L’omelia del Vescovo Gardin alle esequie di don Francesco Santon
Omelia nel funerale di don Francesco Santon
Chiesa arcipretale di San Dona di Piave, 3 aprile 2018
Carissimi fratelli e sorelle,
noi affidiamo al Padre la persona e la vita del nostro caro don Francesco, mentre le nostre chiese risuonano ancora del solenne annuncio pasquale. Anzi, l’intera settimana che segue la Pasqua – l’Ottava di Pasqua, come si usa dire – è vissuta dalla Liturgia come un unico grande giorno nel quale si canta la risurrezione di Cristo. Si potrebbe dire che per i credenti non c’è clima più adatto, più “cristiano”, per vivere questo momento.
La risurrezione di Gesù costituisce infatti, attraverso il battesimo, la nostra stessa risurrezione. Abbiamo sentito le parole di Paolo: «Noi crediamo che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi» (2Cor 4,13s.). E le parole dell’Apocalisse ci hanno detto che l’essere definitivamente con Dio significherà che «non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). È sempre emozionante pronunciare queste parole in una liturgia esequiale. Tanto più se esse sono proclamate nella preghiera per una persona che è stata profondamente credente e ha fatto di Dio il riferimento assoluto della sua vita. Il breve testamento spirituale di don Francesco (che egli in verità titola ‘Il commiato dalle sei Comunità parrocchiali’) si conclude con le parole: «Sia lode alla Trinità Santissima. Solo a Dio ogni onore e gloria». Nello stesso ‘commiato’, stilato nell’ottobre del 2015, egli esprime la sua gratitudine al Signore ricordando «una vita gioiosamente spesa a servizio di Dio e delle anime, affidate nel ministero nelle sei parrocchie». Quanto ai luoghi del suo lungo ministero (don Francesco ha vissuto quasi 64 anni di sacerdozio), egli stesso ne faceva memoria in occasione del suo 60° anniversario di ordinazione sacerdotale, il 20 giugno 2014. Scriveva: «La Provvidenza mi ha condotto ad esercitare il ministero in diverse comunità della Diocesi. Mi è caro e doveroso, in questa circostanza, ricordare le tappe più significative. Ho prestato servizio anzitutto fra gli studenti del Collegio Pio X di Treviso, in qualità di Assistente degli alunni del Liceo Scientifico. Sono stato poi cappellano a Croce di Piave, a Musano di Trevignano, a Riese Pio X. Nel frattempo sono stato pure incaricato di provvisorie sostituzioni dei parroci di Saletto di Piave, di Torreselle, di Ormelle, di Zerman, nei momenti di emergenza per le suddette parrocchie. Nel 1972 sono stato nominato parroco di S. Andrea in Treviso. Nel 1978 sono stato trasferito a Villorba. Nel 1991, dopo la rinuncia alla parrocchia di Villorba, ho ricevuto la nomina di Penitenziere del Duomo di San Donà, esercitando il particolare ministero delle Confessioni per 2anni». Nella sua lunga vita di prete don Francesco ha testimoniato una profonda passione per la formazione spirituale dei fedeli via via affidati alle sue cure di pastore. Questa particolare attenzione spirituale rispondeva alla sua natura di credente esigente verso sé stesso, fedele e rigoroso nell’obbedienza ecclesiale, capace di trasmettere la stessa venerazione per la verità cristiana e la fedeltà alle indicazioni del Papa e dei Vescovi alle comunità cristiane. Per qualche aspetto egli poteva apparire anche un po’ severo; ma mai per puntiglio personale, come se il fedele o il penitente dovessero adeguarsi al suo punto di vista, ma per la convinzione profonda che solo nell’adesione alla parola di Gesù e all’insegnamento della Chiesa il cristiano realizza la propria vocazione alla santità. La lunga vita – 89 anni – ha consentito a don Francesco di tornare più volte sul tempo che Dio gli aveva donato, facendo memoria del suo percorso personale e pastorale, tracciando un bilancio sincero e anche sofferto. Scriveva nel 1991 ai fedeli dalla parrocchia di Villorba, congedandosi da loro dopo 13 anni di ministero di parroco: «Mi pare doveroso che io mi interroghi sulla mia tremenda responsabilità, sul fatto di dover rendere conto a Dio delle anime affidate al mio ministero sacerdotale…». E concludeva: «Prego perché la parrocchia diventi sempre più una comunità di cristiani convinti e coerenti. Pregate per me». E nel testo già citato, in cui partecipava il ricordo del suo 60° di