Messaggio del Vescovo per la Santa Pasqua: l’amore di Cristo ha vinto sulla morte
Fratelli e sorelle carissimi,
questa primavera, che sembra restia a donarci i primi tepori dopo l’inverno, non ci priva però del dono della Pasqua. La Pasqua ritorna, quale regalo più bello che la Liturgia della chiesa sa trarre dal suo inesauribile tesoro, a dirci che l’amore di Cristo ha vinto sulla morte.
E così fra qualche giorno ci sarà dato di rivivere uno dei riti liturgici più suggestivi. All’inizio della veglia pasquale percorreremo le nostre chiese a luci spente, guidati, almeno nel primo tratto, solo dalla fioca luce del cero pasquale, che simboleggia Cristo. Poi da quella fiammella attingeremo luce per le nostre candele, anch’esse piccoli lumi che a stento ci faranno scorgere il cammino. Ma, percorsa la navata, d’improvviso, alla terza acclamazione – quasi un grido di vittoria – «Cristo, la luce del mondo!», le nostre chiese si illumineranno interamente e tutto sarà visibile: vedremo i volti di chi ci sta accanto, riconosceremo la comunità cristiana con cui condividiamo la celebrazione, le chiese – se belle – mostreranno tutta la loro bellezza. Sarà come un sorgere improvviso del sole, come un’alba che riporta tutto in vita, che restituisce ad ogni cosa la sua fisionomia più godibile.
A me pare che, nella sua semplicità, questo rito sia carico di una simbologia molto espressiva.
Il buio, o almeno la penombra, esprime bene la condizione in cui sovente la vita ci pone. Un esempio concreto per tutti, un tragico fatto di cronaca di questi giorni accaduto in uno dei nostri paesi: un tredicenne si toglie la vita, forse a causa della morte del padre strappatogli da un incidente, peso eccessivo da portare per le sue fragili forze interiori. Possiamo immaginare quanto buio dentro il cuore di questo nostro piccolo amico; e quanto buio per i familiari, sui quali si abbatte questo macigno di sofferenza. Un fatto estremo, certo (al quale guardiamo tutti con il desiderio di alleviare tanto dolore). Ma ci sono anche “oscurità” più quotidiane, più diffuse: legate alla malattia, alla solitudine, alla difficile contingenza economica che non allenta la sua morsa, a ferite che imprevedibili vicende dell’esistenza lasciano spesso sulla carne di tante persone, a pesi che fanno incurvare le spalle e vacillare il passo; se poi allarghiamolo sguardo ai popoli della fame, delle guerre, delle ingiustizie colossali che lacerano il mondo… Per molti il “mestiere di vivere” si fa arduo e diventa difficile sperare, amare, guardare avanti, trovare ragioni per dirsi che “vale la pena”. E anche chi godesse di buone condizioni e dovesse dire – come siamo soliti dichiarare per esprimere che tutto sommato stiamo bene – “non mi lamento”, non potrebbe, non dovrebbe, ignorare la moltitudine dei sofferenti, sui quali gravano notti talora interminabili.
Ebbene, l’alba pasquale si alza su questa umanità, della quale non sono pochi coloro che, per usare le parole del Benedictus, «stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte» (Lc 1,79). Anzi, l’ombra della morte raggiunge proprio tutti, giacché nessuno sfugge alla presa di questa tenebrosa signora della vita, che stentiamo a chiamare con convinzione “sorella” come sapeva fare Francesco d’Assisi.
Per questo l’immagine liturgica del sabato santo che ho evocato è particolarmente efficace. Cristo può apparire come una luce fioca, insufficiente a rendere luminosa la strada, e quella chiarezza sull’esistenza che attingiamo da Lui, come la piccola candela accesa al cero pasquale, sembra talora troppo flebile per spezzare le tenebre. La luminosità piena, quella che toglie ogni incertezza e ogni affanno, si darà alla fine di tutto e supererà ogni attesa: quando, come dice Paolo, Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28). Dio sarà “tutto”. Forse la sua luce è tenue perché a Dio lasciamo poco spazio dentro di noi, perché è troppo lontano dalla nostra passione di vivere, troppo estraneo alla nostra ricerca di bene, troppo assente dai desideri che alimentano la nostra speranza, troppo ignorato nella ricerca di una vita più buona e più bella.
Il mio augurio, a voi fratelli e sorelle che credete in Cristo, è di perseverare nel cammino verso la pienezza della luce, anche se il suo il chiarore non è ancora solare e le traversie della vita sembrano rendere opaca la sua aurora. Vi auguro di gustare maggiormente, in questa Pasqua, la gioia di credere, sperare, amare; e vi invito – come ci ha esortato papa Francesco – a “non lasciarvi rubare la speranza”, quella che proviene dalla sua risurrezione. A chi non si sente a proprio agio nella chiesa, auguro di gustare il sapore di un’esistenza non consumata totalmente, e tristemente, solo per sé. Pasqua infatti ci racconta una vita, quella di Cristo, donata “sino alla fine”.