Cinque pani e due pesci – parole chiave
Le parole-chiave che ci possono aiutare a cogliere alcuni elementi della Lettera pastorale per l’anno 2010-2011 “Cinque pani e due pesci – Consapevoli del dono e della responsabilità dell’educazione”, spiagate del vescovo.
Cristo, unico Maestro – Collaboratori di Cristo – Consapevolezza – Bellezza e gioia – Riflessione – Ordinarietà – Corresponsabilità – Laici
1) Cristo, unico Maestro. Solo in Lui e per Lui, con la forza del suo Spirito – come ci ricorda l’evento della Pentecoste – si diventa cristiani. Questo deve metterci in guardia da ogni pretesa di autentica “generazione” cristiana da parte nostra. Solo in Cristo e grazie a Cristo si è generati come “nuova creatura” (2 Cor 5,17).
2) Collaboratori di Cristo. L’educazione non è un possibile mezzo, un percorso tra gli altri, ma è la via: la via stessa di Dio, come viene detto all’inizio della lettera. Il Signore ci chiede di essere collaboratori della sua opera. Questo è anche il significato del titolo della Lettera, che richiama la nostra parte, modesta, precaria, ma pur sempre necessaria: i cinque pani e due pesci, nell’episodio della moltiplicazione dei pani, che ho scelto come icona biblica di riferimento della Lettera, sono poca cosa, ma il Signore sembra considerarli una specie di ingrediente necessario perché accada l’evento miracoloso del pane per tutti; così come si rende necessaria l’opera di chi lo distribuisce a tutti, cioè dei discepoli. «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!», ripetiamo anche noi al Signore. Ma Gesù ci dice: «Portatemeli qui». Noi portiamo il nostro essere educatori, per quanto poveri e incapaci, perché Lui raggiunga tutti anche mediante la nostra piccola opera. E i pani moltiplicati «li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla». Il diventare cristiani – giacché “cristiani non si nasce, ma si diventa” – passa anche attraverso di noi.
3) Consapevolezza. La Lettera vorrebbe suscitare in noi una coscienza più viva e una maggiore attenzione su quanto l’educazione sia importante per la vita e la crescita delle persone e delle comunità. In certo senso noi educhiamo, o diseduchiamo (e anche siamo educati), senza neppure accorgercene: le idee, i messaggi, gli stili di vita, gli slogan, gli esempi, avvolgono e pervadono la vita di tutti. Dobbiamo essere consapevoli che l’educazione non può semplicemente accadere, essere data da qualcuno (da chi?) e in qualche modo (quale?), ma deve farsi nostro compito preciso, responsabilità assunta con la consapevolezza della posta in gioco.
4) Bellezza e gioia. Accenno appena a queste parole. Ho scritto: «Abbiamo bisogno di riscoprire, là dove si sono affievoliti, la bellezza, il gusto, il sapore buono, il desiderio positivo, l’esperienza arricchente, la gioia, la passione dell’educare».
Forse talora siamo presi dalla stanchezza o dalla sensazione che questo compito si sia fatto troppo difficile. Dobbiamo ricordarci che si tratta di un dono (il sottotitolo della Lettera è Consapevoli del dono e della responsabilità dell’educazione), e il dono deve essere fatto e ricevuto con gioia. Ma devo testimoniare che io incontro sovente persone che rivelano un’autentica passione di educare.
5) Riflessione. La Lettera non propone, come ho già rilevato, un preciso piano pastorale, ma invita a riflettere. Ho scritto nella conclusione: «La sostanza della mia proposta per questo anno pastorale è quella di una “sosta pensosa” sul grande tema dell’educazione, che la Chiesa italiana ha scelto per il tempo che ci sta davanti: una sosta di riflessione non inerte, ma capace di leggere con sapiente attenzione la realtà concreta dell’educazione offerta dalle nostre comunità cristiane. In altri termini, il mio messaggio è stato: non chiedo in questo momento di mettere in atto iniziative nuove, ma di continuare nell’impegno quotidiano con una più esplicita intenzione educativa, con uno sguardo costruttivamente critico su ciò che facciamo, ponendoci alcuni interrogativi su come potrebbe cambiare, nel futuro, il nostro educare cristiano». Ho citato queste righe perché esprimono in una maniera che presumo abbastanza chiara un ulteriore senso e scopo della lettera.
6) Ordinarietà. È termine, e dimensione, che avevo già anticipato alla conclusione dell’anno pastorale. Ciò che noi abitualmente – cioè quotidianamente, settimanalmente, annualmente – viviamo e facciamo nelle nostre comunità cristiane, può essere assai fecondo di educazione. Invito a prendere coscienza di queste potenzialità, e di riconoscere che, se l’educazione può apparirci talora ardua, inefficace, deludente, vi è una grande quantità di bene “seminato” nell’ordinarietà della vita: non possiamo pretendere di vedere subito e totalmente i frutti di tale seminagione.
7) Corresponsabilità. Non si può essere educati in solitudine; non esiste più, per fortuna, il precettore in casa. Si educa e si è educati insieme. Questo indispensabile impegno domanda una responsabilità condivisa. Non a caso il soggetto educante considerato dalla Lettera è sostanzialmente la comunità cristiana. La nostra diocesi sta compiendo cammini di collaborazione e di corresponsabilità: anche il nostro impegno educativo ne deve beneficiare.
8) Laici. È proprio l’assunzione seria della collaborazione a chiedere che sia dato il giusto spazio e la giusta responsabilità anche ai laici, sottraendosi alla tentazione di una chiesa “clericale”. L’impegno della costituzione di un nuovo Consiglio pastorale diocesano vuole essere segno anche di questa attenzione.