere questo elogio della donna forte può aiutarci a comprendere quale sia il ruolo femminile proposto in questa fase della storia biblica. Lo faremo segmentando il poema in tre parti.

La prima ci mette di fronte a quella che oggi definiremmo una donna manager o un’imprenditrice. Il suo impegno non si limita al lavoro domestico (lavora volentieri con le mani, … si cinge forte i fianchi e rafforza le sue braccia), ma il testo ce la mostra come responsabile della produzione e degli acquisti (si procura lana e lino, … fa venire da lontano le provviste), come direttrice del personale (dà ordini alle sue domestiche), come manager oculata ed efficace (al marito non verrà a mancare il profitto, … i suoi affari vanno bene) anche negli orari da contemporaneo “workaholic” (si alza quando è ancora notte … neppure di notte si spegne la sua lampada), come responsabile del benessere degli abitanti della casa (distribuisce il cibo alla sua famiglia), in un ruolo che altrove è attribuito alla Provvidenza divina (si noti l’assonanza ad esempio con il Salmo 104, 27-28, dove di Dio si dice: Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni).

All’interno della cultura biblica tradizionale tuttavia, la cosa più stupefacente è la capacità giuridica di concludere affari e di comprare un podere (pensa a un campo e lo acquista e con il frutto delle sue mani pianta una vigna). Si può comprendere un dato così anomalo rispetto allo statuto giuridico della donna israelita prima dell’esilio, se si ricorda che in quest’epoca ad Alessandria d’Egitto e pare anche a Babilonia e in Persia, la donna poteva essere proprietaria indipendentemente dalla presenza di una figura maschile (marito, padre o altro parente) nella sua vita. Così non è difficile pensare che il popolo ebraico durante e dopo l’esilio abbia respirato questo clima culturale e lo abbia riproposto nel proprio vissuto sociale. Altrettanto stupefacente è il fatto che una donna di questo genere è presentata come oggetto di lode, ma non come caso eccezionale o come rarità: questi versetti esprimono dunque quello che la cultura dell’epoca considera un modello di donna encomiabile, ma realistico.

La condivisione con il povero

Proverbi 31, 19-20: il cuore

19Iod Stende la sua mano alla conocchia

e le sue dita tengono il fuso.

20Caf Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.

La donna di cui si fa l’elogio è sì una lavoratrice industriosa e una capace amministratrice della casa, ma è lodata soprattutto per l’attenzione sociale. Il lavoro non è solo la fonte del benessere della sua famiglia, ma si apre alla condivisione con il misero e il povero. Una finezza poetica, che vale la pena gustare, ci svela un significato molto profondo in termini di tensione sociale. In questi due versetti si ripetono due volte due termini: yad, “mano”, e kaf, “palmo” (anche se la traduzione usa termini differenti per la diversa cifra poetica della lingua italiana: mano, dita, palme, mano). Il messaggio che l’iterazione vuole trasmettere è che questa donna fornisce un aiuto ai poveri con la stessa energia e gli stessi strumenti con cui procura il benessere alla propria famiglia: cura della famiglia e solidarietà sociale non sono disgiunte, ma mettono in atto le stesse logiche, le stesse dinamiche. In altre parole, questa donna, pur non vincolata al rispetto delle prescrizioni della Legge (che obbligava solo gli uomini), realizza appieno l’ideale di giustizia che propone il coevo cap. 58 del libro di Isaia: il digiuno che voglio … Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, … senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora … Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà (vv. 6-8).

Va rimarcato che queste considerazioni sono poste al centro della composizione poetica, che, secondo i canoni della poesia semitica, spesso esprimono il cuore, la sintesi di tutto il messaggio. Non è esagerato affermare che proprio la realizzazione dell’ideale di giustizia è la condizione di possibilità di tutto il resto: solo perché c’è corrispondenza tra mano e palmo che lavorano per il proprio benessere e mano e palmo che si aprono e si protendono verso il povero, l’ultimo versetto (v. 31) potrà proclamare: Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani [ancora lo stesso termine] e le sue opere la lodino alle porte della città.

Una donna stimata da tutti

Nella seconda parte del poema appare ancora più evidente come il ruolo della donna qui descritto trascenda i confini della casa: siamo di fronte a colei che anima e dirige una fiorente impresa familiare.

Proverbi 31, 21-31: la seconda parte e il finale

21Lamed Non teme la neve per la sua famiglia,

perché tutti i suoi familiari hanno doppio vestito.

22Mem Si è procurata delle coperte,

di lino e di porpora sono le sue vesti.

23Nun Suo marito è stimato alle porte della città,

quando siede in giudizio con gli anziani del luogo.

