Duomo di San Donà
23 Maggio 2025

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S. Maria delle Grazie – Diocesi di Treviso

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Spiritualità

Venerdì santo 2012 – Meditazione serale di don Matteo

Santo Sepolcro - la pietra dell'unzioneStasera con voi vorrei meditare su 2 passaggi… un Dio che si fa oggetto e il nostro bacio alla croce, il senso dell’adorare…
Gerusalemme, 28 marzo 2012…
sono presso la Basilica del Santo Sepolcro e mi trovo davanti a quello che da duemila anni l’archeologia, la storia e la nostra fede ci dicono essere il punto in cui Gesù é stato crocifisso. Centinaia di pellegrini da tutto il mondo si inginocchiano, guardano, pregano, si fanno fotografare nel posto preciso e riprendono con la telecamera…
Mi sono appartato in un angolo e sorrido amaramente osservando il nostro bisogno umano di trattenere… di custodire, di poter dire a tutti, magari con una foto o col video..che siamo stati proprio lì, sul Calvario, dove Gesù é stato crocifisso.
A stento trattengo la rabbia per il caos, in fondo cercavo solo un po’ di pace per iniziare a scrivere alcuni pensieri per questa serata.
Eppure é tutto così umano. A pochi metri da me si trova la pietra dove secondo la tradizione fu deposto il corpo di Gesù per essere ripulito…la gente ci si inginocchia davanti strofinandoci gli oggetti sacri e le foto dei parenti…non so se con più fede o più superstizione… continua a toccare, sfregare, mettere a contatto…
Sorrido… ancora amaramente. Ma stavolta perchè mi sto rendendo conto che faccio il loro stesso gioco e non sono migliore di nessuno, solo perchè sto cercando di scrivere questa meditazione. In fondo mi sono appartato qui perchè credo sia più suggestivo e il mio scritto allora… qui più vicino al crocifisso, il prossimo venerdì santo…cioè oggi…sarà più efficace.

 

Caro Gesù..ti abbiamo reso un oggetto, qualcosa di funzionale ai nostri bisogni. Da sempre é stato così:
-i Romani lasciavano appesi alle porte delle città i loro condannati come un monito per far vedere chi comandava…e come…
-farisei, scribi e dottori della Legge volevano punire chi aveva avuto il coraggio di dirsi figlio di Dio e Messia delle genti, indicando uno stile oltraggioso di relazione con l’Onnipotente…volevano, come i Romani, dimostrare a tutti quale fosse ancora il vero culto.
-la folla, aizzata a dovere, era stata ripagata dallo scambio con Barabba per sentirsi sicura e soddisfatta…e probabilmente anche divertita dal folle spettacolo di quel falegname nazareno.

Ma forse, senza andare troppo indietro nel tempo…anche noi continuiamo a vivere la stessa logica, a renderti oggetto dei nostri programmi e bisogni. Cosa significa?
Nella Passione di Giovanni, che oggi abbiamo ascoltato, Gesù nell’orto degli ulivi va incontro ai soldati e alle guardie e pone loro due volte la stessa domanda: “Chi cercate?”
Potremmo chiedercelo anche noi, ora, con coraggio: Che ci sono venuto a fare qui stasera? cosa sto cercando? Siamo in tanti. Ed é bello…ma sabato sera, alla veglia, saremo molti meno ed é tristemente significativo. E questo mi stupisce sempre: il venerdì santo e la sua celebrazione attirano molte persone….il sabato invece, in cui paradossalmente avviene la cosa più importante, noi spesso diciamo…”non importa..tanto é lo stesso! ”
Forse, senza rendercene conto cerchiamo appunto un oggetto… qualcosa da manipolare. E che quindi non possa turbarci.
Ti rendiamo oggetto tutte le volte in cui abbiamo la pretesa o la tranquillità di poterti gestire:
-quando ti sentiamo come un impegno, una delle tante cose da fare forse magari sbuffando perchè “siccome é Pasqua bisogna” o perchè sono prete catechista animatore o caposcout…e ci si aspetta che…
-oppure quando ti riduciamo a porta fortuna o ad amuleto scaramantico come un anestetico della coscienza o come una tradizione da perpetrare, qualcosa da vivere quando abbiamo tempo o siamo in crisi, un estintore o un cerotto…quando sei la nostra ultima spiaggia…
-quando ci sentiamo a posto perchè abbiamo celebrato dei riti o fatto i gargarismi con tante belle frasi ad effetto, rassicurati perchè abbiamo fatto “cose cristiane” più che vissuto un incontro vivo col Cristo.
-quando ci diciamo credenti …ma modo nostro, coi criteri e i tagli che preferiamo, con i sè e i ma…della nostra comoda coscienza.
-quando riduciamo tutto il mistero e triduo pasquale a “vacanza” o a parole vuote come “auguri!”
-quando ti vediamo sofferente come noi, il tuo dolore provoca la nostra compassione e solidarietà. E siccome ognuno di noi ha sofferto e soffre…ci sentiamo compresi, fieri, quasi felici …ma ci stiamo come “accontentando” che tu abbia sofferto: questo ci fa sentire rassicurati, capiti ….ma non salvati. Rischiamo di ristagnare muti, in un intimismo asfittico e troppo privato…che alla lunga sa di morte. La sofferenza ci piega ancora la testa, la ferita non é ancora cicatrice. Ci identifichiamo in te ma senza speranza, senza saper alzare la testa e andare oltre il venerdì…senza arrivare alla celebrazione della risurrezione e questo ci chiude ancora di più in noi stessi a leccarci le ferite.
E’ per questo forse che veniamo più volentieri il venerdi santo…che il sabato…perchè la nostra sofferenza la conosciamo e la nostra condizione di miseria e morte in qualche modo ci rassicura…. della risurrezione invece e della vita eterna che qui e ora Cristo ci ha già promesso…. non sappiamo cosa dire, fatichiamo a comprendere come affrontarla ne viverla…il nuovo e l’inedito ci spaventano…
così lo scrittore russo Tolstoj inizia il suo romanzo Anna Karenina…
Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.” la testimonianza di come ogni dolore e infelicità ci faccia rinchiudere personalmente in noi stessi….

