Due papi santi, perché?
Giovanni XXIII: perché è santo?
Angelo Roncalli fin da giovane fece il proposito di alimentare sempre la fede, non lasciarla invecchiare mai, cercando di rimanere sempre bambino di fronte a Dio, come insegna Gesù nel Vangelo.
Come Vescovo e poi come Pontefice, seppe mantenere una forma collegiale nell’esercizio dell’autorità, con una cura speciale per i sacerdoti e la loro formazione, come per i laici, spronandoli a un apostolato responsabile.
Con un costante desiderio di far crescere nella fede, si impegnò per favorire la partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia. Visse la fede con una sensibilità vicina alle forme della pietà popolare: il culto eucaristico nelle sue diverse espressioni come l’adorazione del SS. Sacramento; la devozione al Cuore di Gesù, la devozione alla Madonna con la recita del Rosario e la visita ai santuari, la venerazione dei Santi, la preghiera per i defunti, la pratica dei pellegrinaggi.
Fu capace di comunicare con forme semplici e immediate, con immagini tratte dalla vita quotidiana, riuscendo a entrare subito nel cuore delle persone. La sua santità lo ha portato a indicare le vie del rinnovamento nel grande solco della tradizione.
La sua testimonianza di vita cristiana, la coerenza tra quanto insegnò e quanto visse con fedeltà quotidiana alla propria vocazione, l’urgenza di un rinnovamento evangelico nella Chiesa, le sue intuizioni pastorali e l’ampiezza degli orizzonti da lui proposti con la convocazione del Concilio Vaticano II «sono un faro luminoso per il cammino che ci attende» ha detto Francesco.
Alcuni aspetti sono molto importanti nel cammino presente e prossimo della vita della Chiesa: l’impegno per la pace, per il dialogo, per l’ecumenismo, per la missionarietà della Chiesa.
Anzitutto la predicazione della pace, esposta nell’enciclica Pacem in terris, che «ha portato in tutto il mondo l’eco delle materne sollecitudini della Chiesa per la costruzione di una duratura intesa fra i popoli». Poi l’apertura al dialogo, con i cristiani di altre Chiese, con esponenti del mondo ebraico e musulmano «e con molti altri uomini di buona volontà»: lì Roncalli dimostrò di essere un efficace tessitore di relazioni e un valido promotore di unità, dentro e fuori la comunità ecclesiale, aprendo una fase nuova nei rapporti interreligiosi. L’attenzione che ebbe, in ogni istante del suo servizio ecclesiale, alla dimensione missionaria è un altro motivo di attualità. L’amore per la tradizione della Chiesa e la consapevolezza del suo costante bisogno di aggiornamento, realizzato nel Concilio Vaticano II da lui ideato, preparato e aperto, restano un’eredità viva del suo insegnamento, che può stimolare ancora i credenti a passare da un’idea di Chiesa separata dal mondo, chiusa sulla difensiva come cittadella fortificata contro i suoi avversari, a una Chiesa viva nella fede, amica degli uomini e desiderosa di contribuire al bene di tutti.
Giovanni Paolo II: perché è santo?
Karol Wojtyla era un “uomo di preghiera”. Il centro della sua vita era l’Eucaristia. La vita interiore era caratterizzata da un totale abbandono al materno aiuto della Beata Vergine Maria come si vide dopo l’attentato del 1981 o durante la dura prova della malattia. Ringraziava sempre e attribuiva a Dio i meriti di ogni dono ricevuto.
L’infanzia non facile, segnata da tre lutti, e l’entrata in seminario proprio nel periodo in cui la guerra ne aveva imposto la chiusura, corroborarono il suo coraggio.
Come Arcivescovo di Cracovia mai esitò davanti ai numerosi ostacoli posti dal regime comunista polacco al diritto di professare la propria fede. Con fortezza seppe intervenire a favore dei diritti delle persone, senza sommuovere tuttavia l’ordine pubblico. Il primo motto “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” pronunciato durante la celebrazione di apertura del ministero segnò il programma del suo lungo Pontificato, rimanendo vivo nei cuori dei fedeli anche dopo la sua morte. Il 13 maggio 1981, giorno dell’attentato, ebbe dal Signore la grazia di poter versare il proprio sangue in nome della fede, come egli stesso disse in riferimento all’accaduto. Nelle numerose sofferenze morali e durante la malattia fisica Egli giunse ad annunziare il prezioso valore salvifico della sofferenza umana unita al mistero della Croce di Cristo.
Ha sostenuto l’anelito alla libertà dei popoli oppressi da vari regimi e totalitarismi, affermando la dignità inviolabile di ogni essere umano. Ha promosso e rinvigorito il dialogo ecumenico, cercando l’unità e la pace nella viva speranza di una futura piena comunione coi fratelli separati.
Un segno straordinario della sua speranza fu la fiducia che ripose nei giovani, speranza della Chiesa del domani.
Diede da mangiare e da vestire ai bisognosi, si prese cura dei senza tetto, condivise il dolore dei sofferenti, destinò loro denaro di sua proprietà, visitò ammalati e prigionieri. Istruì, consigliò, consolò gli smarriti di cuore, offrì il proprio perdono all’attentatore e a quanti l’avevano offeso, sopportò con pazienza le persone a lui ostili.
Alla fine degli anni ’90, apparvero i primi sintomi del “morbo di Parkinson”, che piano piano lo ridusse ad esercitare il suo ministero da “una sedia a rotelle”.
Tutti hanno vissuto con ammirazione la forza con cui seppe affrontare, specie negli ultimi anni, gli impegni pastorali in quelle difficili condizioni. Subito dopo la sua morte, nel 2005, veniva chiesta la dispensa dal termine di cinque anni stabilito per l’apertura del processo di beatificazione, a causa della fama di santità che ha accompagnato Karol Wojtyla anche prima della morte e l’eccezionalità religiosa, storica e culturale del suo papato. Nel 2011 è stato promulgato il decreto che attribuisce un miracolo alla sua intercessione: la guarigione di una religiosa francese dal morbo di Parkinson.
Testi tratti da: www.2papisanti.org
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