Lettera del Card. Tettamanzi agli sposi in situazione di separazione, di divorzio o di nuovo matrimonio

Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito (Salmo 34,19)

Lettera del card. Tettamanzi agli sposi in situazioni irregolari – Epifania 2008) All’inizio di gennaio il card. Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ha pubblicato una bella lettera rivolta “agli sposi in situazione di SEPARAZIONE, di DIVORZIO o di NUOVO MATRIMONIO”. Nessun nuovo insegnamento rispetto a quello che normalmente sentiamo dal papa e dai vescovi. Nuovo è il tono affettuoso e gentile con cui il Pastore di Milano “chiede il permesso di entrare come fratello in casa” per un dialogo “semplice e familiare”, con credenti che ri-conoscono nel Vescovo un padre e un maestro, ma “anche con quei battezzati che forse non si considerano più credenti”. Con tutti desidera aprire un dialogo per “condividere”, “ascoltare”, “lasciarsi interpellare”, “nel desiderio di una reciproca confidenza”. Il testo è tutto da leggere. Ne riportiamo alcuni passaggi più importanti.

I. LA CHIESA NON ESCLUDE MA È A VOI VICINA

Anzitutto voglio dirvi che non ci possiamo consderare reciprocamente estranei: voi, per la Chiesa e per me Vescovo, siete sorelle e fratelli amati e desiderati. E questo mio desiderio di entrare in dialogo con voi scaturisce da un sincero affetto e dalla consapevolezza che in voi ci sono domande e sofferenze che vi appaiono spesso trascurate o ignorate dalla Chiesa.

Vorrei allora dirvi che la comunità cristiana ha riguardo del vostro travaglio umano. Certo, alcuni tra voi hanno fatto esperienza di qualche durezza nel rapporto con la realtà ecclesiale: non si sono sentiti compresi in una situazione già difficile e dolorosa; non hanno trovato, forse, qualcuno pronto ad ascoltare e aiutare; talvolta hanno sentito pronunciare parole che avevano il sapore di un giudizio senza misericordia o di una condanna senza appello. E hanno potuto nutrire il pensiero di essere stati abbandonati o rifiutati dalla Chiesa. La prima cosa che vorrei dirvi, sedendomi accanto a voi, è dunque questa: “La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni”. Mi vengono in mente le parole di speranza che Giovanni Paolo II rivolse alle famiglie provenienti da tutto il mondo in occasione del loro Giubileo nel 2000: “Di fronte a tate famiglie disfatte, la Chiesa si sente chiamata non ad esprimere un giudizio severo e distaccato, ma piuttosto ad immettere nelle pieghe di tanti drammi la luce della parola di Dio, accompagnata dalla sua misericordia”.

E allora se avete trovato sul vostro cammino uomini o donne della comunità cristiana che vi hanno in qualche modo ferito con il loro atteggiamento o le loro parole, desidero dirvi il mio dispiacere e affidare tutti e ciascuno al giudizio e alla misericordia del Signore. In quanto cristiani sentiamo per voi un affetto particolare, come quello di un genitore che guarda con più attenzione e premura il figlio che è in difficoltà e soffre, o come quello di fratelli che si sostengono con maggiore delicatezza e profondità, dopo che per molto tempo hanno faticato a comprendersi e a parlarsi apertamente.

La vostra ferita è anche nostra “Vorrei ora essere capace di ascoltare le vostre domande e le vostre riflessioni. Anche noi uomini di Chiesa sappiamo che la fine di un rapporto sponsale per la maggior parte di voi non è stata decisione presa con facilità, tanto meno con leggerezza. E’ stato piuttosto un passo sofferto della vostra vita, un fatto che vi ha interrogato profondamente sul perché del fallimento di quel progetto in cui avevate creduto e per il quale avevate investito molte vostre energie.

Certamente la decisione di questo passo lascia ferite che si rimarginano a fatica. Forse si insinua persino il dubbio sulla possibilità di portare a termine qualcosa di grande in cui si è fortemente sperato; inevitabile sorge la domanda sulle eventuali reciproche responsabilità; acuto si fa il dolore di essersi sentiti traditi nella fiducia riposta nel compagno o nella compagna che si era scelto per tutta la vita; si è presi da un senso di inadeguatezza verso i figli coinvolti in una sofferenza di cui essi non hanno responsabilità. Conosco queste inquietudini e vi assicuro che esprimono un dolore e una ferita che toccano l’intera comunità ecclesiale. La fine di un matrimonio è anche per la Chiesa motivo di sofferenza e fonte di interrogativi pesanti: perché il Signore permette che abbia a spezzarsi quel vincolo che è il “grande segno” del suo amore totale, fedele e indistruttibile?…

Quando questo legame si spezza la Chiesa si trova in un certo senso impoverita, privata di un segno luminoso che doveva esserle di gioia e di consolazione. La Chiesa quindi non vi guarda come estranei che hanno mancato a un patto, ma si sente partecipe di quel travaglio e di quelle domande che vi toccano così intimamente. Potrete allora comprendere, insieme ai vostri sentimenti, anche i nostri. Vorrei mettermi accanto a voi e provare a ragionare con voi sui molti passi e le molte prove che vi hanno condotto ad interrompere la vostra esperienza coniugale….

La scelta di interrompere la vita matrimoniale non può mai essere considerata una decisione facile e indolore! Quando due sposi si lasciano, portano nel cuore una ferita che segna, più o meno pesantemente, la loro vita, quella dei loro figli e di tutti coloro che li amano (genitori, fratelli, parenti, amici). Questa vostra ferita anche la Chiesa la comprende. Anche la Chiesa sa che in certi casi non solo è lecito, ma può essere addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, per evitare traumi più profondi, per custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un’insostenibile trafila di reciproche asprezze.