Tu non hai sofferto per farci sentire come te…ma per portarci oltre…assieme a te…

E poi abbiamo magari anche il coraggio di dire che ti sentiamo distante o estraneo dalla nostra vita concreta…come se quella passione e croce fossero state inutili. Ma siamo stati noi un poco alla volta, a metterti li, trasformandoti in qualcosa di morto: cioè che poco o nulla ha da dire alla nostra vita concreta.
Cosa succede allora, in noi, nelle persone?

L’uomo, col il peccato si riduce da persona fatta a immagine di Dio a banale soggetto in preda ai propri desideri di autosalvezza e bisogni di autoaffermazione. Un uomo così vive sempre la tentazione di impadronirsi di Dio, sottometterlo a sè…insomma di ridurlo a qualsiasi cosa ….per gestirlo ….pur di non ammettere che Dio é una persona libera.
La libertà di Dio e di Cristo, suo Figlio, sono la peggior minaccia al nostro orgoglio, all’egoismo e ai nostri calcoli.
Più io li riduco ad un oggetto da gestire, più sarò…semplicemente soggetto: al centro e padrone del mio tempo e della mia vita…
é vero!! ma distante dal sogno di Dio..che é quello di sentirsi chiamare Padre dai propri figli e questo attraverso la risurrezione del Cristo e la relazione viva con Lui.
Chi cercate? continua a sussurrarci con forza Gesù…una relazione vera in cui stare o un cadavere da ricordare, un oggetto da gestire, una solidarietà emotiva tutto sommato comoda in cui ristagnare?