24Samec Confeziona tuniche e le vende

e fornisce cinture al mercante.

25Ain Forza e decoro sono il suo vestito

e fiduciosa va incontro all’avvenire.

26Pe Apre la bocca con saggezza

e la sua lingua ha solo insegnamenti di bontà.

27Sade Sorveglia l’andamento della sua casa

e non mangia il pane della pigrizia.

28Kof Sorgono i suoi figli e ne esaltano le doti,

suo marito ne tesse l’elogio:

29Res «Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti,

ma tu le hai superate tutte!».

30Šin Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,

ma la donna che teme Dio è da lodare.

31Tau Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.

I mercanti, che nella prima parte erano soprattutto dei fornitori presso i quali la donna realizzava acquisti oculati, diventano qui i clienti a cui vendere i prodotti della sua azienda: confeziona tuniche e le vende e fornisce cinture al mercante (v. 24). Il marito, che nella prima parte godeva dei frutti del lavoro della moglie, qui si compiace del suo operato: suo marito ne tesse l’elogio: «Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma tu le hai superate tutte!» (vv. 28-29). Dunque, questo modello di femminilità non appare affatto in contrasto con il ruolo della donna all’interno della famiglia, come conferma il fatto che anche i figli si uniscono all’elogio (v. 28a): siamo di fronte a un caso di successo nella conciliazione tra famiglia e lavoro. Vi è però una nota ancora più sorprendente: questa donna è motivo di stima per il marito da parte degli anziani della città (v. 23). Anche le cerchie abitualmente più conservatrici, garanti delle tradizioni, approvano questo nuovo modello di femminilità. Ne è prova anche il fatto che questi versetti combinino caratteristiche tradizionalmente femminili con doti che in altri passi risultano prerogative maschili: forza e decoro sono il suo vestito (v. 24); apre la bocca con saggezza e la sua lingua ha solo insegnamenti di bontà (v. 25); illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare (v. 30).

Il testo biblico, senza proporre un modello trasportabile a oggi di indipendenza femminile – problema squisitamente contemporaneo – non ha paura di esplorare, con un’arditezza che lascia ancora stupefatti, le modalità sempre nuove per concretizzare quella complementarità fra i generi proposta fin dalle prime pagine della Genesi (a riguardo cfr quanto abbiamo approfondito in « Maschile e Femminile», in Aggiornamenti Sociali 11 [2010], 712-715).

Aperti ai «segni dei tempi»

Come abbiamo accennato in apertura, il testo che abbiamo presentato ci illumina sulle relazioni che le comunità ebraiche dell’epoca dell’esilio e del post-esilio intrattenevano con le culture del loro tempo. Due erano le alternative: la prima, chiudersi a riccio nella propria diversità religiosa e culturale, fatta di abitudini e usanze a protezione della propria identità in un mondo ritenuto avverso e “senza Dio”; la seconda è quella di un’apertura al mondo capace di accogliere all’interno dei propri costumi quegli stimoli sociali e culturali avvertiti come un passo in avanti. Più fonti conducono a ritenere che questo secondo sia stato l’atteggiamento prevalente. Certamente non mancarono frange identitarie più integraliste, pronte ad accusare il mondo di immoralità, ma si trattò di minoranze, in Egitto, in Grecia, in Mesopotamia e poi a Roma.

Ci pare di particolare rilievo il fatto che questo atteggiamento di fondamentale apertura abbia influito su un punto tipicamente assai delicato della struttura della famiglia e della società, quale il ruolo della donna: un passaggio tutt’altro che scontato, allora come nei secoli successivi. Infatti, nella tradizione dell’interpretazione biblica, il poema conclusivo di Proverbi è stato spesso considerato un’allegoria della virtù divina, una presentazione della sapienza personificata indirizzata agli uomini (maschi), tanto risultava culturalmente problematico il ruolo femminile che esso propone.

La sfida di un diverso ruolo della donna nella famiglia e nella società, e di un’evoluzione nei modelli di relazione tra i sessi si ripropone anche oggi, in un contesto culturale e con modalità diverse. Il brano che abbiamo analizzato ci guida a scoprire come sia possibile nutrire uno sguardo di apertura verso le novità culturali, senza rinunciare al discernimento. Essere aperti ai «segni dei tempi» – e senz’altro l’aspirazione al superamento di modelli antiquati nelle relazioni di genere, nella società, nella famiglia e anche nella Chiesa può esserne esempio – è del resto invito di tutto il Concilio Vaticano II: «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni» (Costituzione pastorale Gaudium et Spes, n. 4).