sacerdozio, scriveva, quasi a modo di sguardo d’insieme sul suo lungo cammino: «Non c’è comunità cristiana che non abbia qualche cosa di originale per meritare attenzione e riconoscenza. In ognuna delle comunità cristiane in cui sono stato inviato a compiere il mio ministero, seppure con mansioni diverse, ho fatto esperienza di nuove grazie e di arricchimento umano, cristiano e sacerdotale, avendo costantemente presente la santa preoccupazione di favorire il passaggio della comunità cristiana da una religiosità tradizionale ad una religiosità di convinzione». Colpisce questa bella disponibilità, tipica di ogni vero prete, a ricevere, a lasciarsi arricchire dalle comunità cristiane affidate alle proprie cure pastorali. L’ultima ampia stagione del ministero di don Francesco lo ha visto spendersi nel compito di penitenziere in questo Duomo: dal 1991 al 2013, quando venivano accettate le sue dimissioni (e veniva nominato suo successore, per felice coincidenza, colui che gli era succeduto anche come parroco a Villorba, don Emilio Vidotto). Nel presentare le dimissioni era mosso dalla preoccupazione di non poter sufficientemente udire i penitenti a causa di una crescente sordità. Il suo consueto scrupolo sacerdotale gli faceva scrivere al vescovo: «Questo problema mi interpella nel profondo della coscienza sulla mia responsabilità davanti a Dio». I suoi sono stati, in questa chiesa, 22 anni di lavoro quotidiano, fedele, appassionato, con la tessitura di rapporti spirituali fecondi, assecondando il lavoro che il Signore realizza nella vita spirituale e nella coscienza di tante persone. Di questi ultimi anni del suo ministero, riflettendo sulla grazia di chiudere la sua vita nella sua città, San Donà di Piave, così egli scriveva: «Considero una grazia particolare del Signore l’aver celebrato per così lungo tempo nella chiesa in cui ho vissuto quotidianamente tanti cari ricordi della mia vita: nel Duomo della mia città sono stato battezzato, ho ricevuto la prima Comunione e la santa Cresima. Qui ho sentito la chiamata del Signore. Qui si è alimentata e sviluppata la mia vita cristiana e la vocazione al sacerdozio…». Ed è bello che questa sia anche la chiesa nella quale noi consegniamo all’abbraccio misericordioso di Dio questo cristiano e questo suo ministro. Gli anni finali di San Donà sono stati per lui più sereni, e ciò gli ha certamente reso più sopportabili sia la vecchiaia che le complicazioni di salute. Questo anche grazie alla vita condivisa con la sorella, in una comunione non solo di affetto fraterno, ma di sostegno reciproco nella fede e nella speranza della vita eterna. Mi piace anche sottolineare, facendo eco ai suoi ricordi, che una parrocchia è rimasta impressa nel cuore di don Francesco come una vera esperienza spirituale: è la parrocchia di Riese Pio X, il paese natale di san Pio X, dove fu cappellano per circa otto anni. Ha scritto: «Lì ho vissuto gli anni più belli della mia vita di sacerdote, in sincera collaborazione con l’arciprete, mons. Liessi; incoraggiato dalla generosa corrispondenza di un numeroso gruppo giovanile, sotto la particolare protezione della Madonna delle Cendrole e di san Pio X». Ho voluto richiamarlo, perché nel suo ricordo sembrano tornare i grandi e profondi motivi della spiritualità del nostro popolo: l’amore all’Eucaristia, il sacramento della Confessione, la devozione alla Vergine Madre di Dio, il ricordo orante dei morti, l’amore ai santi come modello di vita cristiana, esempi validi in ogni tempo e per tutti. Don Francesco chiudeva il ricordo dei sessant’anni di vita sacerdotale con una bella preghiera a Gesù sacerdote, a nome di tutti coloro, vivi e defunti, con i quali aveva avuto relazioni di ministero: «Abbi misericordia di noi, Gesù! Perdona tutti i nostri peccati e fa’ che viviamo nel tuo amore. Nel momento della nostra morte vieni per condurci con te nel Cielo, dove potremo lodarti e goderti per l’eternità beata».
Noi crediamo che Gesù Buon Pastore ha accolto la preghiera di questo suo zelante sacerdote, e siamo fiduciosi che si realizzi anche per don Francesco quanto il Signore Gesù – come abbiamo ascoltato nel brano evangelico – ha chiesto al Padre prima della sua passione e morte: «Quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato».
fonte: www.diocesitv.it