“Tu non avresti nessun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto”
Pilato si sente dire questa frase sconvolgente. E bellissima. Gesù gli sta garantendo che ..è tutto sotto controllo, che nulla avviene a caso, che non sono loro a condannare Lui, ma Lui a restare fedele a qualcosa di più grande. Non ha subìto nulla! Ha scelto tutto.
Questa frase, stasera, é anche per noi. E’ il Signore a voler essere incontrato così…il suo potere di farsi oggetto per diventare …amato.
Gesù non si salva (evitando la croce)… solo per amore! Per la folle fedeltà ad oltranza all’uomo. Quando si ama…é per sempre e integralmente. Altrimenti non é amore. Questa é l’unica misura dell’amore, é la misura di Dio…il metro a cui accordare tutti i nostri amori terreni.
Non siamo stati noi allora a renderti oggetto…ma sei tu. Sconvolgente questo cambio di prospettiva ma carico di speranza.
Oggi celebriamo la rivelazione di un Dio che si é lasciato soggiogare dagli interessi soggettivi dell’uomo affinchè l’uomo lo potesse incontrare. Si é fatto oggetto per noi.
La tremenda libertà che ci offre é quella dell’amore..dell’amore che si affida, che calcola anche il rischio di essere tradito, rinnegato e rifiutato. Questa verità ci da..ci dia le vertigini…
Da sempre hai voluto metterti nelle nostre mani… in quelle di Maria e Giuseppe, bisognoso di tutto nella culla…in quelle della gente che cercava guarigioni e miracoli, in quelle dei dodici, che volevano un messia potente ed il suo carro dei vincitori su cui salire….sei stato in balia dei tuoi carnefici e di un processo farsa…ma lo avevi scelto tu.
Nel venerdì santo si manifesta in modo assoluto questa dinamica in cui Cristo si affida all’uomo. Come?
Dio Padre desidera che noi ci sentiamo amati da Lui. E per dimostrarci questo non può avere nessuna mediazione ma Lui in persona si deve affidare all’uomo perchè l’uomo sperimenti quanto Dio lo ama…. e se ne sorprenda.
Cristo non soffre per caso ma perchè il Padre vuole rivelare agli uomini la sua vera immagine. E il Padre non può fare a meno di lasciare che il Figlio si consegni come atto supremo di affidamento a sè stesso e a questi uomini.
Solo facendosi oggetto Gesù dimostrerà agli uomini stessi quanto siano preziosi agli occhi di Dio. Si fa oggetto perchè ha capito che é il solo modo in cui noi possiamo incontrarlo coi nostri parametri…ma così facendo ci desidera pure trasformare non solo in soggetti ma..in figli preziosi e amati.
Tutto questo quasi a dire “gustate e vedete quanto é buono il Signore” come dice il salmo 34. Con ciò viene definitivamente lavata la falsa immagine di un Dio vendicativo e calcolatore. Quando avviene la sostituzione con Barabba, Cristo rende libero il peccatore e Lui subisce la pena del brigante. Non scendendo dalla croce Cristo rifiuta la logica umana per spalancarci il cuore a quella divina, in cui imparare a confidare.
Tutto questo può sembrarci difficile. Ma Dio non ha paura di sfidare la nostra incomprensione se questa significa non sapere andare al di là, non saper vedere …non come Dio sta dentro i nostri schemi ma quanto sia diverso da noi e quanto noi siamo lontano da Lui.
Dio deve innanzitutto essere fedele a sè stesso…mica farsi comprendere…ecco perchè sfida la nostra incomprensione o..probabilmente, la nostra pigrizia.

La croce di Gesù ci rivela il vero volto di Dio, lo fa vedere non come ce lo aspetteremmo..che ragioni come noi… ma come Lui é.
“Il mio regno non é di questo mondo”…Gesù rassicura Pilato!
Ci dice che Dio é Dio a modo suo, non a modo nostro e che quindi anche noi possiamo essere come non ci aspetteremmo di essere. In questo suo amore noi possiamo iniziare a scorgere una speranza.
E questo perchè la sua potenza non é ….un potere… ma é amore.
“Dio é più grande del nostro cuore” scrive Giovanni nella sua 1a lettera….bellissimo…
Quando guardiamo al croficisso allora il nostro sguardo deve andare direttamente oltre..invocando avidamente la risurrezione.
Quella croce che noi cerchiamo…pensate a quanto sia presente oggi …quando indica una farmacia o un ospedale…o un segno per ottenere del bene…non é più un posto maledetto ma é diventata il manifesto primo con cui Dio ci ricorda il suo amore e la sua potenza per le nostre croci. Il luogo di morte diventa dono in cui trovare e fare esperienza della vita. Allora nascono lo stupore e l’adorazione.
Ma prima deve nascere la consapevolezza in noi, o almeno il desiderio, che le nostre croci, quelle vere, che portiamo conficcate nel cuore, vadano offerte a lui e a questa sua potenza.
Ci fanno soffrire, zavorrano la nostra vita ed il nostro sorriso… ci destabilizzano… sembrano inseguirci, mettendoci sempre con le spalle al muro…ma é solo affrontandole che porteranno qualcosa di nuovo. Appaiono alle nostre esistenze come un’implacabile sipario di morte…eppure solo attraversandolo potremo giungere a ciò che nemmeno possiamo osare di credere.
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” dice Isaia
E’ lì, proprio nella nostra croce, che Lui vuole portare salvezza.
E questo lo vorrei dire pensando alla mia vita di uomo e di cristiano. Mi riscopro prete oggi proprio perchè il Signore mi ha fatto scoprire dentro la mia croce, pesante e inevitabile, un germoglio di speranza. Li, in quello che mi faceva sempre soffrire e umiliare ho imparato a riconoscere un appello. Dare un significato a quello che pareva non averne. La mia vocazione paradossalmente nasce proprio da quello che sembrava farmi morire…che invece con pazienza e grazia ha portato frutti di serenità e perdono. Nessuna delle nostre croci supera la nostra forza di portarle…ma nemmeno la nostra possibilità di dare loro un senso nuovo e potente.
Ecco allora il secondo passaggio…..
Stasera non abbiamo baciato una reliquia, un pezzo di legno, non abbiamo adorato dolore e solidarietà. Ma un luogo di amore. Essa é il biglietto da visita di Dio.

