Riflessione del nostro vescovo sulle dimissioni del Papa
Nel giro di pochi minuti la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI ha invaso come un fiume in piena tutti i canali della comunicazione: agenzie di stampa, televisione, radio, internet…
La parola ricorrente è “sorpresa”. Ed è comprensibile. Per quanto si tratti di una eventualità prevista dall’attuale ordinamento della chiesa (il Codice di diritto canonico), la scelta è senza dubbio di quelle che nessuno si aspetterebbe e che lasciano lì per lì smarriti, e con molte domande; anche perché quella di un “ex papa” o “papa emerito” è figura davvero nuova.
Personalmente ho provato come prima reazione, oltre alla sorpresa, come tutti, un certo rammarico: vedere un generoso e fedele servo del Signore e dei fratelli, un pastore sapiente, costretto a rinunciare al suo ministero perché, in qualche modo, “schiacciato” dal peso di una responsabilità troppo pesante per le fragili spalle di un ottantaseienne, suscita commozione e dolore. E mi sono chiesto: avremmo potuto, come chiesa, rendere meno gravoso quel ministero?
Mi sono venute alla mente le impressionanti parole che Paolo VI aveva scritto in età ancora giovanile per un papa: «Più ancora che la stanchezza fisica, pronta a cedere ad ogni momento, il dramma delle mie responsabilità sembra suggerire come soluzione provvidenziale il mio esodo da questo mondo, affinché la Provvidenza possa manifestarsi a trarre la Chiesa a migliori fortune. La Provvidenza ha, sì, tanti modi d’intervenire nel gioco formidabile delle circostanze, che stringono la mia pochezza; ma quello della mia chiamata all’altra vita pare ovvio, perché altri subentri più valido e non vincolato dalle presenti difficoltà.”Servus inutilis sum”. Sono un servo inutile» (Pensiero alla morte). Forse queste parole di papa Montini, che sembra spingersi ad invocare la morte per essere sollevato dal “dramma delle responsabilità”, ci aiutano a capire quanto sia gravoso quel compito che Benedetto XVI ha avvertito, ad un certo momento, superiore alle sue forze.
La scelta del papa manifesta un grande coraggio, perché interrompe una prassi secolare, e anche una profonda libertà interiore. Lo hanno subito rilevato in molti, giustamente. Ma la decisione di Benedetto XVI mette in luce, a mio giudizio, soprattutto la sua capacità di vivere evangelicamente il suo ministero come un “servizio”. Già il giorno della sua elezione si era presentato come “un umile operaio della vigna del Signore”. Un servizio da compiere non è un titolo onorifico di cui fregiarsi, non è risposta al desiderio di stare in alto, sopra gli altri: è rimboccarsi le maniche e mettere la propria vita a disposizione degli altri. Lavorando nella Santa Sede ho compreso meglio che il Papa è chiamato a dare tutto se stesso alla chiesa, senza risparmio.
Ora, con realismo e umiltà, Papa Benedetto ha riconosciuto che i limiti dovuti alla salute e all’età rendono troppo difficile ciò che più conta: il servizio alla chiesa; sente di non riuscire più a servire come deve fare una Papa. E fa un passo indietro, convinto che la chiesa, e il ministero di Pietro in essa, vengono prima della sua persona e vanno oltre la sua persona.
Pur nel dispiacere, riceviamo una grande lezione, di cui dobbiamo tutti fare tesoro. Perciò continueremo ad amare e a ringraziare Joseph Ratzinger, autentico servo del Signore e della chiesa.
+ Gianfranco Agostino Gardin