Il bacio é un gesto straordinario, di una raffinatezza tutta umana.
Penso ai tanti baci della nostra vita: mi commuovo profondamente quando ai funerali che celebro…le persone continuano a baciare con straziante passione la bara del loro caro.. gli ultimi istanti prima che quella venga inghiottita per sempe dalla terra o dal sepolcro. Quel bacio, quel contatto estremo…racchiude in sè un’intera vita…quella vissuta e quella che già inizia a mancare.
Penso al bacio che diamo con nostalgia alla foto di una persona cara, a qualcosa che gli appartenesse…
al bacio che i sacerdoti danno all’altare e a quello di pace…al bacio degli sposi, a quello di congratulazioni…
Ma perchè baciamo?
Giuda bacia Gesù per dirgli che era maestro…e non più il Signore della sua vita… e che non aveva altro da insegnargli…
La Maddalena bacia i piedi di Gesù..per dirgli quanto lo amasse…
Il Padre misericordioso soffoca di baci il figlio prodigo al suo ritorno…
I baci di affetto con cui ci augureremo Buona Pasqua…o i baci falsi e tiepidi con cui di diremo auguri…appoggiandoci alle guance l’uno dell’altro…

Nel bacio la prossimità é ancora più grande della carezza o dell’abbraccio, perchè le labbra sono una delle parti più sensibili e delicate del nostro corpo, la pelle é più sottile: sono una mucosa, la vita interna del nostro corpo sembra affiorarvi: siamo come messi a nudo…in esse . Quando lo bacio mi sto esponendo per dire all’altro che é prezioso e gli voglio bene. Ma non solo.
In un bacio sto facendo molto, molto di più.
Questa liturgia del venerdì santo ci offre l’adorazione della croce. Adorare dal latino significa..portare alla bocca.
Ci sono tanti significati: penso al bambino piccolo che per un certo periodo della sua infanzia esplora il mondo portandolo alla bocca…. al bacio di due innamorati..che si mangiano di baci…
adorare..portare alla bocca..significa anche, in senso figurato mangiare…nutrirsi.
Allora il bacio di questa sera é si venerazione ma anche desiderio di appropriarsi di quello che stai baciando..come tra due innamorati…Non stiamo poggiando le labbra su un oggetto o una devozione ma sulla vita e l’amore che quel gesto hanno da trasmetterci. Baciamo perchè abbiamo fame, bisogno di sfamarci a quell’amore che vinca la morte e ci ricordi che siamo preziosi e figli…in quel bacio ci rispecchiamo con l’identità nuova che la croce ci ha donato e consegnato. L’ha fatto attraverso le ferite inferte al suo corpo…saranno proprio quelle che gli permetteranno di essere riconosciuto dai dodici e dal dubbioso Tommaso.
In quel crocifisso baciamo anche le nostre ferite trasfigurate dalla risurrezione di Cristo, primizia delle nostre.
Baciamo perchè siamo mendicanti d’amore, indigenti di bene e comprensione, perchè ci sentiamo soli e incompresi, baciamo perchè percepiamo in noi l’assenza ed il vuoto…ed il bisogno spasmodico di colmarci, di sfamarci di quello di cui siamo fatti.
Solo ciò di cui siamo fatti può sfamarci davvero e riempirci.
Il cibo, del resto, non ci tiene in vita? non si trasforma in noi?
Ecco allora che il bacio della croce..già prefigura l’eucaristia…
Baciamo per nutrirci di ciò che scarseggia in noi e che vogliamo sia la nostra vita…
Allora questo crocifisso non sarà per noi una sbarra chiusa sulla possibilità di sperare ancora, ne sarà un luogo di morte ma un trampolino per sperare ancora, una mensa in cui sfamare la mia vita …in cui contemplare il vero volto del mio Dio, la sua fedeltà, …che si fa oggetto per renderci soggetti…si fa vita per renderci figli,
si fa risurrezione per la nostra terribile paura della morte..cioè della non vita.
Solo con questo bacio ritroveremo il senso pieno da dare a questa croce; la speranza di attraversare il venerdì santo delle nostre esistenze per raggiungere, attraverso il sabato santo, silenzioso di promesse, la gioiosa domenica del risorto.
dal calvario al sepolcro vuoto… li ho qui, davanti a me, nel caos di questa basilica…. un centinaio di metri, una manciata di ore, un bacio nuovo, sospeso nell’eternità. Qui… ora, a San donà.

don Matteo Volpato

 

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